Adozione in casi particolari e coppie dello stesso sesso: si pronuncia la Corte d'appello di Milano

Matteo Winkler
16 Giugno 2017

La Corte d'appello deve decidere su una questione che concerne la possibilità per una persona di adottare la figlia biologica della convivente dello stesso sesso ai sensi dell'art. 44, lett. d), della legge sulle adozioni.
Massima

L'adozione speciale o in casi particolari, disciplinata dall'art. 44, lett. d),l., 4 maggio 1983, n. 184, non richiedendo l'avvenuta dichiarazione di adottabilità del minore bensì unicamente la verifica della compatibilità dell'adozione con l'interesse di quest'ultimo, può essere pronunciata nel contesto di una famiglia composta da due persone dello stesso sesso in una stabile relazione affettiva.

Il caso

Con la sentenza resa il 9 febbraio 2017 la Corte d'appello di Milano ha riformato il provvedimento del Tribunale per i minorenni in data 13 settembre 2016, che aveva rifiutato un'adozione in casi particolari "incrociata" a favore di una coppia di donne.

Il caso traeva origine dai ricorsi – successivamente riuniti in un unico procedimento – presentati da due donne allo scopo di ottenere ciascuna l'adozione della figlia biologica dell'altra. Incontratesi nel 2001 e dal 2002 in una stabile relazione affettiva e di convivenza, nel 2010 le due donne decidevano di intraprendere un progetto procreativo condiviso in Belgio, dove prima l'una e poi l'altra, grazie all'accesso alla procreazione medicalmente assistita e al seme di un medesimo donatore anonimo, avevano dato alla luce due bambine.

Al fine di consolidare i rispettivi legami familiari con le figlie, le donne avevano domandato al Tribunale per i minorenni del capoluogo lombardo l'adozione di cui all'art. 44, lett. d), l. 4 maggio 1983, n. 184. Il Tribunale aveva però rigettato i loro ricorsi, ritenendo non sussistenti i requisiti previsti da detta norma per l'adozione in casi particolari.

La questione

La questione sottoposta alla Corte d'appello concerne la possibilità per una persona di adottare la figlia biologica della convivente dello stesso sesso ai sensi dell'art. 44, lett. d), della legge sulle adozioni, che disciplina l'adozione in casi particolari o speciale (nel caso, la c.d. adozione coparentale, nota nel dibattito pubblico con la terminologia anglosassone di stepchild o secondparent adoption).

Al riguardo, la norma citata stabilisce che un minore possa essere adottato «quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo», ricorrendo tale ipotesi ogniqualvolta non ricorra la condizione prevista dall'art. 7 della citata legge, e cioé il minore non sia stato dichiarato in stato di adottabilità, non sussistendone le condizioni. Nel caso di specie, al pari di tutte le ipotesi di omogenitorialità in generale, questa condizione non ricorre perché il minore non si trova in stato di abbandono, ma continua a vivere con il proprio genitore biologico, che appare tuttora idoneo ad occuparsene.

Si tratta pertanto di chiarire se a tale figura genitoriale se ne possa aggiungere una seconda che non sia legata alla prima da un rapporto di coniugio ma di semplice convivenza, essendo l'opzione del matrimonio preclusa dall'assenza, nel nostro ordinamento, dell'istituto del matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Le soluzioni giuridiche

Sull'art. 44, lett. d), legge sulle adozioni, la giurisprudenza ha registrato sino a oggi due orientamenti opposti.

Secondo l'interpretazione maggioritaria, inaugurata da una prima pronuncia del Tribunale per i minorenni di Roma del 2014 e seguita poi da pronunce successive (v. ad es. Trib. min. Roma, 30 dicembre 2015; App. Roma, 23 dicembre 2015; App. Torino, 27 maggio 2016, n. 27 e 28, che hanno riformato le decisioni del Trib. min. Torino, 9 e 11 settembre 2015, n. 258 e 259), la «constatata impossibilità di affidamento preadottivo» deve intendersi come impossibilità non solo di fatto ma anche giuridica, e ciò sia in virtù del dato letterale della norma, che è estremamente generico, sia perché una diversa soluzione «non consentirebbe il perseguimento dell'interesse preminente del minore in situazioni, come quella di cui qui trattasi, in cui il figlio di soggetto convivente con l'adottante abbia con quest'ultimo un rapporto del tutto equivalente a quello che si instaura normalmente con un genitore, al quale però l'ordinamento negherebbe qualsiasi riconoscimento e tutela» (Trib. min. Roma, 30 luglio 2014, n. 429).

Una seconda interpretazione, adottata invece dal Tribunale per i minorenni di Milano proprio nel caso in epigrafe e oggi smentita dalla Corte d'appello, sostiene che l'esistenza dello stato di abbandono costituisce il presupposto indefettibile per qualsivoglia forma di adozione, inclusa quella contemplata dall'art. 44, lett. d). Dietro a questa conclusione si cela peraltro l'espressa convinzione che «l'adozione è un istituto giuridico che […] richiede […] un modello giuridico di riferimento, per cambiare il quale] occorre inevitabilmente la scelta del legislatore […]. Il riferimento al matrimonio è il quadro normativo di tutela massima per il minore adottato».

A sostegno del primo orientamento deve necessariamente menzionarsi la sentenza della Cassazione, 22 giugno 2016, n. 12962 che ha confermato la correttezza della soluzione adottata dalle corti di merito. Per la Corte, la particolare ipotesi adozione speciale di cui all'art. 44, lett. d), mira «a dare riconoscimento giuridico, previo rigoroso accertamento della corrispondenza della scelta all'interesse del minore, a relazioni affettive continuative e di natura stabile instaurate con il minore e caratterizzate dall'adempimento di doveri di accudimento, di assistenza, di cura e di educazione analoghi a quelli genitoriali». Si tratta insomma di sancire giuridicamente una relazione che già esiste in via di fatto. Inoltre, la Corte è stata piuttosto chiara nell'affermare che «l'accertamento di una situazione di abbandono […] non costituisce, differentemente dall'adozione legittimante, una condizione necessaria per l'adozione in casi particolari», in quanto, «coerentemente con il sistema della tutela dei minori e dei rapporti di filiazione biologica ed adottiva attualmente in vigore, deve ritenersi sufficiente l'impossibilità “di diritto” di procedere all'affidamento preadottivo e non solo quella “di fatto”, derivante da una condizione di abbandono in senso tecnico-giuridico o di semi-abbandono».

Aderendo invece all'orientamento minoritario, il Tribunale per i minorenni di Milano ha ritenuto, attraverso una serie di ragioni che i giudici d'appello riportano puntualmente nella loro motivazione, che l'interpretazione maggioritaria non corrisponderebbe né alla lettera né alla ratio dell'adozione coparentale. Da un lato, l'art. 44 configurerebbe una disposizione a carattere residuale ma tassativo, in quanto tale riferibile nel suo complesso solo a casi di assenza di figure genitoriali idonee o comunque a situazioni «che hanno alla base l'abbandono o gravi carenze delle figure genitoriali». Dall'altro lato, e con una logica del tutto circolare, la situazione portata all'attenzione dei giudici minorili – quella di due donne legate da una stabile convivenza – rappresenterebbe in realtà, sempre secondo il Tribunale, un caso di adozione ex art. 44, lett. b) (da parte del coniuge del genitore biologico o adottivo), che però non potrebbe essere esteso al convivente in conseguenza del principio di tassatività.

In aggiunta, come si accennava supra, per il giudice di prime cure l'adozione speciale, al pari di quella congiunta, «richiede un modello giuridico di riferimento» per cambiare il quale «occorre inevitabilmente la scelta del legislatore». Tale modello, così come costruito a partire dal dato testuale dell'art. 29 Cost., non includerebbe l'unione omosessuale, che rientra invece nell'art. 2. A suggellare questa impostazione sarebbe infine la l., 20 maggio 2016, n. 76 di regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze la quale, rifiutando di occuparsi dell'adozione da parte degli uniti civilmente, avrebbe confermato la volontà del legislatore di non assimilare le due fattispecie del matrimonio e dell'unione civile sotto il profilo dell'adozione.

La Corte d'appello ha ribaltato tutte queste conclusioni, pronunciando l'adozione a favore delle appellanti. Secondo la Corte, infatti, il ragionamento del Tribunale finisce per impedire la valutazione, sempre necessaria, della compatibilità del provvedimento richiesto con l'interesse del minore, «interesse che deve avere valore preminente rispetto ad altre considerazioni».

Sotto un primo profilo, l'art. 44, lett. d), si presenta quale norma residuale a carattere aperto, da leggersi«alla luce della ratio dell'intero istituto dell'adozione speciale e dei principi cardine del superiore interesse del minore e del suo diritto a mantenere la continuità (anche giuridica) di legami con persone con cui abbia rapporto stabile e duraturo».

In secondo luogo, la Corte osserva che la l. n. 76/2016, nell'equiparare – al suo art. 1, comma 20 – gli uniti civilmente ai coniugi rispetto a qualsivoglia legge, regolamento, atto amministrativo o contratto collettivo, precisa che «resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti». Tale espressione deve necessariamente interpretarsi come facente riferimento all'«interpretazione giurisprudenziale così come si è sviluppata nel tempo e come indicata da ultimo dalla Suprema Corte con sentenza n. 12962/2016». Con riguardo a quest'ultima sentenza, inoltre, la Corte d'appello osserva che il Tribunale ha voluto sfuggire «ad un confronto lineare e convincente con le indicazioni fornite […] dalla Corte di Cassazione», e nello specifico alla necessità di valutare sempre la realizzazione dell'interesse del minore nel caso di specie. Il Tribunale ha insomma «ravvisato ostacoli all'adozione richiesta che viceversa la norma non pone».

Da ultimo, la Corte precisa che, «ove le indagini [sull'idoneità dell'adottante] diano esito positivo, l'adozione risponda all'interesse del minore e vi sia il consenso di tutti i soggetti interessati [… non possono] essere posti ostacoli alla richiesta di adozione se non per il prevalere di pregiudizi legati ad una concezione dei vincoli familiari non più rispondente alla ricchezza e alla complessità delle relazioni umane nell'epoca attuale».

Osservazioni

La sentenza della Corte d'appello di Milano riconduce l'adozione coparentale nei giusti binari già indicati dalla Cassazione nella sentenza n. 12692/2016. Due profili in particolare meritano attenzione.

Sotto un primo profilo, mentre certamente non esiste un diritto dell'adulto ad adottare un minore, esiste un diritto a non vedersi discriminati in virtù del proprio orientamento sessuale nei procedimenti di adozione (Corte EDU, 22 gennaio 2008, ric. n. 43546/02, E.B. c. Francia). Rappresenta inoltre una discriminazione vietata dall'art. 8 CEDU, in combinato disposto con l'art. 14, il fatto di riconoscere la possibilità di adozione coparentale in seno alle coppie di conviventi di sesso diverso e non – coeteris paribus – alle coppie dello stesso sesso (Corte EDU., 19 febbraio 2013, ric. n. 19010/07, X e altri c. Austria). È proprio l'aspetto sovranazionale che il Tribunale ha chiaramente trascurato, sulla base di una non meglio precisata libertà degli Stati contraenti «di differenziare, in relazione ai diversi modelli [di famiglia], le varie forme di tutela», con la conseguenza di aver «escluso dal diritto di famiglia», come spiegano i giudici d'appello, quel rapporto tra persone dello stesso sesso che è espressione vera e propria di vita familiare. Alla prospettiva chiusa e formale del Tribunale la Corte ne oppone una aperta e capace di riconoscere, come si è visto, «la ricchezza e la complessità delle relazioni umane nell'epoca attuale».

In secondo luogo, come in una sorta di vademecum per i giudici di merito, la Corte d'appello ricorda i presupposti per la positiva applicabilità dell'art. 44, lett. d): il consenso del genitore biologico, la realizzazione del preminente interesse del minore, l'effettiva idoneità e capacità dell'adottante di istruire ed educare il minore; la presenza di elementi positivi relativamente alla famiglia dell'adottante, alla sua situazione personale, economica e di salute; la possibilità dell'idonea convivenza tra l'adottante e il minore, il tutto in relazione alla personalità di quest'ultimo. Tali presupposti, ricorda opportunamente la Corte, «hanno all'evidenza un carattere preponderante e ben più pregnante rispetto alle semplici pre-condizioni di cui all'art. 44».

Guida all'approfondimento

M. Gattuso, M. M. Winkler, Le adozioni, in G. Buffone, M. Gattuso, M.M. Winkler, Unione civile e convivenza. Commento alla l. 20 maggio 2016, n. 76, aggiornato ai dd.lgs. 19 gennaio 2017, nn. 5, 6, 7 e al d.m. 27 febbraio 2017, Giuffrè, 2017, 304 ss.

P. Morozzo della Rocca, Progetti di procreazione e provvedimenti di adozione, in M. Gorgoni (cur.), Unioni civili e convivenze di fatto. L. 20 maggio 2016, n. 76, Santarcangelo di Romagna, 2016, 143 ss.

A. Sperti, La tutela del superiore interesse del minore alla luce dei principi costituzionali e del diritto costituzionale comparato nell'adozione del secondo genitore, in GenIUS, Rivista di studi giuridici sull'orientamento sessuale e l'identità di genere, n. 1/2015, 236 ss.

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