PMA: la provenienza dei gameti non definisce lo stato di figlio

Redazione Scientifica
19 Maggio 2016

Una coppia di coniugi rivendica la genitorialità di due minori nati dall'incontro dei loro gameti impiantati, erroneamente, nell'utero di un'altra donna. Il Tribunale di Roma respinge la loro richiesta, in quanto per la determinazione dello stato di filiazione la gestazione è un fattore decisivo, anche al di là della provenienza dei gameti.

Due coniugi adivano il Tribunale dell'Aquila, proponendo due azioni di stato, una di disconoscimento di paternità e l'altra di maternità, di due minori partoriti da un'altra donna (Y) coniugata con X.

La richiesta si basava sulla circostanza che i due neonati fossero stati concepiti, attraverso procedura medicalmente assistita, dall'incontro dei gameti dei due attori impiantati, erroneamente, nell'utero di Y che, nonostante fosse stata informata dell'accaduto, aveva deciso di portare a termine la gravidanza.

Riassunto il giudizio di fronte al Tribunale di Roma, per incompetenza territoriale del giudice aquilano, i due attori proponevano due ricorsi in via d'urgenza, ex art. 700 c.p.c., volti ad ottenere altrettanti provvedimenti che «consentissero a ciascuno di essi di instaurare una relazione significativa con i bambini ormai nati da 8 mesi». I ricorsi cautelari erano respinti. La causa, già di per sé istruita, perviene in decisione.

La domanda consiste nella richiesta di vedersi riconoscere la qualità di padre e madre genetici, da parte degli attori. Il Tribunale di Roma, rileva come nelle conclusioni costoro avessero chiesto una «mera dichiarazione della loro qualità di genitori genetici»; evidenzia nel contempo come lo scarto della strategia difensiva attorea sia da intendersi come operante solo sul piano terminologico, senza che risulti variato il petitum nella sostanza. La dichiarazione del legame genetico sarebbe, infatti, «destinata alla sola affermazione di una realtà per un verso pacifica, per altro verso priva di effetti sostanziali sulla base del diritto vigente, che […] non contempla alcuna possibilità di frazionamento della genitorialità».

Lo stato figlio prescinde dalla provenienza dei gameti. Il giudice ritiene, quindi, di risolvere il conflitto in favore dei convenuti. Si rileva infatti che solo apparentemente l'art. 8 della l. n. 40/2004 definisce lo stato giuridico dei futuri nati sin dal momento della creazione dell'embrione prima dell'impianto. L'embrione, «in quanto privo di personalità giuridica e di capacità successoria, non può acquisire alcuno stato di filiazione a prescindere dall'impianto nell'utero». La norma definisce «quale elemento decisivo per l'acquisto dello stato di figlio, l'impianto nell'utero materno, il procedere della gravidanza e la nascita, anche al di là della provenienza dei gameti».

Per quanto riguarda la paternità, è riconosciuto come padre il sig. X «in forza dell'art. 231 c.c. che vale a ricomprendere nella presunzione di paternità anche i figli che, comunque concepiti, anche a mezzo di procreazione medicalmente assistita e di fecondazione eterologa, siano nati nel matrimonio». Inoltre, proseguono i giudici, l'art. 243 bis «non conferisce alcuna legittimazione al genitore genetico ai fini della proposizione dell'azione di disconoscimento della paternità, legittimazione tuttora riservata al padre, alla madre e al figlio medesimo». In aggiunta la l. n. 40/2004, all'art. 9, «preclude espressamente a colui che abbia prestato il proprio consenso alla fecondazione assistita di procedere al disconoscimento di paternità, come pure all'uomo che abbia messo a disposizione i propri gameti, di acquisire alcuna relazione giuridica parentale con il nato e di far valere nei suoi confronti alcun diritto».

E', tuttavia, evidente che la situazione che si è profilata, generata da un grave errore umano, presenta dei caratteri eccezionali e non trova precisi riferimenti normativi per la sua regolamentazione. Pertanto, gli attori hanno chiesto che venisse sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 243 bis e dell'art. 269, comma 3, c.c. nella parte in cui, rispettivamente, non prevendono la legittimazione del c.d. padre genetico a proporre azione di disconoscimento di paternità e la possibilità per la madre genetica di effettuare il disconoscimento di maternità, in caso di sostituzione di embrioni avvenuta nell'ambito di PMA, per contrasto con gli artt. 2, 3, 24, 30, 117 Cost. in relazione all'art. 8 CEDU.

Prevalenza del legame biologico su quello genetico. La lettura della normativa, però, consente di «apprezzare la tensione del legislatore verso la stabilità della relazione umana e familiare» costituita attraverso parto, gestazione e inserimento dei nati in un preciso nucleo familiare, che, in altre parole, implica una prevalenza dei legami naturali, biologici e sociali a discapito della genitorialità genetica.

Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale di Roma non accoglie la domanda dei due attori perché: la normativa, in materia di filiazione e PMA, sancisce lo status dei minori come figli dei convenuti; difettano i presupposti per porre la questione al vaglio della Corte Costituzionale; le richieste sono da considerare contrarie all'interesse dei minori in quanto volte ad alterare la realtà familiare.

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