Collocazione dei figli e criterio della maternal preference

Rita Rossi
14 Marzo 2017

La questione decisa dalla Corte di cassazione è di importanza centrale sul terreno della regolamentazione dei rapporti tra genitori separati e figli. Essa tocca, infatti, il dibattuto tema, non tanto dell'affidamento, quanto della collocazione dei figli.
Massima

Il trasferimento della residenza costituisce oggetto di libera e non coercibile opzione dell'individuo, espressione di diritti fondamentali di rango costituzionale. Il coniuge separato che intenda trasferire la sua residenza lontano da quella dell'altro coniuge non perde perciò l'idoneità ad avere in affidamento i figli minori o ad esserne collocatario, sicchè il giudice, ove il primo aspetto non sia in discussione, deve esclusivamente valutare se sia più funzionale all'interesse della prole il collocamento presso l'uno o l'altro dei genitori, per quanto ciò ineluttabilmente incida in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non affidatario.

Ai fini della decisione il giudice può fare riferimento al criterio della c.d. maternal preference, specie in mancanza di contestazioni sulla valenza scientifica di esso.

Il caso

La fattispecie alla base della decisione riguarda due coniugi separati, tra i quali la conflittualità insorge in un momento successivo alla separazione, allorquando la moglie chiede al tribunale la modificazione delle condizioni vigenti al fine di ottenere la collocazione presso di sè dei figli (di cinque e tre anni) e trasferirsi con essi in un'altra città.

La domanda di modifica trovava ragione nell'avvenuto superamento, da parte della donna, del concorso per l'accesso alla Magistratura, e dalla scelta di una sede lontana da quella in cui la famiglia aveva sempre vissuto.

Il Tribunale di Vasto, a seguito di CTU, respingeva la domanda della madre, e, sulla base delle risultanze peritali, accoglieva la domanda riconvenzionale del coniuge (anch'egli magistrato), collocando i bambini presso di lui; e ciò per l'impossibilità di attuare, nella nuova situazione abitativa delle parti, la collocazione paritaria precedentemente concordata in sede di separazione.

La donna proponeva reclamo, ottenendo dalla Corte d'appello de L'Aquila la riforma della decisione, con conseguente collocazione dei figli presso di sè.

La Corte abruzzese motivava la decisione affermando che, ai fini della scelta del genitore collocatario, si doveva prescindere dalla ricerca del soggetto che avesse violato gli accordi della separazione, mentre si doveva ricercare la soluzione che meglio privilegiasse il futuro benessere morale e materiale dei figli; e - osservava ancora la Corte in modo originale - che non vi erano ragioni per superare il criterio che privilegia la madre nella collocazione di bambini in età (prescolare o) scolare, dato che la madre non era risultata sfornita di adeguate capacità genitoriali e nonostante queste fossero risultate eccellenti in capo al padre.

La scelta di una sede lavorativa lontana non era poi dovuta - sempre a parere dei giudici del reclamo - alla volontà di allontanare i bambini dal padre, mentre di fatto tali elementi non potevano essere inficiati dal pur non encomiabile comportamento processuale della donna, la quale, pur essendo ella stessa magistrato, aveva ricusato tutti i soggetti coinvolti nel giudizio con poteri decisionali, mostrando così di non nutrire fiducia verso il prossimo.

Il terzo grado di giudizio veniva, dunque, avviato dal padre, il quale in particolare lamentava:

- che l'applicazione del criterio presuntivo della maternal preference aveva violato l'interesse morale e materiale dei figli e perciò violato l'art. 337-ter c.c. e ciò quando le risultanze della CTU, se tenute in considerazione, avrebbero dovuto condurre alla soluzione opposta;

- che era stato totalmente ignorato il pregiudizio arrecato al diritto di accesso dei figli al padre.

La questione

La questione decisa dalla Corte di cassazione è di importanza centrale sul terreno della regolamentazione dei rapporti tra genitori separati e figli. Essa tocca, infatti, il dibattuto tema, non tanto dell'affidamento, quanto della c.d. collocazione dei figli.

La questione riguarda, più esattamente, la possibilità di modificare l'assetto concordato tra i coniugi in sede di separazione, il quale prevedeva la collocazione alternata dei figli presso le rispettive abitazioni, in ragione del cambiamento della residenza di uno dei genitori.

Posta in altri termini, la questione è la seguente: in regime di affidamento condiviso e di alternanza paritetica dei tempi di permanenza del figlio presso i rispettivi genitori, il genitore che intenda trasferirsi in un'altra città portando con sè il figlio minore potrà ottenerne la collocazione presso di sè, quand'anche ciò comporti l' allontanamento del figlio dall'altro genitore?

Come si vede, il tema richiede una riflessione articolata, venendo in considerazione diverse prerogative soggettive, tra loro potenzialmente confliggenti: così, il diritto della persona adulta a trasferire la propria residenza, il diritto alla genitorialità del coniuge che non si trasferisca e, infine, il più pregnante, il diritto del figlio minore a godere della presenza e dell'apporto affettivo e di cura materiale e morale da parte di entrambi i genitori.

Collegata alla questione enunciata e funzionale ad essa, è, poi, l'individuazione dei criteri in base ai quali il giudice è chiamato a decidere sulla c.d. collocazione del figlio minore, nel caso di trasferimento di uno dei genitori e se tra tali criteri possa includersi la c.d. maternal preference.

Pertanto, potrà il giudice decidere che i figli convivano in via prevalente con la madre, sulla base della presunzione per cui la madre va preferita allorquando i figli siano in età prescolare o scolare?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione affronta la questione richiamando e ribadendo i principi affermati nella precedente decisione 12 maggio 2015 n. 9633.

Essa ribadisce, così, che «il coniuge separato che intenda trasferire la residenza lontano da quella dell'altro coniuge non perde l'idoneità ad avere in affidamento i figli minori, sicché il giudice deve esclusivamente valutare se sia più funzionale all'interesse della prole il collocamento presso l'uno o l'altro dei genitori, per quanto ciò ineluttabilmente incida in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non affidatario».

Muovendo da tale principio, la pronuncia in esame sancisce, pur senza eccessiva convinzione, che la sentenza impugnata appare non confliggere con il dettato normativo; e aggiunge che la corte aquilana ha diffusamente spiegato le ragioni della preferenza accordata alla collocazione presso la madre, valorizzando plausibilmente il criterio della c.d. maternal preference. A tale criterio, poi, la Suprema Corte attribuisce «valenza scientifica», valenza che «neppure è stata tempestivamente contestata dal ricorrente».

La Cassazione del 2016 afferma, dunque, che il Giudice potrà optare per la collocazione presso la madre, assumendo tale collocazione a criterio preferenziale; introduce, infine, la regola del tutto nuova in base alla quale il padre che intenda opporsi al criterio della maternal preference ha l'onere di contestarne la validità scientifica. Viene sancita, in definitiva, la presunzione per cui la collocazione del figlio minore presso la madre è più funzionale all'interesse del minore in età prescolare o scolare.

Questo, dunque, l'attuale orientamento della giurisprudenza di legittimità, il quale segna una netta presa di distanza dall'impostazione della giurisprudenza di merito, aderente al dettato legislativo e ai principi inderogabili dell'affidamento condiviso e della bigenitorialità.

Così, la giurisprudenza di merito degli ultimi anni ha sottolineato che la decisione relativa alla residenza abituale del figlio rientra, ex art. 337-ter c.c., tra le decisioni di maggior interesse, talchè essa va assunta di comune accordo dai genitori e che, in caso di disaccordo, la decisione è rimessa al giudice, che per compierla deve ispirarsi ai medesimi parametri normativi riportati (Trib. Roma, sez. I, 3 agosto 2015; in senso corrispondente, Trib. Torino, sez. VII, 5 giugno 2015).

La giurisprudenza di merito ha, poi, sottolineato che il giudice è tenuto a valutare se il trasferimento di residenza del minore si ponga o meno in contrasto con il suo interesse ad un equilibrato e armonico sviluppo della personalità, e, più specificamente, a verificare se il cambio del luogo di vita incida sul diritto del minore a conservare un rapporto significativo e continuativo con l'altro genitore (Torino, sez. VII, 8 ottobre 2014).

Soprattutto, i giudici di prossimità hanno saputo porre in relazione il diritto del genitore affidatario o collocatario al proprio trasferimento con il diritto del figlio minore a mantenere un rapporto continuativo e significativo con l'altro genitore, chiarendo che il primo, pur costituendo diritto inviolabile della persona garantito dall'art. 16 Cost., trova necessariamente un proprio limite nel secondo (Trib. Savona, 6 maggio 2015).

Sempre i giudici di merito hanno, infine, ritenuto passibile di applicazione di una misura sanzionatoria ex art. 709-ter, comma 2, c.p.c. l'iniziativa di allontanamento del figlio assunta unilateralmente da uno dei genitori all'insaputa dell'altro o contro il suo parere (Trib. Tivoli, 1 febbraio 2011).

La giurisprudenza penale, dal canto suo, ha inquadrato nel reato previsto e punito dall'art. 574 c.p. «anche alla luce delle nuove disposizioni di cui agli artt. 337-bis e 337-ter c.c.» la condotta del coniuge separato che, all'insaputa e contro la volontà dell'altro coniuge, si allontana dal domicilio stabilito trasferendo la residenza del figlio minore in altro Comune, quando da tale comportamento deriva un impedimento per l'esercizio delle diverse manifestazioni della potestà dell'altro genitore (Cass. pen., sez. VI, 8 maggio 2014, n. 33452).

Va, comunque, segnalato che, prima della pronuncia n. 9633/2015, la stessa Sezione I della Cassazione aveva affermato che la realizzazione dell'interesse del minore giustifica, se necessario, temporanee e proporzionate limitazioni all'esercizio dei diritti e delle libertà di ciascuno dei genitori garantiti dalla Costituzione, tra cui il diritto al proprio trasferimento; e ciò al fine di valorizzare il preminente interesse del minore all'evoluzione positiva della sua personalità psico-fisica, previa enucleazione delle ragioni di rischio di pregiudizio di essa, connesse all'eventuale attuazione dell'iniziativa genitoriale di espatrio (Cass., sez. I, 18 settembre 2014, n. 19694).

Osservazioni

Oggigiorno, il conflitto genitoriale si misura prevalentemente (questioni economiche a parte) sul terreno della c.d. collocazione abitativa dei figli. Tale figura, non contemplata da alcuna norma di legge e di creazione giurisprudenziale (per tutte, Cass., sez. I, 26 luglio 2013, n. 18131), rappresenta il surrogato moderno dell'affidamento monogenitoriale e genera disparità di potere tra i genitori, con conseguente compromissione del diritto del minore di ricevere il medesimo apporto affettivo e di cura da entrambi i genitori.

Mentre, dunque, l'attuale regolamentazione dei rapporti tra genitori e figli nei contesti separativi sta registrando un certo distanziamento dalle regole fissate negli artt. 337-ter e ss. c.c., con quest'ultima sentenza di legittimità l'intervento creativo della giurisprudenza è andato ancora oltre, avendo essa consacrato il criterio della c.d. maternal preference, e attribuito ad esso valenza scientifica.

La Suprema Corte, infatti, plaude alla decisione della Corte d'appello affermando: «è stato plausibilmente valorizzato il criterio della c.d. maternal preference, la cui teorica valenza scientifica il ricorrente non ha tempestivamente contestato».

Era prevedibile, pertanto, che tale sentenza sollevasse un coro di reazioni critiche (per tutti, M. A. Mazzola, No alla Maternal preference dal Tribunale di Milano, in personaedanno.it) che sono giunte puntualmente anche dalla giurisprudenza di merito. Così, il Tribunale di Milano ha affermato, del tutto condivisibilmente, che il criterio consacrato in sede di legittimità non è previsto dagli artt. 337-ter e ss c.c. e che esso si pone in contrasto con la stessa ratio ispiratrice della l. n. 54/2006 sull'affidamento condiviso (Trib. Milano, sez. IX civ., 19 ottobre 2016).

In modo risoluto e ben difficilmente contestabile, la decisione milanese ha ricordato che «il principio di piena bigenitorialità e quello di parità genitoriale hanno condotto all'abbandono del criterio della “maternal preference” a mezzo di “gender neutral child custody laws, ossia normative incentrate sul criterio della neutralità del genitore affidatario, potendo dunque essere sia il padre, sia la madre, in base al solo preminente interesse del minore, il genitore di prevalente collocamento non potendo essere il solo genere a determinare una preferenza per l'uno o l'altro ramo genitoriale».

Questo eloquente passaggio mette in evidenza soprattutto l'antistoricità della scelta compiuta dalla Corte, quella cioè di elevare la collocazione materna a criterio preferenziale. Invero, nella prassi applicativa sono numerose le sentenze che stabiliscono di default la collocazione del figlio presso la madre. Oggi questa prassi, da tante parti contestata, ha ricevuto il suggello della Cassazione, in netta controtendenza rispetto alle indicazioni del legislatore moderno; con esiti ben immaginabili nella gestione futura del conflitto genitoriale e nella ricerca di un assetto equilibrato dei rapporti familiari.

Guida all'approfondimento

F. Picardi, Le decisioni di maggiore interesse nell'affidamento del minore, in IlFamiliarista.it

G. Contiero, Affidamento condiviso, in IlFamiliarista.it

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