L’assegno divorzile: resiste al vaglio di legittimità costituzionale il parametro del “tenore di vita goduto in costanza di matrimonio”

19 Maggio 2015

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, L. n. 898/1970. L'esistenza di un “diritto vivente” non trova, infatti, riscontro nella giurisprudenza del giudice della Suprema Corte di Cassazione
Massima

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, l. n. 898/1970. L'esistenza di un “diritto vivente” secondo cui l'assegno divorzile ex art. 5, comma 6, della legge n. 898/1970 «deve necessariamente garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio» non trova, infatti, riscontro nella giurisprudenza del giudice della Suprema Corte di Cassazione, che ha ben chiarito che il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non costituisce l'unico parametro di riferimento ai fini della statuizione sull'assegno divorzile. Per consolidato orientamento del Giudice di legittimità tale parametro rileva, per determinare «in astratto il tetto massimo della misura dell'assegno» ma, «in concreto», va poi bilanciato, caso per caso, con tutti gli altri criteri indicati nello stesso denunciato art. 5 che «agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto» e possono «valere anche ad azzerarla».

Il caso

Il Tribunale di Firenze, chiamato a decidere sulla sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di un assegno divorzile in favore del coniuge debole, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 l. div. e ha rimesso alla Corte Costituzionale il vaglio di legittimità delle disposizioni in tema di assegno divorzile come interpretato dalla generalità dei giudici di merito e anche dalla Suprema Corte.

Il Collegio era chiamato a decidere sulla domanda riconvenzionale di una moglie che chiedeva il riconoscimento di un assegno divorzile di € 5.000,00 assumendo che l'assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione - pari a € 750,00 mensili - era inidoneo a garantirle il mantenimento del medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio potendo durante il matrimonio permettersi oltre che il soggiorno, a spese del marito e per diversi mesi, negli appartamenti di loro proprietà a Capo Verde, anche di frequenti viaggi e permanenze all'estero nei mesi invernali, di auto di lusso e ristoranti eleganti.

Di contro il marito, assumendo l'autosufficienza economica di entrambi i coniugi, chiedeva che non venisse riconosciuto alcun assegno divorzile evidenziando la breve durata del matrimonio (di soli 2 anni), l'assenza di figli, la capacità imprenditoriale della moglie e l'adeguatezza dei suoi redditi a garantirle un dignitoso tenore di vita.

Eccepiva quindi questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 l. n. 898/1970 nell'interpretazione data dalla generalità dei giudici e anche dalla Corte di Cassazione.

Il Tribunale di Firenze nell'ordinanza di rimessione alla Corte osserva che la consolidata e granitica interpretazione dell'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970 (come modificato dalla l. n. 74/1987), formatasi nell'ultimo ventennio in forza dell'orientamento dalla Corte di Cassazione delineato dal 1990 (Cass, S.U, n. 11490/1990), ha creato il diritto vivente nel senso di ritenere che l'assegno divorzile deve garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e prescinde dalle statuizioni economiche relative ai figli.

Il “diritto vivente” - ossia la norma interpretata in maniera costante e conforme dalla giurisprudenza - vivrebbe ormai nell'ordinamento in maniera così radicata che sarebbe difficilmente ipotizzabile una modifica del sistema senza interventi del legislatore o della Corte Costituzionale.

La questione

La questione di legittimità costituzionale attiene all'interpretazione “vivente” dell'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970 il cui accoglimento, secondo il Tribunale remittente, permetterebbe al giudice di stabilire l'importo dell'assegno divorzile alla luce delle circostanze del caso senza dover automaticamente applicare il criterio “dell'analogo tenore di vita” imposto dal diritto vivente.

Per il Collegio remittente la norma si porrebbe, infatti, in contrasto:

  • con l'art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto l'assegno di divorzio, pur avendo una finalità meramente assistenziale, finirebbe con l'attribuire l'obbligo di garantire per tutta la vita un tenore di vita agiato in favore del coniuge ritenuto economicamente più debole; per il Tribunale di Firenze, infatti, la norma sarebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza su cui posa l'art. 3 Cost., perché di fatto proietterebbe oltre l'orizzonte matrimoniale il tenore di vita fruito in costanza di matrimonio, prolungando all'infinito i vincoli economici derivanti da un fatto (il matrimonio) che non esiste più proprio per effetto del divorzio e ciò senza che vi sia una giustificazione adeguata sotto il profilo della tutela di interessi e diritti costituzionali.
  • con l'art. 2 Cost., sotto il profilo del dovere di solidarietà, in quanto la tutela del coniuge debole non comporterebbe l'obbligo di consentire, ben oltre il contesto matrimoniale, il mantenimento delle medesime condizioni economiche godute durante lo stesso matrimonio. Scopo della norma è quello di stabilire all'assegno divorzile una finalità assistenziale. Individuare il presupposto dell'assegno post matrimoniale nello sbilanciamento delle posizioni economiche degli ex coniugi e poi quantificarlo nella cifra congrua a garantire il medesimo tenore di vita rappresenterebbe una l'alterazione della funzione assistenziale dell'assegno che travalica il dato normativo e l'intenzione del legislatore.
  • con l'art. 29 Cost., in quanto risulterebbe anacronistico ricondurre l'assegno divorzile al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, senza considerare l'attuale portata del divorzio, della famiglia e del ruolo dei coniugi. Il profondo mutamento dell'istituto del matrimonio e il definitivo superamento della visione tradizionale che privilegiava gli aspetti assistenziali e patrimoniali del matrimonio diretti a garantire alla donna una posizione e uno status sociale, stride con la necessità della prosecuzione degli obblighi economici anche oltre la dissoluzione del vincolo.
Le soluzioni giuridiche

Con sentenza, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la proposta questione di legittimità costituzionale (C. cost., sent., 9 febbraio 2015, n. 11)

Rileva la Corte l'erronea interpretazione della normativa de qua offerta del Tribunale rimettente evidenziando in motivazione che «l'esistenza presupposta di un “diritto vivente” secondo cui l'assegno divorzile ex art. 5, comma 6, della l. n. 898/1970 “deve necessariamente garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio” non trova riscontro nella giurisprudenza del giudice della nomofilachia (che costituisce il principale formante del diritto vivente), secondo la quale, viceversa, il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non costituisce l'unico parametro di riferimento ai fini della statuizione sull'assegno divorzile”.

Aggiunge che «La Corte di cassazione, in sede di esegesi della normativa impugnata, ha anche di recente, in tal senso, appunto, ribadito il proprio “consolidato orientamento”, secondo il quale il parametro del “tenore di vita goduto in costanza di matrimonio” rileva, bensì, per determinare “in astratto […] il tetto massimo della misura dell'assegno” (in termini di tendenziale adeguatezza al fine del mantenimento del tenore di vita pregresso), ma, «in concreto», quel parametro concorre, e va poi bilanciato, caso per caso, con tutti gli altri criteri indicati nello stesso denunciato art. 5».

Tali criteri (condizione e reddito dei coniugi, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla formazione del patrimonio comune, durata del matrimonio, ragioni della decisione) «agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto» e possono «valere anche ad azzerarla» (così testualmente, da ultimo, Cass., sez. I civ., sent., 5 febbraio 2014, n. 2546; in senso conforme, Cass., sent., 28 ottobre 2013, n. 24252; Cass., 21 ottobre 2013, n. 23797; Cass., 12 luglio 2007, n. 15611; Cass., 22 agosto 2006, n. 18241; Cass., 19 marzo 2003, n. 4040, ex plurimis)».

Osservazioni

Con la pronuncia in disamina la Corte Costituzionale affronta la questione della legittimità costituzionale della disposizioni in punto di assegno divorzile dettate dall'art. 5, L. n. 898/1970. La sintetica ma chiara pronuncia del Giudice delle leggi, richiama con fermezza i criteri da valutare nella determinazione della misura dell'assegno divorzile ribadendo l'assenza di un parametro unico (rappresentato dal tenore di vita) a cui far riferimento ai fini della determinazione dell'assegno post matrimoniale.

Utile risulta la riflessione proposta dalla Corte Costituzionale, la quale ha ribadito il consolidato orientamento della Corte di Cassazione secondo la quale il parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio rileva in astratto per determinare “tetto massimo” della misura dell'assegno che in concreto concorre e va bilanciato con tutti gli altri criteri dettati ed indicati nell'art. 5 in disamina. Anche di recente (Cass. civ., sez. I, sent., 5 febbraio 2014) la Suprema Corte ha ribadito l'iter logico da operare per la determinazione dell'assegno suddividendolo in due fasi: la prima volta a verificare la sussistenza dei presupposti per l'attribuzione patrimoniale e la seconda diretta a determinarne la misura. In questa seconda fase ricostruito il tenore di vita quale paramento tendenziale di riferimento «il giudice deve poi procedere alla determinazione in concreto dell'assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5, che quindi agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto, e possono in ipotesi estreme valere anche ad azzerarla, quando la conservazione del tenore di vita assicurato dal matrimonio finisca per risultare incompatibile con detti elementi di quantificazione».

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