Residenza abituale e tutela del minore

14 Giugno 2017

Con la pronuncia in esame la Corte di Cassazione, dando continuità ad un orientamento già consolidato, ha stabilito che, ai sensi dell'art. 8, n. 1, Reg. UE n. 2201/2003, la competenza giurisdizionale per le domande relative alla responsabilità genitoriale...
Massima

Per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore, la competenza spetta all'autorità giudiziaria dello stato membro in cui il minore risiede abitualmente alla data della domanda. In particolare, la residenza abituale va intesa come il luogo in cui il minore trova e riconosce, anche grazie ad una permanenza tendenzialmente stabile, il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, originati dallo svolgersi della sua vita di relazione. Tale principio è ispirato dall'interesse superiore del minore stesso e dal criterio della vicinanza.

Il caso

Il signor R.I. adiva il Tribunale di Lodi al fine di ottenere l'affidamento in via esclusiva del figlio minore, nato dalla relazione con una donna con lui non coniugata e residente in Spagna, ove viveva anche il minore. Il Tribunale con decreto depositato in data 30 giugno 2015, assunti i provvedimenti urgenti a tutela del minore ai sensi dell'art. 20, Reg. CE n. 2201/2003, dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice italiano.

Successivamente, la Corte di appello di Milano, Sezione per i minorenni, adita in sede di reclamo, valutando che entrambi i genitori per ragioni di lavoro si erano trasferiti in Spagna, ove peraltro il minore aveva frequentato la scuola materna e che lo stesso risultava stabilmente inserito nel contesto sociale e nella scuola spagnola, riteneva che, poiché il predetto minore era abitualmente residente in Spagna, la competenza giurisdizionale in merito al procedimento introdotto ai sensi dell'art. 8 del citato Reg. CE n. 2201/2003, appartenesse al giudice straniero.

Avverso detta pronuncia proponeva ricorso per cassazione il sig. R. articolato in un unico motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione dell'art. 8, Reg. U.E. n. 2201/2003, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 1, c.p.c. in quanto la Corte di appello avrebbe erroneamente applicato il criterio fondato sulla residenza abituale del minore, con particolare riferimento all'omessa valutazione della relativa stabilità nella prospettiva di un collocamento futuro.

La questione

La questione affrontata nella pronuncia in esame attiene all'interpretazione dell'art. 8, n. 1, del Reg. U.E. n. 2201/2003, secondo cui per le domande riguardanti la responsabilità genitoriale su un figlio minore, è competente l'autorità giudiziaria dello stato membro in cui lo stesso risiede abitualmente alla data della domanda.

Le soluzioni giuridiche

Con la pronuncia in esame la Corte, dando continuità ad un orientamento già consolidato, ha stabilito che, ai sensi dell'art. 8, n. 1, Reg. UE n. 2201/2003, la competenza giurisdizionale per le domande relative alla responsabilità genitoriale appartiene all'autorità giudiziaria dello stato membro in cui il minore risiede abitualmente, ulteriormente specificando che per "residenza abituale” deve intendersi «il luogo ove il minore trova e riconosce grazie ad una permanenza tendenzialmente stabile il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, originati dallo svolgersi della sua vita di relazione».

Nella specie, la Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo che la Corte d'appello avesse fatto corretta applicazione della norma menzionata facendo riferimento alla presenza ed alla integrazione del minore nella città spagnola ove aveva frequentato la scuola ed intrattenuto rapporti significativi dal punto di vista relazionale.

Tale valutazione era peraltro avvalorata dal fatto che gli stessi genitori al momento della cessazione della loro convivenza avevano sottoscritto un accordo ove avevano stabilito che, nel caso di allontanamento di uno di loro dalla Spagna, sarebbe stato introdotto un regime facilitato di visite per il genitore residente altrove, così implicitamente confermando di ritenere quale luogo di residenza del figlio la città spagnola.

Al fine di inquadrare la tematica oggetto della pronuncia in commento, va premesso che il concetto di famiglia elaborato a livello europeo dalla Corte di Strasburgo non solo è indipendente dal vincolo di coniugio tra i genitori stessi, ma prescinde, talvolta, persino dal riconoscimento giuridico del vincolo di filiazione. ; Esaminando, infatti, la giurisprudenza formatasi nell'ambito dell'art. 8, Convenzione di Roma, ; il punto essenziale è che certamente non si può distinguere tra famiglia “legittima” e famiglia “naturale” per quanto riguarda i diritti dei figli alla relazione con i genitori e la relativa tutela. Ne consegue che ai figli, indipendentemente dalla relazione giuridica dei loro genitori e indipendentemente dal tipo di filiazione ;, vanno garantiti gli stessi diritti sostanziali, con medesime modalità e regole. In tal senso la giurisprudenza della Corte di Strasburgo si pone in perfetta linea di coerenza con quella della Consulta, che più volte ha richiamato il concetto di responsabilità genitoriale per ribadire che i diritti dei figli debbono essere garantiti a prescindere dalla relazione giuridica tra i genitori, in quanto la condizione giuridica dei genitori tra di loro, in relazione al vincolo coniugale, non può determinare una condizione deteriore per i figli ;.

Del pari va sottolineato che il termine “responsabilità”, che sulla scia del diritto comunitario ha sostituito quello di “potestà” sta ad indicare non già il potere ed il dominio sui figli, ma piuttosto un complesso di doveri e di diritti funzionali dei genitori con una finalità di protezione dei figli.

La legislazione comunitaria definisce, invero, la “responsabilità genitoriale” come l'insieme dei diritti e doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore riguardanti la persona o i beni di un minore. Il termine comprende, in particolare, il diritto di affidamento e il diritto di visita ;.

Ciò premesso, a livello europeo le diverse discipline in tema di minori sono riconducibili all'art. 42, l. n. 218/1995 per la disciplina della giurisdizione e la legge applicabile in materia di protezione di minori tra gli Stati contraenti, che rinvia in generale alla Convenzione dell'Aja, 5 ottobre 1961, sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori, resa esecutiva con la l., 24 ottobre 1980, n. 742.

Tra gli Stati dell'Unione, inoltre, è in vigore il Reg. CE n. 2201/2003 (del 27 novembre 2003, ora "nuovo" Bruxelles II), relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che a partire dal 1° marzo 2005 ha abrogato e sostituito il Reg. CE n. 1347/2000 (vecchio Bruxelles II).

Quale regola generale, il Regolamento sostituisce le convenzioni vigenti concluse fra due o più Stati membri nelle materie disciplinate dallo stesso. Esso prevale su alcune convenzioni multilaterali nella misura in cui queste riguardino materie da esso disciplinate, tra cui la Convenzione dell'Aja del 1961 (legge applicabile in materia di protezione dei minori), la Convenzione di Lussemburgo del 1967 (riconoscimento delle decisioni relative al vincolo matrimoniale), la Convenzione dell'Aja del 1970 (riconoscimento dei divorzi), la Convenzione europea del 1980 (affidamento dei minori) e la Convenzione dell'Aja del 1980 (aspetti civili della sottrazione internazionale di minori).

La finalità comune alle varie discipline va individuata nella migliore protezione e nella parità di trattamento dei minori e nel rispetto dell'obiettivo primario della certezza del diritto.

Finalità perseguita dal Reg. comunitario 2201/2003 mediante la riunione in un unico strumento giuridico delle disposizioni relative al divorzio e alla responsabilità genitoriale allo scopo di facilitare il lavoro dei giudici e degli operatori del diritto nell'Unione, nel disciplinare l'esercizio dei diritti di visita transfrontaliera e predisporre misure contro la sottrazione dei minori, nel riconoscimento automatico delle decisioni relative al diritto di visita dei minori, nella priorità del diritto del minore di mantenere relazioni regolari con entrambi i genitori nonchè nel diritto di essere sentito su ogni questione relativa alla responsabilità genitoriale nei suoi confronti, tenuto conto della sua età e del suo livello di maturità.

Il Reg. UE n. 2201/2003 disciplina la competenza nei procedimenti in materia di attribuzione, esercizio, delega e revoca totale o parziale della responsabilità genitoriale in modo autonomo rispetto alla competenza nelle cause tra coniugi. In base all'art. 1, n. 1, lett. b), del Regolamento, la responsabilità genitoriale comprende tutti i procedimenti relativi alla responsabilità sulla prole minorenne, a prescindere dalla pendenza di un giudizio sul vincolo matrimoniale e con riferimento ad ogni tipo di situazione, compresa la filiazione al di fuori del matrimonio.

Per «titolare della responsabilità genitoriale» si deve intendere qualsiasi persona che eserciti la responsabilità di genitore su un minore (art. 2, n. 8). Non deve trattarsi necessariamente di un genitore e può essere sia una persona fisica che una persona giuridica. Si rinviene altresì una definizione del «diritto di affidamento», che comprende i diritti ed i doveri concernenti la cura della persona di un minore e, in particolare, il diritto di intervenire nella decisione riguardo al suo luogo di residenza (art. 2, n. 9), e una definizione del «diritto di visita», che è il diritto di condurre il minore in un luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo limitato di tempo.

Venendo al profilo specifico oggetto della pronuncia in commento, nel Reg. n. 2201/2003, la giurisdizione sulle controversie in materia di responsabilità genitoriale è disciplinata in modo autonomo rispetto alla materia matrimoniale.

I criteri di giurisdizione si informano all'interesse superiore del minore, in particolare al criterio di vicinanza. La competenza appartiene anzitutto ai giudici dello Stato membro in cui il minore risiede abitualmente alla data di avvio del procedimento.

Il luogo di residenza abituale assume, in realtà, particolare rilievo nella maggioranza dei trattati internazionali e dei regolamenti comunitari in cui si tratta dell'interesse minorile e dei procedimenti ad esso inerenti.

In tal senso la Convenzione dell'Aja, 5 ottobre 1961, ha operato una svolta epocale nella determinazione della competenza giurisdizionale in materia minorile, stabilendo che le autorità, sia giudiziarie che amministrative, dello Stato di residenza abituale di un minore sono ordinariamente competenti ad adottare misure finalizzate alla protezione della sua persona o dei suoi beni.

La nozione di “residenza abituale” non è precisata dalla convenzione, né i successivi trattati elaborati in seno alla Conferenza dell'Aja, né i regolamenti comunitari offrono la nozione di residenza abituale che, del resto, non si rinviene in alcuna norma di respiro internazionale.

A riguardo la Corte di Giustizia ha chiarito che essa corrisponde al luogo che denota una certa integrazione del minore in un ambiente sociale e familiare alla luce delle ragioni, delle condizioni e della regolarità del soggiorno che caratterizzano il singolo caso di specie (C. giust., Sez. III, 2 aprile 2009, n. 523). Nella giurisprudenza nazionale e straniera prevale l'orientamento secondo cui, nell'individuare il luogo di abituale residenza, il dato fattuale deve prevalere su quello meramente anagrafico e, sostanzialmente, si deve far riferimento al centro di vita del minore, ai suoi effettivi legami sociali e familiari, non solo parentali, ed all'elemento temporale, la cui rilevanza è pacifica, tenuto conto degli effetti del trascorrere del tempo sul consolidamento delle consuetudini di vita e sul radicamento ambientale, a seguito di una stabile e continua permanenza in un determinato luogo ;. A tal fine assume rilievo anche la volontà espressa dal minore, che abbia raggiunto un'età ed un grado di maturità tali che si debba tener conto della sua opinione, e dei genitori che abbiano, quantomeno, il diritto di intervenire nella decisione di fissazione della residenza, cosicchè la valutazione di tali volontà è elemento, non determinante, che, tuttavia, contribuisce all'individuazione del centro di vita del minore.

Tale "residenza abituale" del minore è il luogo in cui lo stesso trova e riconosce, anche grazie a una permanenza tendenzialmente stabile, il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, originati dallo svolgersi della sua quotidiana vita di relazione (vedi Cass., sez. I, n. 397/2006), trattandosi di apprezzamento del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivato. E' stato poi ulteriormente precisato che, a tal fine, per residenza abituale del minore al momento della proposizione della domanda, deve intendersi il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale e non quello risultante da un calcolo puramente aritmetico del vissuto (vedi Cass., S.U., n. 1984/2012).

Da ultimo (v. Cass., S.U., n. 5418/2016) tale concetto è stato interpretato come «il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale, e non quello risultante da un calcolo puramente aritmetico del vissuto. (Nella specie, applicando l'enunciato principio, la S.C. ha ritenuto corretta la motivazione del giudice di merito, per la quale doveva considerarsi abitualmente residente in Brasile il minore che vi aveva vissuto fra i tre e i sei anni di età, periodo intensamente relazionale, con un intervallo di appena sei mesi, trascorso in Italia)».

La Suprema Corte ha altresì chiarito che la nozione di "residenza abituale" posta dalla Convenzione dell'Aja corrisponde ad una situazione di fatto, dovendo per essa intendersi il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località della sua quotidiana vita di relazione, il cui accertamento è riservato all'apprezzamento del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivato (Cass., sez. I, n. 22507/2006). Peraltro anche se con riguardo all'ambito di applicazione della Convenzione dell'Aja, la Suprema Corte (S.U., n. 16864/2011) ha stabilito che «In tema di giurisdizione sui provvedimenti de potestate, l'art. 1 della convenzione dell'Aja dà rilievo unicamente al criterio della residenza abituale del minore, quale determinata in base alla situazione di fatto esistente all'atto dell'introduzione del giudizio, non consentendo, quindi il mutamento della competenza, in ossequio al diverso principio di "prossimità", poiché questo è evocabile solo in tema di competenza interna; pertanto, in caso di trasferimento di un minore (nella specie dalla Svizzera all'Italia) permane la giurisdizione del giudice di residenza abituale, ancorché l'autorità giudiziaria adita a seguito del trasferimento abbia emesso provvedimenti interinali per ragioni d'urgenza».

Il criterio della vicinanza riveste tale pregnanza che la giurisdizione sulle domande relative all'affidamento dei figli ed al loro mantenimento, ove pure proposte congiuntamente a quella di separazione giudiziale, appartiene al giudice del luogo in cui il minore risiede abitualmente, a norma dell'art. 8, Reg. n. 2201/2003, Consiglio del 27 novembre 2003, tanto da escludere che il consenso del genitore alla proroga della giurisdizione sia ravvisabile dalla mancata contestazione della giurisdizione da parte di un coniuge (v. Cass., S.U., n. 30646/2011).

Osservazioni

La pronuncia in esame evidenzia come il criterio discretivo per stabilire quale sia il giudice chiamato a decidere sull'affidamento del minore sia basato sul concetto di “residenza abituale” che rimanda ad una valutazione in concreto da effettuarsi da parte del giudice del merito e che, se logicamente e congruamente motivata, non è ricorribile per cassazione.

Nel caso oggetto della sentenza in commento, la decisione della Suprema Corte si fonda sulla relazione del Servizio sociale da cui era emerso un quadro di disagio dovuto all'allontanamento del minore dalla città spagnola ove aveva vissuto nonchè sulla circostanza che gli stessi genitori, al momento della cessazione della loro convivenza, avevano sottoscritto un documento in cui affermavano di voler rimanere entrambi in Spagna, disponendo che nel caso di allontanamento di uno di loro dalla città, gli accordi già presi sarebbero stati modificati nel senso di consentire all'altro genitore un regime di visite facilitate, così implicitamente prevedendo la permanenza del figlio in quel Paese.

A riguardo va quindi rilevato come il giudizio rimesso al giudicante, considerata anche l'età del minore, si sia potuto basare su elementi di inequivoca interpretazione.

Più complesso appare, invece, individuare la residenza abituale e, conseguentemente, la giurisdizione, in neonati o in bambini di pochi mesi che non hanno ancora avuto modo di stringere legami solidi con il contesto che li circonda. In tali ipotesi, invero non appare altrettanto facile stabilire ove trovi il proprio baricentro la vita del minore, dovendosi valutare principalmente la stabilità e la durata della presenza del minore in un dato territorio che, di norma, coincide con quello del genitore che rappresenti per il bambino la figura essenziale di riferimento.

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