Patti di trasferimento di immobili e inammissibilità del ricorso ex art. 710 c.p.c.

Gustavo Danise
18 Luglio 2016

Il ricorso allo strumento ex art. 710 c.p.c. per modificare il contenuto degli accordi negoziali, già presenti nel decreto di omologa dell'accordo di separazione, di cui i coniugi intendono modificare il quantum, non è ammissibile traducendosi nell'utilizzo improprio di una misura rimediale a fini squisitamente privatistici e contrattuali.
Massima

Il ricorso allo strumento ex art. 710 c.p.c., per modificare il contenuto degli accordi negoziali, già presenti nel decreto di omologa dell'accordo di separazione, di cui i coniugi intendono modificare il quantum non è ammissibile traducendosi nell'utilizzo improprio di una misura rimediale a fini squisitamente privatistici e contrattuali.

Il caso

Due coniugi depositavano ricorso per la separazione consensuale, ottenendo l'omologa dell'accordo, che prevede, tra l'altro, anche l'obbligo di trasferimento di immobili.

Con ricorso ex art. 710 c.p.c. i coniugi intendevano modificare il contenuto dell'accordo di separazione limitatamente ai patti aventi ad oggetto il trasferimento degli immobili, oltre ad annessi locali adibiti a posteggio ed autorimessa.

Le questioni

Le questioni affrontate dal Tribunale di Milano nel decreto in commento sono le seguenti:

1) ammissibilità e natura giuridica dei patti di trasferimento di immobili nell'accordo di separazione;

2) ammissibilità del ricorso ex art. 710 c.p.c. per la modifica dell'accordo di separazione omologato al fine di rideterminare il contenuto dei trasferimenti immobiliari;

3) ammissibilità della costituzione di un diritto reale di parcheggio.

Le soluzioni giuridiche

Nel dichiarare inammissibile il ricorso, il Tribunale di Milano, dopo un'ampia analisi sul problema della qualificazione giuridica degli accordi di separazione aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali immobiliari, affronta il problema dell'utilizzabilità del procedimento di modifica delle condizioni di separazione ex art. 710 c.p.c. per ritoccare il contenuto quantitativo degli accordi pregressi con riguardo al trasferimento di immobili.

Il Tribunale milanese sposa la tesi della inammissibilità, sottolineando che il procedimento ex art. 710 c.p.c., possidente natura rimediale, non è idoneo a perseguire fini squisitamente privatistici e contrattuali dei coniugi, per soddisfare i quali le parti possono attivarsi motu proprio. Infine, riguardo alla richiesta di costituire su uno dei locali in contesa «diritti esclusivi e perpetui di posteggio», il Collegio si allinea all'orientamento consolidato della Cassazione che ne ravvisa la «nulla per impossibilità dell'oggetto» (Cass. civ., 6 novembre 2014, n. 23708) in quanto il parcheggio di autovetture costituisce manifestazione di un possesso a titolo di proprietà del suolo, non anche estrinsecazione di un potere di fatto riconducibile al contenuto di un diritto di servitù, del quale difetta la realitas, intesa come inerenza al fondo dominante dell'utilità, così come al fondo servente del peso (Cass. civ., 7 marzo 2013, n. 5760), mentre la mera commoditas di parcheggiare l'auto per specifiche persone che accedano al fondo (anche numericamente limitate) non può in alcun modo integrare gli estremi della utilità inerente al fondo stesso, risolvendosi, viceversa, in un vantaggio affatto personale dei proprietari (Cass. civ., 28 aprile 2004 n. 8137).

Osservazioni

Nella fattispecie posta all'attenzione del Collegio milanese, i coniugi hanno attivato il procedimento di modifica delle condizioni di separazione ex artt. 158 c.c. e 710 c.p.c. per modificare il quantum dell'accordo di separazione omologato relativamente al trasferimento di immobili ed aggiungere la costituzione di un diritto reale di posteggio ed autorimessa su alcuni locali.

Com' è noto, il procedimento speciale ex artt. 158 c.c. e 710 c.p.c. è attivabile in presenza del presupposto sancito dall'art. 156, comma 7, c.c., ossia «qualora sopravvengano giustificati motivi». La domanda dei coniugi già è di per sé inammissibile ove la richiesta di modifica non sia supportata da circostanze sopravvenute, ma derivi da una rimeditazione del regolamento complessivo dell'assetto degli interessi contrapposti stabilito all'epoca della separazione, finalizzata a renderlo più funzionale al soddisfacimento delle rispettive esigenze dopo un periodo iniziale di sperimentazione. In tale ultimo caso mancherebbe l'aliquid novi quale presupposto indefettibile per l'esperimento dell'azione, fermo restando che i coniugi possono determinarsi in tal senso indipendentemente dal Tribunale nell'esercizio della loro autonomia negoziale. Ma il Tribunale di Milano ha fatto di più! Pur ipotizzando che la domanda dei coniugi fosse supportata da sopravvenienze fattuali, richiedenti un intervento riequilibratore, il Collegio milanese ha dichiarato inammissibile il ricorso, postulando la inadeguatezza ed improprietà dello strumento giuridico adottato rispetto al fine perseguito. Difatti, la modifica delle condizioni di separazione ha natura rimediale rispetto allo squilibrio originario delle rispettive posizioni determinato dalla sopravvenienza di circostanze e deve pertanto partecipare della stessa natura del negozio atipico stipulato tra i coniugi nell'accordo di separazione; deve, in altre parole, ripristinare l'equilibrio delle posizioni reciproche, incrinato dall'incidenza di circostanze sopravvenute, ma sempre tenendo fede alla “causa interna” dell'accordo di separazione, volto alla riperimetrazione del contenuto dei diritti e doveri reciproci derivanti dagli artt. 143 ss. c.c. dopo la cessazione della convivenza. Ne consegue che il suddetto procedimento rimediale non può essere asservito a scopi puramente negoziali e contrattuali, perché verrebbe sviato dalla sua funzione specifica. Pertanto, ove i coniugi intendano modificare il contenuto dell'accordo di separazione relativamente alla parte dei trasferimenti immobiliari, potranno farlo motu proprio con la stipula di un atto pubblico notarile.

Con riferimento alla seconda questione, il Tribunale di Milano ha applicato l'orientamento ormai granitico in giurisprudenza di legittimità della nullità della clausola di costituzione del diritto reale di parcheggio. I diritti reali previsti nel c.c. sono un numerus clausus; tra di essi non è annoverato il diritto di parcheggio, il quale costituisce manifestazione di un possesso a titolo di proprietà del suolo, non anche estrinsecazione di un potere di fatto riconducibile al contenuto di un diritto di servitù, del quale difetta la realitas, intesa come inerenza al fondo dominante dell'utilità, così come al fondo servente del peso (Cass. civ., 7 marzo 2013, n. 5760), mentre la mera commoditas di parcheggiare l'auto per specifiche persone non può in alcun modo integrare gli estremi della utilità inerente al fondo stesso, risolvendosi, viceversa, in un vantaggio personale dei proprietari (Cass. civ., 28 aprile 2004, n. 8137). Ne consegue che la costituzione di un «diritto di servitù di parcheggio» è «nulla per impossibilità dell'oggetto» (Cass. civ., 6 novembre 2014, n. 23708) e può derivare solo da un contratto costitutivo di un diritto personale di godimento, con conseguente applicazione del regime giuridico dei rapporti obbligatori.

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