I criteri di decisione nei casi di trasferimento di residenza del minore

Marina Blasi
13 Novembre 2015

In caso di conflitto genitoriale in ordine alla residenza della prole, il giudice deve attenersi a quei criteri oggettivi individuati nella letteratura nazionale e internazionale in tema di rilocazione del minore, indicatori del corretto esercizio della responsabilità genitoriale
Massima

In caso di conflitto genitoriale in ordine alla residenza della prole, il giudice deve attenersi a quei criteri oggettivi individuati nella letteratura nazionale e internazionale in tema di rilocazione del minore, indicatori del corretto esercizio della responsabilità genitoriale.

Il caso

La signora EE, in sede di divorzio, aveva chiesto che, in via provvisoria ed urgente, il Presidente, previa audizione della figlia minore X, consentisse contestualmente all'autorizzazione al trasferimento con la madre in Ravenna, anche all'iscrizione alla classe seconda della scuola secondaria in detta città.

A seguito della separazione intervenuta nel dicembre 2010, X e la sorella Y, erano state affidate in via condivisa ad entrambi i genitori con prevalente collocamento presso la madre, nella cui abitazione - sita nelle immediate adiacenze dell'abitazione del padre - avevano vissuto fino al momento della domanda.

La madre aveva fondato la decisione del proprio trasferimento su ragioni di lavoro. In particolare la signora, insegnante “precaria” a seguito di nomina annuale del Provveditorato agli Studi di Milano, inserita sia nelle graduatorie di Milano che in quelle di Ravenna, aveva segnalato che in quest'ultima città avrebbe vantato un punteggio di graduatoria migliore. Inoltre, a Ravenna, vivendo la sua famiglia, avrebbe potuto godere di un immobile consono alle esigenze familiari di proprietà della madre, già concessole a titolo di comodato gratuito. La decisione del trasferimento era fondata per la signora sul «… diritto a sicurezze, a tranquillità di vita” apparendo il trasferimento stesso quale “ultima occasione utile” per “… voltare pagina, allontanarsi da un paese a lei estraneo … ridare dignità alla propria vita».

Il marito e padre SS si era opposto all'autorizzazione al trasferimento della minore con la madre, contestando l'estraneità della signora rispetto alla città di residenza e adducendo l'espresso dissenso della figlia, della quale aveva chiesto l'audizione. Inoltre il padre aveva rilevato il radicamento della minore nella città di Milano sotto il profilo della scolarizzazione, avendo ella appena terminato il primo anno della scuola secondaria presso lo stesso Istituto Scolastico in cui aveva già frequentato le elementari, ma anche perché vi svolgeva altre attività tra le quali, nell'ultimo, un corso di pianoforte seguita da un'insegnante privata.

La questione

Nel caso in cui il genitore collocatario decida di trasferire la propria residenza, può questi essere autorizzato a trasferire la residenza della prole senza il consenso del genitore non collocatario? Quali sono le ragioni del genitore collocatario idonee a fondare l'autorizzazione al trasferimento della prole e quali quelle del genitore non collocatario idonee a fondare l'opposizione al trasferimento? Quali sono i criteri della decisione sul trasferimento di residenza del minore? In che misura devono essere tenuti in considerazione i desideri del minore?

Le soluzioni giuridiche

L'ordinanza del Tribunale di Milano affronta la sempre più frequente questione del trasferimento di minori tra genitori separati, alla luce dell' art. 337-ter c.c. La nuova norma, nel ribadire che i genitori devono assumere congiuntamente le decisioni che riguardano istruzione, educazione e salute dei figli (già individuate dall'art. 155, comma 3 c.c. introdotto dalla l. n. 54/2006) introduce tra esse «la scelta della residenza abituale del minore», scelta che deve essere adottata tenendo in ogni caso «conto della capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli». Tale disposizione, oltre ad aver recepito in ambito nazionale quanto già previsto dalle fonti sovranazionali - art. 2, punto 7 e punto 11, lett. b) Reg. 27 novembre n. 2201/2003 (Bruxelles 2 bis); art. 9, comma 1 Conv. di New York sui diritti del fanciullo – si iscrive nella più ampia innovazione costituita dall'espunzione della potestà genitoriale e l'introduzione della responsabilità genitoriale, intervenuta con la riforma della filiazione (l. n. 219/2012 e d.lgs. n. 154/2013). La nozione di responsabilità genitoriale impone infatti un diverso approccio rispetto ai conflitti sulle questioni di maggior interesse della prole, tra cui proprio quelli relativi alla rilocazione del minore.

Prima della riforma della filiazione, per i conflitti in questione si applicava la norma speciale contenuta nell'art. 155-quater, ult. co., c.c., la quale espressamente stabiliva che il cambio di residenza o domicilio di un genitore che interferisse con le modalità di affidamento già stabilite, costituiva causa legittima per l'altro genitore per la domanda di modifica degli accordi o dei provvedimenti già adottati. Informate al vetusto concetto di potestà, alcune pronunce favorivano la decisione del genitore collocatario, autorizzando il trasferimento unitamente ad una modifica della regolamentazione dei tempi di permanenza e dei modi di frequentazione tra il minore e l'altro genitore, nonché l'adeguamento degli aspetti della contribuzione. Altre pronunce invece, esaltando il diritto assoluto del minore alla bi-genitorialità, finivano con il limitare il diritto del genitore di mutare la propria residenza, inibendolo attraverso preclusioni all'affidamento del minore o mutamenti del regime di esso.

La pronuncia in esame individua criteri guida mutuati dal modello dei diritti relazionali (Relational Rights), ravvisando in essi la corretta applicazione della nozione di responsabilità genitoriale. Il modello dei diritti relazionali coniuga il contenuto del diritto individuale (etica del diritto) con la nozione della responsabilità nei confronti delle persone con le quali il portatore di diritti ha formato una relazione basata sulla cura (etica della cura). In base a tale approccio per cura si intende la comprensione dell'altro come soggetto, parte di una significativa relazione, allo scopo di assicurarne il benessere. Ne consegue l'imprescindibile individuazione degli elementi delle responsabilità e degli impegni di tutti i soggetti legati in una relazione. La decisione quindi deve tener conto dei desideri di tutte le parti, causando il minimo danno a ciascuna di esse e, soprattutto, favorendo la loro interazione, in un delicato equilibrio tra la preservazione delle relazioni familiari e i diritti individuali. In caso di inevitabile contrasto tra le posizioni delle parti coinvolte, prevale su tutti l'interesse di coloro il cui benessere dipende soprattutto dalla relazione, quindi il benessere del minore, assicurando che esso, nell'assetto individuato, derivi sia da elementi di responsabilità sia dal bisogno di dare protezione alle parti più deboli. Solo in tal modo può superarsi la rigidità del sistema paternalistico che individuava l'interesse del minore nelle proiezioni del genitore, o in astratte definizioni di carattere pubblicistico, scollate dal contesto relazionale sul quale inevitabilmente incidono.

Il Giudice del Tribunale di Milano, considerata l'assoluta libertà delle parti di muoversi e scegliere il proprio luogo di residenza per realizzare le proprie aspirazioni sociali e lavorative, ha concesso l'autorizzazione al trasferimento della minore con la madre, individuando ed applicando otto criteri elaborati dalla letteratura nazionale ed internazionale relativi proprio alla tutela dei diritti relazionali.

«Un primo criterio attiene all'analisi delle motivazioni del trasferimento del genitore prevalentemente collocatario che deve avere ‘sostanziali' ragioni per trasferirsi altrove non determinate (solamente) da più remunerative chance lavorative ovvero da un mero ‘cambio di ambiente sociale' che offra (all'adulto e solo all'adulto) una più generale sicurezza rispetto a quella offerta dall'ambiente in cui ha convissuto con la prole fino al momento della richiesta». Nella fattispecie la scelta della madre di trasferirsi è stata giudicata razionale, non motivata da una mera gratificazione di tipo narcisista delle proprie aspirazioni con sacrificio delle funzioni accuditive genitoriali, bensì dalla reale necessità di stabilità lavorativa e di sottrazione dall'assetto emerso dalle clausole separatili non più sostenibili.

«Un secondo aspetto da valutare riguarda i tempi e le modalità di frequentazione tra il figlio/a ed il genitore non collocatario che il genitore, che intende trasferirsi, ritiene di poter garantire e che devono presentare profili di realistica fattibilità, che non costringano il genitore a stravolgere le proprie abitudini di vita ovvero ad affrontare sforzi economici insostenibili ovvero del tutto sproporzionati ai propri redditi». Nel caso in commento la madre ha mostrato di poter mantenere e garantire i tempi e le modalità di frequentazione tra il padre e la minore anche dopo il trasferimento, secondo una scansione che, tenuto conto dei collegamenti e della non eccessiva distanza tra le località, non avrebbe stravolto le abitudini di vita del padre, peraltro, proprietario di un immobile proprio nel luogo scelto per il trasferimento.

«Un terzo criterio - che costituisce il reverse di quello appena indicato – guarda alla manifestata disponibilità del genitore non collocatario di trasferirsi per consentire di mantenere la propria funzione genitoriale». Nel caso in esame ai fini della decisione è apparsa rilevante la circostanza che il padre si fosse limitato ad opporsi semplicemente al trasferimento della figlia, senza prendere in considerazione la possibilità di un suo trasferimento, anche solo motivandone la propria impossibilità a trasferirsi. La madre invece, pur avanzando la richiesta di avere con sé la minore, ha comunque formulato l'ipotesi subordinata, per il caso di collocazione della figlia presso il padre, con articolazione dei tempi e dei modi di frequentazione con la medesima. Ella si è dunque rivelata in grado di esplicare una più sicura funzione accuditiva, proprio per l'essersi messa criticamente in discussione, per aver formulato istanze alternative, escludendosi così ogni intento di danneggiare la relazione con l'altro genitore. La posizione del padre, secondo il giudice, avrebbe tradito un esame da parte dello stesso limitato e superficiale del problema, dimostrando di non essere la figura accuditiva di riferimento per la minore.

«Un quarto criterio riguarda la necessità di verificare come e con quali modalità siano salvaguardate e garantite le relazioni del minore con le altre figure chiave della propria esistenza, che, in rapporto di parentela con il genitore non collocatario, ne definiscano la sua identità familiare\parentale e ne preservino la riconoscibilità (e la necessaria memoria) delle proprie origini geografiche, sociali e culturali (cfr. art. 337 ter comma 1 c.c.)». Tale criterio è sicuramente legato al secondo.

«Un quinto criterio richiede di valutare - anche in prospettiva - gli effetti del trasferimento sulla stabilità ambientale, emotiva, psicologica, di relazione del minore risultando rilevante la verifica se la dislocazione possa essere definitiva ovvero temporanea». Il giudice ha ritenuto che la scelta della signora non tradiva una tendenza ad un suo “nomadismo esistenziale”, ma fosse ispirata e mirata alla stabilità lavorativa, alla ripresa dei legami familiari e al ritrovamento di radici sociali.

«Un sesto criterio richiama all'analisi le caratteristiche dell'ambiente sociale e familiare in cui il genitore collocatario intende trasferirsi rispetto a quelle attuali». Il criterio, nella fattispecie è stato ritenuto sovrabbondante, attesa la sostanziale omogeneità tra la località della residenza scelta e quella in cui si sarebbero trasferite, pur nella ben diversa tipizzazione urbana.

Un ulteriore criterio riguarda l'età dei figli. Minore è l'età e maggiormente compromessa è la probabilità di mantenere un significativo legame con il genitore non collocatario. L'analisi deve focalizzarsi sulle qualità della relazione già esistente e sulle sue potenzialità. Nella fattispecie la relazione tra padre e la figlia è stata valutata ben radicata e la madre è risultata essere in grado di garantirne il mantenimento anche dopo il trasferimento.

«Infine quale essenziale e non certo residuale criterio – va considerata – ove l'età lo consenta e sul punto cfr. art. 337-octies c.c.la volontà del minore di volersi trasferire: maggiore sarà l'età e con essa maggiore il grado di maturazione e di sviluppo psicofisico del minore, maggiore rilevanza avranno, nella decisione giudiziale, il suo parere ed i suoi desideri.» Le dichiarazioni della minore hanno fatto trasparire piuttosto che un dissenso, il timore del nuovo legato al trasferimento, ma al contempo hanno consentito di individuare nella madre la figura genitoriale di più sicuro riferimento per la medesima.

Nell'autorizzare il trasferimento, il giudice ha delegato ai Servizi Sociali l'attività di monitoraggio e sostegno dell'inserimento della medesima nel nuovo habitat sociale e scolastico.

Osservazioni

Nei conflitti sul trasferimento della residenza del minore, entrambi i genitori, pur nel contrasto delle loro posizioni, dovranno fornire al giudice le soluzioni e motivazioni delle rispettive domande, di autorizzazione o opposizione al trasferimento della prole, con motivazioni e soluzioni informate alla nozione di responsabilità genitoriale e meglio ancora alla tutela dei diritti relazionali.

Le domande devono tener conto degli effetti della concessione dell'autorizzazione al trasferimento ed anche del suo rigetto su tutti i soggetti coinvolti nelle relazioni familiari, diversamente tradirebbero la superficialità della richiesta e il non corretto esercizio della responsabilità genitoriale.

Guida all'approfondimento

Ruth Zafran, Children's rights as relational rights: the case of re location' in American University Journal of Gender, Social Policy & the Law, Vol. 18, No. 2, 2010

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