Insultare il coniuge non è più reato

Stefania Cervieri
15 Marzo 2016

Perché sia integrato il reato di ingiuria (abrogato dal recente d.lgs. n. 7/2016) il carattere offensivo delle espressioni utilizzate deve essere valutato in modo assoluto ed astratto ovvero deve essere apprezzato nell'ambito del contesto sociale e di relazione nel quale tali espressioni vengono pronunciate? Su tale questione si è pronunciata la Corte di Cassazione.
Massima

Non costituisce reato scrivere una lettera all'ex moglie nella quale, tra l'altro, si sostiene che la stessa aveva acquistato, per effetto del matrimonio, stima e considerazione che prima non aveva, e che poi aveva perso a seguito della fine del rapporto coniugale.

Il caso

Tizio, a seguito del divorzio dalla moglie, le inviava una lettera nella quale testualmente scriveva «sposando me hai acquistato stima e considerazione che non avevi e che ora hai riperso. Per averla devi andare fuori R. dove nessuno ti conosce o conosce i tuoi precedenti. A R. ti conoscono molto bene, anzi troppo e nessuno vuole avere rapporti di amicizia con te. Ti ho dato la possibilità di restaurare la casa che altrimenti tu non avresti potuto fare, facendoti bella di fronte ai tuoi parenti che ritenevano, a giusto parere, povera ed impossibilitata a poter fare tutto ciò che hai fatto. Ti sei voluta disfare di me per avere la tua vita da single ed essere libera di fare ciò che vuoi con il risultato che oggi sei sola e che per avere compagnia devi sfruttare la pietà altrui o fare ricorso a ricompense immediate (e tu sai a che cosa mi riferisco) o future. Mi hai negato una vita sessuale regolare cui ogni marito o moglie aspirano, gettando io al vento la mia florida gioventù (a te questo non è mai importato perché tanto sapevi dove andare)».

Il Giudice di Pace, ritenendo lesivo dell'onore della ex moglie il contenuto della missiva, condannava Tizio per il reato di ingiuria ex art. 594 c.p..

In riforma della decisione di primo grado, il Tribunale assolveva Tizio. Avverso tale decisione l'ex moglie proponeva ricorso per Cassazione.

La questione

La questione in esame è la seguente: perché sia integrato il reato di ingiuria il carattere offensivo delle espressioni utilizzate deve essere valutato in modo assoluto ed astratto ovvero deve essere apprezzato nell'ambito del contesto sociale e di relazione nel quale tali espressioni vengono pronunciate?

Le soluzioni giuridiche

La giurisprudenza, ai fini dell'apprezzamento della valenza lesiva di determinate espressioni, le distingue in due categorie. Da un lato si collocano quelle di per sé obiettivamente lesive dell'onore e del decoro, ossia quelle che, superando i limiti invalicabili, posti dall'art. 2 Cost., a tutela della dignità umana (per la loro intrinseca carica di disprezzo e dileggio e/o per la riconoscibile volontà di umiliare il destinatario), sono da considerarsi in sé offensive e, quindi, inaccettabili in qualsiasi contesto pronunciate; dall'altro le espressioni che, viceversa, non avendo un'intrinseca carica ingiuriosa devono essere apprezzate con riferimento ad un criterio di “media convenzionale”, tenendo conto della personalità dell'offeso e dell'offensore e del contesto nel quale sono pronunciate.

Per le espressioni della seconda specie si pone, dunque, un problema di relatività dell'ingiuria. Il significato offensivo di un'espressione si ricollegherebbe, in primo luogo, al momento storico di riferimento (ad esempio l'epiteto “fascista”, espressione considerata elogiativa in un determinato momento storico, può assumere carattere offensivo in epoca attuale); in secondo luogo al contesto sociale (così l'espressione “mafioso” disonorante in un certo contesto, può non esserlo in un altro). Infine, occorrerebbe fare riferimento alla personalità delle parti, ai rapporti tra gli stessi intercorrenti, alla categoria sociale o professionale cui appartiene l'offeso ed agli eventuali antecedenti del fatto.

In definitiva i criteri cui fare riferimento ai fini della configurabilità del reato non possono essere considerati fissi ed immutabili nel tempo, bensì destinati a modellarsi ai cambiamenti della cultura e dei costumi sociali.

La sentenza in commento si inserisce nell'orientamento consolidato sopra descritto. Una volta accertato, infatti, che le «generalissime espressioni adoperate non varcano quei limiti invalicabili, posti dall'art. 2 Cost. a tutela della dignità umana» il giudicante ritiene che nel caso di specie si debba adottare il criterio della relatività delle ingiurie, dal momento che «le frasi utilizzate dall'imputato, nel quadro di un rapporto familiare fallito con la persona offesa, esprimono, nella sua soggettiva percezione, una irrisolta amarezza per tale esito e una valutazione critica della condotta serbata dalla destinataria della comunicazione (ex moglie)».

La condotta viene peraltro posta in essere in un quadro di persistente conflitto tra le parti, legato alla rottura del rapporto matrimoniale (ed infatti l'invio della missiva avveniva a ridosso di una decisione con la quale era stata rigettata una richiesta di modifica delle condizioni di separazione avanzata dall'imputato).

Il giudice di legittimità, sottolineando, da un lato, l'evoluzione dei costumi, con riferimento alle modalità comunicative adottate e, dall'altro, il particolare contesto nel quale le espressioni si inseriscono, esclude pertanto la configurabilità del reato.

Osservazioni

Occorre in primo luogo segnalare che, in forza dell'art. 1 d.lgs. 15 gennaio 2016 n. 7, il delitto di ingiuria, al pari di altri reati minori, è stato abrogato.

I reati abrogati per effetto del suddetto decreto sono stati trasformati in illeciti civili sottoposti a sanzioni pecuniarie e pertanto costituiscono ora fatti che, se dolosi, obbligano oltre alle restituzioni e al risarcimento del danno secondo le leggi civili, anche al pagamento della sanzione pecuniaria civile determinata dal giudice sulla base dei criteri individuati dall'art. 5 del medesimo decreto (gravità della violazione, reiterazione dell'illecito, arricchimento del soggetto responsabile, opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze dell'illecito, personalità dell'agente, condizioni economiche dell'agente).

Per quanto riguarda il caso concreto è importante rilevare che, in forza dell'art. 12 d.lgs n. 7/2016 le disposizioni relative alle sanzioni pecuniarie civili si applicano anche ai fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto, salvo che il procedimento sia stato definito con sentenza o decreto irrevocabili. In tale ultima ipotesi il giudice dell'esecuzione, nelle forme previste dall'art. 667 comma 4 c.p.p., dovrà revocare la sentenza o il decreto, dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato.

A seguito delle modifiche normative di cui si è dato conto, l'ingiuria risulta ora disciplinata dall'art. 4 comma 1 lett. a) d.lgs. n. 7/2016. L'illecito è punito con la sanzione pecuniaria civile da cento a ottomila euro (ovvero da duecento a dodicimila euro qualora l'offesa consista nell'attribuzione di un fatto determinato o sia commessa in presenza di più persone). Il giudice può non applicare la sanzione pecuniaria ad uno o entrambi gli offensori in caso di reciprocità delle offese o in caso di provocazione.

Intervenuta tale trasformazione dell'illecito, l'unica modifica testuale rispetto alla formulazione dell'art. 594 c.p. riguarda l'inclusione delle comunicazioni informatiche o telematiche nel novero delle possibili modalità con cui può essere posta in essere la condotta tipica. La pronuncia in esame, così come le altre interpretazioni formulate con riferimento al precedente disposto normativo, conserva, pertanto, profili di sicura attualità.

L'accertamento giudiziale ai fini dell'integrazione del reato, verificato il mancato superamento del minimum di tutela dell'onore e del decoro che deve essere assicurato ad ogni persona in quanto tale, passa dunque attraverso la contestualizzazione delle espressioni offensive in rapporto alla “coscienza sociale media” (Cass., 10 dicembre 2014, n. 52082).

Nel caso di specie la Cassazione rileva preliminarmente che le espressioni utilizzate non superano i limiti invalicabili a tutela della dignità umana di cui all'art. 2 Cost.; la Corte, di conseguenza, attribuendo rilievo al contesto di perdurante conflittualità tra i coniugi derivante dal fallimento del rapporto familiare, e valorizzando la libertà di pensiero e di critica dell'imputato rispetto alla condotta della ex moglie, nonché l'evoluzione dei costumi con riferimento alle modalità comunicative adottate, esclude la configurabilità del reato.

Particolarmente nell'ambito dei rapporti familiari, dunque, a prescindere dall'intervenuta trasformazione dell'ingiuria, il confine tra lecito ed illecito dovrà essere valutato alla luce di una serie di parametri. Appurato il mancato superamento della quota minima di continenza verbale che è necessario conservare nel rispetto della dignità di qualunque individuo, si dovrà dare infatti rilievo alla particolare natura del rapporto coniugale, il quale implica necessariamente un maggiore livello di confidenza ed intimità, che può, in determinate situazioni, giustificare un inasprimento dei toni della discussione; dovrà essere poi valutato lo specifico contesto in cui determinate espressioni vengono proferite, poiché, ad esempio, nel corso di un acceso scambio di opinioni, anche frasi poco eleganti possono non essere considerate tali da ledere l'onore e il decoro del destinatario, non traducendosi in un oggettivo giudizio di disvalore sulle qualità personali della persona offesa. Infine, il contesto familiare può giustificare una maggiore libertà di espressione del proprio pensiero, eventualmente anche in forma critica.

Guida all'approfondimento

- A.G. Sommaruga, sub art. 594 c.p., in Codice Penale Commentato fondato da Emilio Dolcini e Giorgio Marinucci, IV ed., Milano, 2015

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario