Riconoscimento del figlio nato da maternità surrogata: dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 263 c.c.

Redazione Scientifica
15 Dicembre 2016

La Corte d'appello di Milano ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 263 c.c., nella parte in cui non prevede che l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità del figlio possa essere accolta solo quando sia ritenuta dal giudice rispondente all'interesse del minore.

Il caso. Nonostante l'accoglimento della richiesta di trascrizione del certificato di nascita proposta dai genitori, il Tribunale per i minorenni di Milano ha autorizzato, su richiesta del PM, l'impugnazione del riconoscimento effettuato dalla madre nei confronti di un minore in quanto dalle indagini era emerso che il bambino era nato in India in seguito a maternità surrogata.

Il curatore speciale a tal fine nominato ha chiesto, quindi, al Tribunale di Milano di dichiarare l'inefficacia del riconoscimento e di ordinare al competente Ufficiale di stato civile di procedere con le conseguenti annotazioni.

Avverso il provvedimento con il quale il Giudice milanese ha accolto la domanda del curatore, ha proposto appello la madre sollevando, in via subordinata, questione di legittimità costituzionale dell'art. 12, comma 6, l. n. 40/2004, in relazione agli artt. 2, 3, 13, 29, 31 e 32 Cost., nella parte in cui pone il divieto assoluto di effettuare la maternità surrogata.

Costituitosi in giudizio, il curatore, pur chiedendo il rigetto della domanda nel merito, ha sostenuto la questione di legittimità proposta dall'appellante, prospettando ulteriori profili di incostituzionalità della norma in oggetto.

Il divieto di surrogazione di maternità tutela la dignità personale della gestante. La Corte d'appello di Milano ritiene che il divieto di surrogazione di maternità contrasti effettivamente, sotto diversi profili, con le norme costituzionali richiamate dall'appellante. Tali profili, tuttavia, non sono idonei a fondare il dubbio di costituzionalità dell'art. 12, comma 6, l. n. 40/2004 se si considera il divieto posto dalla norma quale strumento necessario per garantire altri valori di pari rango, a fronte dei quali risulterebbe giustificata la limitazione legislativa dei diritti richiamati. In particolare, «appare irriducibile il contrasto tra maternità surrogata e principio di dignità personale della gestante» con riferimento non solo alla “mercificazione” del suo corpo, degradato, per contratto, a solo strumento di procreazione ma anche all'obbligo di disporne come mero mezzo per fini altrui. Ne consegue che l'art. 12, comma 6, l. n. 40/2004 garantisce la tutela dei diritti fondamentali della donna violata nella dignità in quanto vincolata alla gestazione per altri, attuata nella logica dello sfruttamento e della commercializzazione del proprio corpo. Tale condizione potrebbe non ravvisarsi qualora fosse consentito alla stessa, in modo libero e consapevole, di accedere e dare il proprio consenso alla gestazione per conto di altri in un contesto regolamentato in termini non meramente commerciali e prevedendo la possibilità di ripensarci e tenere il bambino con sé.

La prospettiva così descritta è, evidentemente, estranea alla fattispecie in esame e di conseguenza il dubbio di costituzionalità dell'art. 12, comma 6, non assume rilevanza nel caso di specie.

L'impugnazione del riconoscimento può essere accolta se risponde all'interesse del minore. La Corte d'appello ritiene, invece, prospettabile una diversa questione di costituzionalità che pone al centro l'interesse del nato da maternità surrogata a vedersi riconosciuto e mantenuto uno stato di filiazione quanto più rispondente alle sue esigenze di vita. Il dubbio di costituzionalità deriva dalla formulazione dell'art. 263 c.c. nella parte in cui non prevede che l'impugnazione del riconoscimento del minore per difetto di veridicità possa essere accolta solo quando ritenuta dal giudice rispondente all'interesse del minore stesso, in connessione con l'interpretazione fornita sia dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale che esclude l'esistenza di un conflitto tra favor veritatis e favor minoris, sia dalla giurisprudenza sovranazionale dalla quale può trarsi un obbligo positivo degli Stati contraenti di tutelare l'identità personale del minore in quanto individuo, a prescindere dai suoi legami biologici con i genitori intenzionali. Gli Stati membri, infatti, possono vietare o scoraggiare il ricorso alla “surrogacy” ma non possono rifiutare la trascrizione di un atto di nascita che assicuri il rispetto del best interest del minore.

La Corte dichiara, quindi, rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 263 c.c. in relazione, oltre agli artt. 2, 3, 30 e 32 Cost., anche agli artt. 117 Cost. e 8 CEDU in quanto non pare conforme al diritto del minore al rispetto della propria vita privata l'impossibilità di valutare se vada o meno assicurato il mantenimento della riconosciuta relazione filiale del nato da maternità surrogata con i genitori di intenzione. Dispone, quindi, la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

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