La prova illecita nei procedimenti di affidamento della prole

Luisa Ventorino
14 Aprile 2017

È utilizzabile, ai fini della decisione riguardante l'affidamento dei figli, il materiale probatorio raccolto illecitamente ovvero sottratto fraudolentemente alla parte che ne era in possesso?
Massima

In tema di affidamento esclusivo della prole, non è utilizzabile il materiale probatorio raccolto illecitamente né il materiale sottratto fraudolentemente alla parte processuale che ne era in possesso. Al medesimo fine sono irrilevanti le conversazioni tra coniugi, nel contesto di acquisizioni probatorie di cui il giudice ha potuto disporre nel giudizio.

Il caso

Nella causa di separazione tra Tizio e Caia, che entrambi i coniugi chiedevano addebitarsi vicendevolmente ed in cui chiedevano affidarsi esclusivamente la prole a ciascuno, il Tribunale rigettava le reciproche domande di addebito, disponeva l'affidamento condiviso della prole con domiciliazione prevalente presso il padre e disponeva incontri protetti tra la madre ed i figli minori. Poneva a carico del marito un assegno di mantenimento per il coniuge. La sentenza veniva appellata da Tizio, al fine di ottenere l'affidamento esclusivo della prole e l'addebito della separazione alla moglie. Anche Caia proponeva appello incidentale affinché la separazione venisse addebitata al marito, i figli affidati ai Servizi sociali e posto a carico del marito un assegno di mantenimento di € 3000,00.

La Corte d'appello respingeva entrambe le domande di addebito, disponeva l'affidamento esclusivo della prole al padre, disponeva incontri protetti madre-figli e confermava nel resto l'impugnata sentenza.

Avverso questa sentenza proponeva ricorso principale Caia.

La questione

La questione in esame è la seguente: è utilizzabile, ai fini della decisione sull'affidamento dei figli, il materiale probatorio raccolto illecitamente ovvero sottratto fraudolentemente alla parte che ne era in possesso?

Le soluzioni giuridiche

Nell'ambito delle prove (tipiche o atipiche) costituite (nel senso che si sono già formate al di fuori del processo e che dunque acquistano l'attitudine a rappresentare i fatti di causa prima che inizi il giudizio) in cui la sola produzione è di regola già di per sé elemento sufficiente e necessario per l'ammissibilità, può accadere in concreto che le stesse, pur essendo state ritualmente allegate agli atti processuali, siano entrate nella disponibilità della parte che le ha prodotte in maniera illecita ovvero tramite condotte configuranti autonome violazioni di norme penali o amministrative.

Nel processo civile non vi è alcuna specifica disciplina tesa ad escludere la possibilità di utilizzare prove ottenute interferendo illecitamente nella sfera privata altrui, al contrario del codice di procedura penale in cui, invece, vi sono norme che prevedono esplicitamente il divieto di utilizzare prove illegittimamente acquisite.

La questione più dibattuta in materia di prove illecite, quindi, è quella che riguarda la loro utilizzabilità nel processo e, infatti, non mancano tendenze dottrinali contrastanti tra loro.

Secondo un orientamento di merito (Trib. Milano, sez. spec. in materia di impresa, sent. n. 9431/2016), tali prove sarebbero comunque utilizzabili, conserverebbero il loro valore e avrebbero piena efficacia perché gli strumenti attraverso i quali vengono assunte illecitamente si collocano in un momento pre-processuale, ragion per cui, l'illiceità non si ripercuote sugli atti. Ciò, unito alla mancanza di un esplicito divieto in materia, secondo tali orientamenti, consentirebbe di utilizzare le prove precostituite formate con mezzi illeciti.

La tradizionale dottrina processualcivilistica, invece, si è mostrata sempre molto scettica a far propria la propensione a ritenere le prove illecite comunque efficaci e producibili in giudizio, facendosi portatrice di un'opposta teoria ferma nel ritenere che non sia possibile riconoscere né attribuire efficacia probatoria a quei documenti che le parti si siano procurate illecitamente.

La sentenza in commento, stabilisce, in linea con la dottrina appena citata, che «in tema di affidamento esclusivo della prole, non è utilizzabile il materiale probatorio raccolto illecitamente né il materiale sottratto fraudolentemente alla parte processuale che ne era in possesso. Al medesimo fine sono irrilevanti le conversazioni tra coniugi, nel contesto di acquisizioni probatorie di cui il giudice ha potuto disporre nel giudizio».

Osservazioni

Deve premettersi che uno dei cardini imprescindibili per il corretto svolgimento della funzione giurisdizionale è la proiezione del processo verso l'effettivo accertamento della verità. Tale esigenza, tuttavia, non deve far cadere nell'equivoco di credere che, per queste ragioni, l'attività di ricerca della verità nel processo civile (ma anche in quello penale) debba essere tendenzialmente (se non addirittura pienamente) libera e non sia perciò assoggettabile a vincoli. Al contrario, il valore essenziale della tensione verso il vero, nella dinamica del processo, deve inevitabilmente convivere con altri valori, altrettanto rilevanti ed incomprimibili, che per forza di cose ne determinano delle contrazioni, variabili nel tempo e nello spazio (ma non certo eliminabili) in funzione del punto di equilibrio che il legislatore o l'interprete scelgono di privilegiare.

Tale contemperamento passa per alcuni vincoli cui è sottoposta la funzione giurisdizionale: secondo l'art. 97 disp. att. c.p.c., giudice non può fare uso della propria scienza privata; secondo art. 115 c.p.c. la decisione, se non altro in linea tendenziale, deve fondarsi sulle prove “proposte dalle parti”; solo le prove dedotte ed acquisite nel rispetto di precisi limiti temporali, (le c.d. preclusioni istruttorie), possono essere efficacemente utilizzate dal giudice per la decisione della causa; la prova, anche se rilevantissima agli effetti del decidere, di regola non è utilizzabile se non si è formata nel contraddittorio delle parti.

Alla luce di tanto, si ritiene illecita ogni prova che presenti profili di contrarietà alla legge o perché entrata in possesso della parte in modo illegale, o per qualsiasi ragione formata illegittimamente fuori dal processo.

Nell'esperienza giudiziaria si riscontra un'ampia casistica di prove documentali illecite.

Per quel che concerne i mezzi di prova che la parte si è procurata illecitamente, basti pensare all'esempio, un po' scolastico, del diario privato contenente dichiarazioni confessorie fraudolentemente sottratto ad un soggetto e poi prodotto contro di lui in giudizio, ma anche, più realisticamente: alle scritture contabili sottratte clandestinamente dal lavoratore al datore di lavoro in vista della causa sulla legittimità del licenziamento, o alle lettere, o e-mail, trafugate per dimostrare l'entità del patrimonio del coniuge, o sostenere l'esistenza di un adulterio, in una causa di separazione o di divorzio, fino a giungere all'ipotesi del soggetto espressamente incaricato di rubare, o sottrarre con violenza o minaccia, all'imprenditore concorrente i documenti contenenti informazioni commerciali da utilizzare in un giudizio per concorrenza sleale; e così l'esemplificazione potrebbe ancora continuare a lungo.

In un contesto culturale e giuridico in cui erano completamente mutati i valori di riferimento, e fedeli al metodo esegetico del costituzionalismo moderno, si è affermato che l'utilizzabilità in giudizio delle prove precostituite ottenute o formate con mezzi illeciti sia in insanabile contrasto con il valore fondamentale posto al centro della nostra Costituzione, cioè la persona e la tutela dei suoi diritti fondamentali, e che proprio per questa ragione sia esplicitamente vietata dagli artt. 13 e 14 Cost..

Più precisamente, muovendo dall'art. 13, comma 3, Cost. (ove, come è noto, è sancita la revoca di diritto e la totale inefficacia degli atti istruttori lesivi della libertà personale), letto anche alla luce del disposto di cui ai successivi artt. 14, comma 1 («Il domicilio è inviolabile») e 15, comma 1 («La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili»), si è ricostruito il generale divieto di utilizzare in giudizio le prove raccolte in violazione dei fondamentali diritti di libertà dei cittadini, operante indistintamente nel processo civile e nel processo penale. Il nostro legislatore costituente, insomma, secondo questa opzione interpretativa nel potenziale conflitto tra l'interesse all'accertamento della verità nei procedimenti giudiziari e la tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, avrebbe chiaramente espresso la sua preferenza per questi ultimi, vincolando l'interprete a questa opzione di fondo.

Quest'ultima ricostruzione pare quella maggiormente condivisibile e più aderente ai valori fondanti della società, nei loro reciproci rapporti in questo momento storico. All'argomento costituzionale, già di per sé assolutamente persuasivo, si può peraltro anche aggiungere che:

a) il nostro ordinamento ripudia ogni forma di arbitrario e violento esercizio delle proprie ragioni, al punto che in campo penale è prevista la fattispecie criminosa di cui all'art. 392 c.p.;

b) in campo civile esiste uno strumento tipico per far acquisire agli atti del processo una fonte materiale di prova di cui non si ha la detenzione, che è l'esibizione istruttoria ex artt. 210 ss. c.p.c.; perseguire lo stesso risultato probatorio con altri mezzi significa acquisire una prova scavalcando le norme processuali che ne disciplinano la formazione.

Per l'insieme di queste ragioni, ad avviso di chi scrive si ritiene che nei confronti delle prove illecite, intese nella nozione sopra accolta, la sentenza in commento apre verso l'assunzione, nel dibattito dottrinale ma soprattutto nelle prassi giudiziarie (fino ad ora un po' troppo indulgenti su questo fronte), di un atteggiamento interpretativo di radicale chiusura, che conduca a decretarne la assoluta inutilizzabilità nel processo civile.

Poiché quand'anche dovessero risultare indispensabili per l'accertamento della verità, questa finalità, pur fondamentale, non può essere conseguita a scapito dei diritti di libertà dei soggetti coinvolti nel processo.

All'atto pratico ciò comporta che se una parte produce in giudizio un prova illecita, il giudice, se certo non può impedirlo, dovrà però rigorosamente astenersi dall'utilizzarla e, nel caso lo faccia, la sentenza risulterà viziata da nullità censurabile con l'appello.

A fortiori, inoltre, non potrà in ogni caso essere ordinata l'esibizione ex art. 210 c.p.c. di una prova formatasi in modo illecito.

Guida all'approfondimento

F. Carnelutti, Illecita produzione di documenti, in Riv. dir. proc. civ., 1935, II, 63

G. F. Ricci, Le prove illecite nel processo civile, 1987, 70

G. Marseglia, Il web e gli strumenti probatori in materia di famiglia nell'ambito civile, Bari, 20 aprile 2014

E. Allorio, Efficacia giuridica di prove ammesse ed esperite in contrasto con un divieto di legge, in Giur. it., I, 1960

F. Angeloni, Le prove illecite, Padova, 1992

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