Non sono trascrivibili i matrimoni omosessuali contratti all’estero da cittadini italiani

Redazione Scientifica
16 Novembre 2015

La Corte d'Appello di Milano ha confermato la decisione del giudice di primo grado in merito all'intrascrivibilità del matrimonio omosessuale contratto all'estero da cittadini italiani. L'impedimento alla trascrizione del matrimonio tra persone dello stesso sesso nasce dall'attuale contesto normativo nazionale che non riconoscendo questa unione la rende inidonea a produrre effetti.

Il caso. Il Tribunale di Milano nel 2014 aveva respinto il ricorso ex art. 95 DPR 396/2000 presentato da due uomini italiani, già sposati nel 2012 in Brasile e successivamente coniugati nel 2013 con matrimonio civile in Portogallo, contro il rifiuto di trascrizione dell'atto di matrimonio da parte dell'Ufficiale di Stato Civile del Comune di Milano. Della questione veniva investita la Corte d'Appello di Milano, intervenivano in giudizio, a sostegno dei ricorrenti principali, un'altra coppia omosessuale e l'associazione Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford. La Corte con decisione del 6 novembre 2015 ha confermato il decreto emesso dal Tribunale di Milano.

Legittimazione degli intervenienti all'impugnazione. La Corte d'Appello si sofferma preliminarmente sulla legittimazione degli intervenienti ad impugnare. Viene ammesso l'intervento ex art. 105, comma 2, c.p.c. dell'associazione Avvocatura per i Diritti LGBTI-Rete Lenford, in quanto soggetto terzo rappresentativo per statuto degli interessi dei cittadini LGBTI, il quale vanta un interesse che lo legittima ad intervenire in giudizio. L'Associazione ha come scopo, infatti, quello di sviluppare e diffondere la cultura ed il rispetto dei diritti delle persone LGBTI, favorendo anche la tutela giudiziaria e l'utilizzazione di strumenti di tutela collettiva presso le corti nazionali e internazionali.

La diversità di sesso dei coniugi non è prevista tra i requisiti richiesti per la celebrazione del matrimonio. Passando al merito della questione, la Corte d'Appello osserva come la diversità di sesso, pur non essendo espressamente enunciata fra i requisiti richiesti per la celebrazione del matrimonio, può desumersi da una lettura sistematica del quadro giuridico di riferimento, non potendo «condividersi l'approccio atomistico ai singoli articoli» proposto dai ricorrenti. Secondo la Corte l'introduzione esplicita da parte del legislatore del 1942 della diversità di sesso tra i requisiti elencati all'art. 84 c.c. «sarebbe stata quasi un fuor d'opera, essendo quella diversità, nella realtà sociale, culturale e giuridica dell'epoca, un presupposto implicito dell'istituto matrimoniale». Tale requisito, «seppur non indicato espressamente agli articoli 84 e seguenti del codice civile tra le condizioni necessarie per contrarre matrimonio, trova riferimento in numerose altre norme la cui struttura richiama lessicalmente i due contraenti del matrimonio, indicati per l'appunto come “marito” e “moglie”, in una prospettiva di senso delle norme stesse(...). Si tratta di plurimi riferimenti normativi che escludono che quelle norme siano inclusive del matrimonio tra persone dello stesso sesso». Peraltro, tali considerazioni sono state confermate più volte dalla Corte Costituzionale (sent. n. 138/2010; sent. n. 170/2014). I giudici richiamano anche la lettura operata dalla Cassazione nella sentenza n. 4184/2012 da cui, ad avviso dei ricorrenti, può desumersi «che il paradigma eterosessuale del matrimonio non risulti costituzionalizzato nell'articolo 29» e che «la qualificazione della famiglia come società naturale starebbe proprio ad indicare positivamente la sua naturale attitudine ad essere formazione sociale in continua evoluzione e che, per realizzare tale finalità, la stessa nozione di famiglia data dalla norma deve essere adeguata all'evoluzione delle regole sociali».
Tuttavia «pur valorizzando il contenuto di norma “aperta” attribuibile all'art. 29, la cui regolazione normativa non è inesorabilmente legata alla definizione di matrimonio accolta dal legislatore del 1942, e riconducendo il paradigma eterosessuale sul piano della legislazione primaria, permane comunque l'effetto preclusivo costituito dall'attuale disciplina legislativa, costituzionalmente compatibile».
Dunque, tale effetto deriva dalla legislazione ordinaria e non può superarsi sulla base della normativa europea, nonostante la giurisprudenza della Corte di Strasburgo richiamata abbia un «rilevante impatto evolutivo anche ai fini della valutazione dell'esistenza e validità nel nostro ordinamento di un matrimonio omosessuale».

Nessun contrasto con l'ordine pubblico internazionale. La Corte d'appello di Milano, poi, esclude che il matrimonio omosessuale possa essere in contrasto con l'ordine pubblico internazionale, rilevando semmai, che «la previsione del matrimonio tra persone dello stesso sesso concretizza il riconoscimento di principi di uguaglianza e di non discriminazione e che tale rilievo, unitamente alle indicazioni normative e all'evoluzione giurisprudenziale più sopra richiamate, nonché al fatto che l'accesso delle coppie omosessuali al matrimonio è consentito da numerosi paesi dell'Unione Europea, e anche da Stati europei oltre i confini dell'Unione, inducono a ritenere che gli effetti del matrimonio omosessuale non contrastino con l'ordine pubblico internazionale». La valutazione di non contrasto con l'ordine pubblico internazionale è conforme, altresì, alla sentenza della Cassazione 9 febbraio 2015, n. 2400.

Il matrimonio omosessuale contratto all'estero da cittadini italiani non è trascrivibile. Secondo la Suprema Corte, pensiero condiviso anche dai giudici d'appello, il matrimonio omosessuale è «esistente e valido», ma non è «idoneo a produrre effetti giuridici nel nostro ordinamento, e, perciò, nemmeno trascrivibile». Si osserva, inoltre, che «la questione della trascrivibilità o meno del matrimonio tra persone dello stesso sesso, contratto all'estero da cittadini italiani, “..dipende dalla soluzione della più generale questione.. se la Repubblica Italiana riconosca e garantisca a persone dello stesso sesso.. il diritto fondamentale di contrarre matrimonio..”».

L' inidoneità dell'atto alla produzione di effetti provoca un'inefficacia in senso stretto non dipendente da altri vizi, nonostante se ne riconosca "l'intrinseca validità" oltre che la "consistenza sociale": gli effetti vitali rimangono, tuttavia, preclusi a causa della mancanza di una previsione legislativa.Ne consegue che nell'attuale quadro normativo, il matrimonio tra coppie dello stesso sesso non corrisponde alla tipologia del matrimonio delineato nel nostro ordinamento e non è perciò trascrivibile.

Il giudice, inoltre, non può colmare il vuoto normativo sostituendosi al legislatore, potendo al più garantire la tutela della vita comune delle coppie omosessuali nell'ottica della scelta operata dalla Corte EDU e dell'UE.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte d'Appello respinge nel merito il reclamo, confermando il decreto impugnato e dichiara ammissibile l'intervento dell'Avvocatura per i Diritti LGBTI – Rete Lenford.

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