Figlio maggiorenne portatore di handicap grave: affidamento ai genitori o Ads?

Rita Rossi
16 Settembre 2016

Nel procedimento di separazione o di divorzio, è inammissibile la domanda di affidamento del figlio maggiorenne portatore di handicap grave, dovendosi procedere alla nomina di una figura di sostegno nell'interesse di questi.
Massima

Nel procedimento di separazione o di divorzio, è inammissibile la domanda di affidamento del figlio maggiorenne portatore di handicap grave, dovendosi procedere alla nomina di una figura di sostegno nell'interesse di questi. Conseguentemente, gli atti vanno trasmessi ex artt. 406 e 417 c.c. al pubblico ministero affinché valuti la possibilità di promuovere il relativo procedimento.

Il caso

Nell'ambito del giudizio di divorzio, il padre di una giovane maggiorenne, portatrice di handicap grave, ne chiede l'affidamento condiviso. All'epoca della separazione consensuale (anteriore alla riforma di cui alla l. n. 54/2006), infatti, la figlia minore era stata affidata alla madre.

A scioglimento della riserva assunta all'esito dell'udienza presidenziale, il presidente del tribunale di Treviso dichiara inammissibile la domanda di affidamento, confermando la collocazione della giovane presso la madre e disponendo la trasmissione degli atti al pubblico ministero per la valutazione relativa alla proposizione del procedimento di nomina di una figura di sostegno.

Nella motivazione, il giudice trevigiano si sofferma ampiamente sulla questione del coordinamento tra la previsione di equiparazione del figlio gravemente disabile al figlio minorenne di cui all'art.337 septies c.c., e gli istituti di protezione dell'incapace.

La questione

Ilprovvedimento in esame affronta l'interrogativo di quale sia lo strumento di protezione da applicare in favore del figlio di genitori separati o divorziati, maggiorenne ma portatore di una grave disabilità. La questione sorge dal raffronto tra due distinte previsioni.

La prima, inserita nella disciplina dell' affidamento dei figli nella separazione dei genitori, si trova nell'art. 337 septies c.c., il cui secondo comma stabilisce: «Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori».

La seconda previsione, rectius, insieme di previsioni, è costituita dalla disciplina di cui agli artt. 404 ss. c.c., contemplante la misura dell'amministrazione di sostegno in favore delle persone prive di autonomia.

In effetti, la condizione del figlio maggiore d'età, privo di autonomia a causa della disabilità di cui è portatore, coinvolge entrambi gli istituti dell'affidamento e delle misure di protezione stabilizzata.

Nell'evidenza dell'impossibilità di sovrapporre i due istituti, il giudice di Treviso, dopo avere passato in rassegna le posizioni della dottrina, inaugura una soluzione, per così dire, di coordinamento.

Le soluzioni giuridiche

L'orientamento pressoché univoco della giurisprudenza è nel senso dell'applicabilità ai figli maggiorenni portatori di handicap grave, ai sensi della l. n. 104/1992, delle disposizioni in tema di frequentazione, cura, mantenimento ed assegnazione della casa familiare, ma non anche di quelle sull'affidamento. In tal senso si è pronunciata la stessa Corte di Cassazione, con sentenza24 luglio 2012, n. 12977, e, nella giurisprudenza di merito, App. Catania, 29 gennaio 2015 e Trib. Padova, 22 maggio 2006.

In posizione minoritaria è l'orientamento che estende ai figli maggiorenni disabili anche l'istituto dell'affidamento (v. Trib. Venezia, 26 aprile 2006).

L'orientamento prevalente si fonda sulla condivisibile considerazione che affidare il figlio maggiore d'età ai genitori ne limiterebbe, fino ad escluderla, la capacità legale di agire, in netto contrasto con l'attuale sistema di protezione delle persone prive di autonomia.

Detto orientamento ha ricevuto recentemente un'importante riaffermazione in una ordinanza emessa dal presidente del Tribunale di Potenza, nell'ambito di un giudizio di divorzio.

Al centro del provvedimento lucano (ordinanza del 12 gennaio 2016, in F.I. 2016, 4, 1458) vi era la questione dei compiti di accudimento e assistenza da porre a carico del genitore non convivente con il figlio maggiorenne portatore di handicap grave, genitore recalcitrante a prendersi cura del figlio.

Il giudice di Potenza ha affrontato, preliminarmente, la questione di come vada intesa l'integrale applicazione al maggiorenne gravemente disabile delle norme previste per i minori, sancita dall'art. 337 septies c.c., escludendo che essa possa essere riferita all'affidamento.

E la ragione di tale esclusione è stata correttamente individuata nel fatto che il raggiungimento della maggiore età determina il venir meno della presunzione legale di incapacità e della responsabilità dei genitori, mentre per la persona priva della naturale capacità di intendere e di volere si deve fare ricorso ad altri istituti giuridici.

Il giudice lucano ha concluso, pertanto, per l'estensibilità al maggiorenne gravemente disabile delle «norme dettate per i minori che siano compatibili guardando alla ratio legis dell'intervento normativo e, quindi, in linea di principio: il diritto al mantenimento, il diritto alla casa familiare, il diritto all'audizione», nonché il diritto di ricevere quel complesso di attenzioni, di premure e di atti di assistenza ed ausilio che risulta ancor più pregnante riguardo al figlio disabile.

Nell'escludere la riferibilità all'"affido" del richiamo operato dall'art. 337 septies c.c., detto provvedimento ha dunque anticipato la decisione veneta.

Anche questa muove dall'interrogativo su quale sia la portata dell'equiparazione dettata dall'art. 337 septies c.c., stante l'assenza di norme di coordinamento con la disciplina dell' ADS.

L'esame della questione viene affrontata passando in rassegna gli orientamenti delineatisi nella dottrina.

Così, sulla base di un primo orientamento, l'istituto dell'affidamento sarebbe applicabile anche al figlio maggiorenne portatore di handicap grave, quanto meno in via provvisoria, allorquando questi non sia già tutelato da una misura di protezione e sempre che egli versi in condizione di totale mancanza della capacità di intendere e volere. L'affidamento decadrebbe, poi, nel momento dell'attivazione della misura di protezione.

In senso contrario, per un secondo orientamento, l'affidamento non sarebbe applicabile, contrastando esso con gli istituti di protezione stabilizzata, e ciò in ragione delle limitazioni che ne deriverebbero.

Il giudice trevigiano inaugura un orientamento che definisce 'mediano', soppesando le ragioni dell'una e dell'altra posizione.

Il giudice osserva, così, che a favore dell'applicabilità in via provvisoria dell'affidamento genitoriale deporrebbe (i) il fatto che ciò consentirebbe di colmare un vulnus di tutela del soggetto debole nelle more fra la maggiore età e l'attivazione della misura di protezione e, altresì (ii) il fatto che sarebbe riduttivo e contrastante con la ratio ampiamente protettiva della norma il limitare l'estensibilità alle sole disposizioni di ordine economico.

In senso contrario all'applicabilità dell'affidamento depone, invece, sempre secondo il provvedimento in commento, la funzione stessa di tale istituto, che è quella di garantire al figlio un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi genitori e, per tale via, lo sviluppo armonioso e completo della personalità. Data questa funzione, conclude il giudicante, l'affidamento non può sopperire all'assenza di uno strumento di protezione dei soggetti incapaci.

La domanda di affidamento proposta dal padre viene, allora, dichiarata inammissibile, non ponendosi oltretutto (osserva il giudice) questione sulla collocazione della giovane nè sull'assegnazione della casa familiare, e gli atti vengono trasmessi al pubblico ministero «dovendosi provvedere alla nomina di una figura di sostegno».

Osservazioni

La decisione in commento ha senza dubbio il merito di affrontare la questione delle misure lato sensu protettive da mettere in campo in favore della persona con disabilità grave, maggiorenne e convivente con uno dei genitori separati o divorziati. La gran parte della motivazione è, infatti, dedicata a tale interrogativo e al connesso problema del coordinamento tra 'affidamento' e 'misure di protezione stabilizzata'.

La soluzione adottata in concreto, tuttavia, non sembra configurare un "orientamento mediano" tra i due diversi orientamenti illustrati dall'estensore, esprimendo un chiaro 'no' all'applicabilità dell'affidamento, con conseguente declaratoria di inammissibilità della domanda del padre.

Più che esprimere un orientamento mediano, la decisione assunta offre, dunque, una risposta di coordinamento, sotto tale profilo assolutamente apprezzabile.

La soluzione adottata, tuttavia, nasconde un possibile rischio per la giovane disabile, rischio insito nelle norme richiamate e nelle scelte lessicali compiute dal giudice veneto riguardo agli strumenti di protezione.

Nel dispositivo, infatti, si legge: «dovendosi provvedere alla nomina di una figura di sostegno a tutela del soggetto incapace, trasmette ex artt. 406 e 417 c.c. gli atti al Pubblico Ministero affinché valuti la possibilità di promuovere il relativo procedimento».

Come noto, l'art. 406 c.c. indica i soggetti legittimati alla domanda di nomina dell'amministratore di sostegno, mentre l'art. 417 c.c. individua i soggetti legittimati a promuovere il giudizio di interdizione.

Il riferimento neutro ad entrambe le disposizioni codicistiche, inattaccabile sul piano strettamente giuridico, si traduce di fatto nell'attribuire pari dignità alle due misure di protezione, laddove - al contrario - è ben nota la differente considerazione che il Legislatore e la Cassazione hanno attribuito ad esse.

È certamente innegabile che la scelta dello strumento di protezione spetti al giudice funzionalmente competente, e non al giudice della separazione dei genitori; ma, non può tacersi del rischio (purtroppo realistico) che un p.m. troppo fedele alla tradizione e al sistema ante-riforma chieda non la nomina di un amministratore di sostegno, bensì la pronuncia di interdizione giudiziale. E quand'anche, poi, nella migliore delle ipotesi, il giudice dell'interdizione disponga ex art. 418 c.c. la trasmissione degli atti al giudice tutelare ai fini della nomina dell'ADS, si saranno persi tempo ed energie che avrebbero invece dovuto essere rivolte fin da subito alla protezione della giovane disabile.

Purtroppo, l'intero provvedimento è caratterizzato da una 'non scelta' di campo a favore dell'amministrazione di sostegno; non vi si scorge, cioè, l'elezione dell'ADS quale misura di protezione da adottare in posizione di assoluta preminenza rispetto ai vecchi strumenti di protezione.

Un'indicazione più apertamente orientata in tal senso avrebbe rappresentato, nondimeno, un input rassicurante per il prosieguo.

Guida all'approfondimento

- V. Caredda, La responsabilità genitoriale. Spunti di riflessione, in Dir. Fam. Pers., 2015, 1424, fasc. 4

- A. Arceri, La tutela dei figli portatori di handicap, in L'affidamento dei figli nella crisi della famiglia, a cura di M. Sesta e A. Arceri, 2012, 465-482

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