Se la parte non contesta i fatti, i rapporti degli investigatori privati sono prova nella separazione

14 Settembre 2015

Il Tribunale di Milano ripercorre, con ordinanza, la propria giurisprudenza in materia di efficacia probatoria dei risultati delle indagini affidate all'investigatore privato, specificando i requisiti necessari affinché tali rapporti possano avere accesso al processo come prove.

Il Tribunale di Milano, con la sentenza del 1° luglio 2015, affronta il tema della rilevanza probatoria dei rapporti formati dagli investigatori privati.

Richiamando il proprio indirizzo giurisprudenziale, il Giudice milanese ricorda che «in caso di contestazione, le relazioni degli investigatori privati non possono avere efficacia probatoria se non mediante introduzione nel processo di fatti precisi, circostanziati e chiari che il terzo (investigatore) abbia appreso con la sua percezione diretta: e ciò mediante la raccolta della prova orale nel processo». I risultati delle indagini investigative private possono accedere al processo come prove tramite l'escussione testimoniale del soggetto che abbia percepito direttamente i fatti, nel rispetto del principio dell'oralità e del contraddittorio.

Tale regola, di portata generale, non si applica qualora la parte contro cui le relazioni investigative sono prodotte, non abbia, ai sensi dell'art. 115 c.p.c., specificatamente contestato i fatti in esse dedotti che, dunque, in quel caso, rivestono efficacia probatoria giacchè «la non contestazione specifica costituisce un comportamento univocamente rilevante, con effetti vincolanti per il giudice, il quale deve astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale»

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