No all’adozione “incrociata” per una coppia omosessuale, essendo richiesto il vincolo matrimoniale

Redazione Scientifica
17 Novembre 2016

Il Tribunale per i minorenni di Milano ha rigettato i ricorsi presentati da due donne conviventi poi unite civilmente, contenenti istanze “incrociate” di adozione delle rispettive figlie biologiche, nate tramite fecondazione assistita con seme del medesimo uomo, rimasto anonimo.

Il caso. Due donne conviventi hanno fatto ricorso alla fecondazione assistita dando alla luce ciascuna un figlio. Entrambe hanno, quindi, presentato al Tribunale per i minorenni di Milano due ricorsi, successivamente riuniti, aventi ad oggetto due istanze “incrociate” di adozione delle figlie biologiche di ciascuna delle ricorrenti ex art. 44, lett. d), l. n. 184/1983.

Il rapporto di coniugio garantisce una maggiore tutela per il minore adottato. Il Tribunale ritiene che la fattispecie in esame potrebbe rientrare, in astratto, nell'ambito di applicazione dell'art. 44, lett. b), l. n. 184/1983. Malgrado il diverso orientamento espresso da taluni giudici di merito e confermato dalla Corte di cassazione con la pronuncia 12962/2016, la ”impossibilità di affidamento preadottivo”, cui fa riferimento l'art. 44 lett. d) riguarderebbe un'impossibilità di fatto e non già di diritto, presupponendo pur sempre il preventivo accertamento dello stato di abbandono. Il legislatore per istituire lo status di figlio tra il minore ed un adulto legato da un vincolo affettivo (e non biologico) ha richiesto una garanzia maggiore e cioè la presenza di un vincolo di coniugio, in quanto da questo legame consegue una «cornice giuridica nella coppia» che ricade, come sicurezza, anche sul minore. La convivenza, al contrario, laddove non sia almeno previamente regolata ai fini di consentire la valutazione di sussistenza di presupposti minimi di garanzia dell'adottando, presenta difficoltà di definizione, accertamento e riconoscibilità dei legami familiari. Ratio dell'art. 44, lett. b) è, quindi, quella di garantire che l'adozione avvenga nel contesto di maggiore tutela per il minore.

Il necessario vincolo coniugale esclude l'adozione da parte di coppie omosessuali. Secondo il Collegio, tale conclusione non comporta alcuna discriminazione tra le coppie di fatto eterosessuali e quelle omosessuali. Le norme CEDU, infatti, pur apprestando ampia tutela alla vita familiare al di fuori del matrimonio, attribuiscono agli Stati contraenti la facoltà di valutare e differenziare le varie forme di garanzia applicabili ai diversi modelli di famiglia.

La legge 11 maggio 2016, n. 76 stabilisce che le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e quelle che contengono la parola “coniuge”, o termini equivalenti, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile ad eccezione delle norme del codice civile non espressamente richiamate nella legge nonché delle disposizioni di cui alla l. 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo quanto stabilito in materia di adozione dalle norme vigenti, nel senso che potrà essere valutato eventualmente, nel caso concreto, l'accesso all'adozione ogni qualvolta sia ammessa anche da parte di chi non è coniuge.

Nel caso di specie, non solo tale normativa non sarebbe comunque applicabile in quanto il ricorso è stato depositato precedentemente, ma appare comunque desumibile la chiara volontà del legislatore di confermare la necessaria sussistenza di un vincolo di coniugio per procedere con l'adozione ex art. 44, lett. b). Per questi motivi, il Tribunale per i minorenni di Milano rigetta entrambi i ricorsi.

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