Il coniuge ha diritto al TFR percepito durante il giudizio di divorzio

Paola Silvia Colombo
31 Marzo 2017

La Corte d'appello di Salerno affronta la questione del sorgere del diritto in capo a un coniuge alla quota del TFR maturato dall'altro in pendenza del giudizio di divorzio e, quindi, prima della pronuncia e del passaggio in giudicato della sentenza.
Massima

In tema di divorzio, il diritto alla quota di cui all'art. 12-bis legge 10 dicembre 1970, n. 898 (ai sensi del quale il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno divorzile, ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza) sorge anche se l'indennità spettante all'altro coniuge sia maturata nel corso della procedura di divorzio, atteso che tale norma prevede l'avvenuta pronuncia di una sentenza di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e detta espressione è univocamente riferita ad una sentenza passata in giudicato.

Il caso

In pendenza del giudizio di divorzio, Tizio percepisce l'indennità di fine rapporto e la moglie Caia instaura autonomo procedimento al fine di vedersi attribuita, ex art. 12-bis l. 10 dicembre 1970 n. 898, la quota del 40% di quanto percepito; a tal fine Caia cita in giudizio, tra gli altri, il coniuge e l'INPS. Il Tribunale respinge la richiesta di Caia e dichiara il difetto di legittimazione passiva dei terzi convenuti. Il decreto viene reclamato da Caia, che insiste in via principale nella domanda di attribuzione della quota del TFR, mentre, in via subordinata, formula domanda di riunione del procedimento al giudizio di divorzio.

La questione

La pronuncia in esame affronta, da un lato, la questione del sorgere del diritto in capo a un coniuge alla quota del TFR maturato dall'altro in pendenza del giudizio di divorzio e, quindi, prima della pronuncia e del passaggio in giudicato della sentenza e, dall'altro, la questione dell'effettiva attribuzione della quota stessa.

Le soluzioni giuridiche

Il decreto in commento fornisce risposta positiva al primo problema, corredando la pronuncia di un'interessante panoramica della fattispecie e dei precedenti giurisprudenziali sulla materia.

La questione nasce dall'infelice formulazione dell'art. 12-bis, comma 1,l. n. 898/1970, che recita «Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell'art. 5 a una percentuale dell'indennità di finerapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro, anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza».

Il dato testuale della norma sembrerebbe, infatti, escludere dalle fattispecie regolate il caso in cui l'indennità maturi in pendenza del giudizio di divorzio, dopo la proposizione della relativa domanda.

La giurisprudenza ha escluso una siffatta interpretazione e si è, invece, orientata a far rientrare nella previsione dell'articolo in commento non solo il caso in cui il diritto alla quota di indennità sorga una volta intervenuta la pronuncia di divorzio (caso che non può dar adito a dubbi, esistendo il riconoscimento dell'assegno divorzile), ma anche nell'ipotesi in cui il TFR maturi nel corso del giudizio di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, quando, dunque, non si sia ancora giunti all'attribuzione definitiva dell'assegno divorzile.

La ratio di questa interpretazione si fonda su ragioni di giustizia sostanziale e mira a parificare la situazione in cui l'indennità sia maturata prima della sentenza di divorzio ma in pendenza del relativo giudizio a quella in cui sia maturata dopo.

Tuttavia, se è vero che il diritto alla quota sorge qualora l'indennità sia maturata dopo la proposizione della domanda di divorzio, la concreta attribuzione della percentuale prevista dall'art. 12-bis, comma 2, l. n. 898/1970 potrà essere riconosciuta solo all'esito del giudizio qualora la sentenza abbia consacrato il diritto del coniuge all'assegno divorzile.

Sino ad allora, il titolare del diritto potrà solo ricorrere ad azioni cautelari a salvaguardia del proprio credito, essendogli preclusa la possibilità di richiedere l'immediata attribuzione della quota.

Osservazioni

La questione relativa al riconoscimento all'ex coniuge di una quota pari al 40% del trattamento di fine rapporto è stata per anni oggetto di acceso dibattito giurisprudenziale. L'interpretazione maggioritaria è giunta a ritenere necessaria, a fini dell'attribuzione della stessa, la sussistenza simultanea dei seguenti requisiti:

- l'esistenza di una sentenza di divorzio passata in giudicato;

- l'assenza di nuove nozze del richiedente;

- la titolarità dell'ex coniuge dell'assegno divorzile;

- la cessazione del rapporto di lavoro del coniuge onerato;

- la maturazione del diritto all'indennità.

La necessità della contestuale esistenza dei presupposti indicati ha portato gli interpreti a escludere il sorgere del diritto di cui all'art.12-bis nei casi in cui l'indennità venga a maturare durante il matrimonio o in pendenza del giudizio di separazione tra i coniugi e in vigenza del periodo di separazione. È pacifico infatti che nelle ipotesi richiamate non sussisterebbero le condizioni indicate.

Invero, il sorgere del diritto alla quota di TFR segue il riconoscimento del diritto alla titolarità dell'assegno divorzile. Non sarebbe pertanto possibile - né in alcun modo ragionevole - riconoscere la quota a giudizio non ancora instaurato, in previsione di un evento incerto e che nemmeno è dimostrabile che si verifichi nel futuro.

Potrebbe obiettarsi che anche nell'ipotesi in cui l'indennità venga a maturare dopo la presentazione della domanda di divorzio o in pendenza del relativo procedimento non sussisterebbero le condizioni previste dalla norma, mancando, in effetti, l'esistenza di una sentenza passata in giudicato che abbia consacrato il diritto all'assegno divorzile.

A tale situazione, tuttavia, la giurisprudenza ormai consolidata (cfr. Cass. civ., ord. n. 14129/2014; Cass. civ., n.25520/2010; Cass. civ., n. 12175/2011; Cass. civ., n. 19427/2003) ha dato una risposta univoca in senso favorevole al beneficiario, ammettendo il sorgere del diritto alla quota qualora l'indennità spettante all'altro coniuge sia maturata al momento della proposizione della domanda di divorzio o comunque in pendenza del relativo giudizio. Quello che si richiede è, in ogni caso, la successiva conferma dell'attribuzione dell'assegno divorzile in via definitiva.

L'interpretazione richiamata è, d'altra parte, rispettosa del principio di ragionevolezza, dovendosi interpretare l'”anche” previsto dall'art. 12-bis, comma 1, l. n. 898/1970 nel senso di poter estendere il diritto in esso consacrato anche alla situazione in cui l'indennità sia matura nel corso del giudizio.

In questi casi la quota spettante al coniuge potrà essergli attribuita con la sentenza che definisce il giudizio, purché il provvedimento conclusivo riconosca al coniuge più debole l'assegno post matrimoniale.

Se da un lato è, quindi, da escludere che il coniuge lavoratore possa essere obbligato ad accantonare una quota della liquidazione percepita prima che il giudizio di divorzio sia iniziato, dall'altro lato, una volta verificatasi tale condizione il titolare dell'indennità di fine rapporto dovrà garantire, in presenza del riconoscimento dell'assegno divorzile, l'attribuzione della quota del TFR erogato.

Separatamente deve essere risolta, invece, la questione dell'effettiva liquidazione della quota. La domanda potrà essere certamente svolta nel giudizio di divorzio e la quota di TFR sarà attribuita all'esito del procedimento con la sentenza che riconosca l'assegno divorzile. La domanda di attribuzione potrà essere, invece, proposta separatamente con autonomo giudizio solo all'esito del passaggio in giudicato della sentenza che abbia riconosciuto l'assegno. Prima di allora, infatti, non potrebbe il Giudice del separato giudizio statuire sulla domanda mancando una sentenza di divorzio passata in giudicato che ne costituisce antefatto logico-giuridico.

La pronuncia della Corte d'appello di Salerno ha dunque correttamente statuito sul rigetto della domanda.

Nel caso in esame, infatti, pur confermando la Corte territoriale il consolidato orientamento giurisprudenziale favorevole al sorgere del diritto alla quota di TFR nel corso del giudizio di divorzio (cfr. Cass., ord. n. 14129/2014; Cass. civ., n. 12175/2011; Cass. civ., n. 25520/2010; Cass. civ., n. 24057/2006; Cass. civ. n. 19046/2005; Cass. civ., n. 14459/2004; Cass. civ., n. 19427/2003), ha negato la liquidazione della quota sul presupposto che – dovendo valutare la fattispecie in autonomo giudizio – non vi era alcuna sentenza di divorzio passata in giudicato tra le parti ed era del tutto incerto l'esito del procedimento di divorzio stesso.

L'unico rimedio a disposizione della reclamante – come correttamente suggerito dalla Corte – avrebbe potuto piuttosto essere l'esperimento di azioni cautelari a tutela del proprio diritto di credito, non essendosi ancora concretizzati nel caso esaminato tutti i requisiti per l'attribuzione della quota.

In ogni caso, la domanda di liquidazione, anche se momentaneamente esclusa, potrà essere riformulata dal coniuge titolare del diritto ex art. 12-bis l. n. 898/1970 al termine del procedimento di divorzio, una volta che la sentenza definitiva sia passata in giudicato con previsione di un assegno divorzile per lo stesso.

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