I minori non accompagnati non versano necessariamente in stato di abbandono

Redazione Scientifica
19 Ottobre 2015

Il Tribunale per i minorenni di Bologna ha stabilito che la presenza di un minore extracomunitario sul territorio italiano non può da sola dare spazio a presunzioni logico-giuridiche tali da connettere l'evento a privazioni di assistenza morale e materiale da parte dei genitori. In questi casi, è il Giudice tutelare la figura legale di riferimento.

L'esigenza del minore a crescere nella famiglia di origine è prioritaria. La situazione di fatto alla base dell'iniziativa del PM identifica una condizione di abbandono nell'introduzione clandestina del minore nel territorio nazionale senza referenti parentali e mezzi di sussistenza e in difetto di cure parentali-assistenziali ed educative.

Il Tribunale per i minorenni di Bologna osserva che la legge attribuisce carattere prioritario all'esigenza del minore di crescere nella famiglia di origine, necessità sacrificabile solo in presenza di situazioni di carenza tali da pregiudicare, in modo grave e stabile, lo sviluppo e l'equilibrio psicofisico del fanciullo. Ne deriva che la condizione di abbandono deve essere determinata con particolare rigore e la sua valutazione deve «fondarsi sull'oggettività della situazione in atto, unico metro di riferimento dell'accertamento su rigorosa prova, delle gravi ragioni che, impedendo al nucleo familiare di origine di garantire al minore una normale crescita ed adeguati riferimenti educativi, ne giustifichino la sottrazione alla famiglia».

Il presupposto dell'istituto pertanto, recupera la propria ragione d'essere nella ratio fondante la normativa di riferimento «una ratio estrema cui è dato ricorrere nei soli casi in cui il minore risulti privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori, o dei parenti tenuti a provvedervi, e di conseguenza esposto a gravi pericoli per la sua salute psichica e/o fisica».

I minori introdottisi in Italia clandestinamente non sono necessariamente abbandonati. Secondo il giudice bolognese, il caso in esame non può essere riportato alla sfera, rigorosamente contenuta, del modello legale dello stato di abbandono.

I minori introdottisi clandestinamente in Italia raggiungono il territorio nazionale dopo viaggi lunghi e disagevoli che sono normalmente riferibili a scelte autonome degli stessi fanciulli o delle loro famiglie, quando ormai, per età o esperienze di vita negli ambienti di origine, sono considerati maturi. «Si tratta della scelta di intraprendere, in Paesi diversi, percorsi conformi ai progetti ed alle esigenze di modellare in autonomia il proprio personale futuro alla ricerca di diverse e maggiori speranze per il loro sviluppo personale». O, quindi, gli allontanamenti si sono verificati nell'ignoranza dei genitori oppure con il loro consenso ma in entrambi i casi non si configura la nozione di abbandono di cui alla l. n. 184/1983.

Se poi, come insegna la Corte di legittimità, l'interprete deve valutare l'effetto dannoso prodottosi per il minore in conseguenza dell'inidoneità dei genitori e non deve meramente accertare l'inidoneità stessa ne consegue che nel caso di specie non si può sostenere che da una inidoneità parentale solo presunta siano derivati pregiudizi gravi e stabili al minore dovendosi affermare, al contrario, che nella normalità dei casi i genitori hanno agito o non si sono opposti per tutelare il figlio e nel suo interesse.

A sostegno della ricostruzione fatta dal Tribunale si pone anche la qualificazione della procedura di adottabilità come extrema ratio anche nei casi di patologia delle cure parentali perché in questi casi configurandosi solo l'apparenza dell'abbandono, non risulterebbe possibile inquadrare nella sostanza la fattispecie nella figura di riferimento legale.

Il Giudice Tutelare è la figura di riferimento in questi casi. «L'approdo di questo percorso altro non può essere se non quello di riconoscere i casi in considerazione come stati di obiettiva impossibilità di esercizio della potestà con derivata competenza a conoscerne, e a provvedere, del Giudice Tutelare, ai sensi dell'art. 343 c.c. con obbligo istituzionale, nel frattempo, di assistenza del minore da parte del Servizio Sociale o dell'Amministrazione competente».

Il confronto ermeneutico dell'art. 343 c.c. e con la l. n. 184/1983 conferma che la giurisprudenza di merito analizzata nel provvedimento «centra il bersaglio dal momento che la presenza sul territorio italiano di un minore extracomunitario identifica una situazione oggettiva tout court che non può da sola dare spazio ad ipotesi e/o presunzioni, logiche prima ancora che giuridiche, tali da consentire di connettere l'evento a specifici approfondimenti preliminari rispetto alla proposizione del ricorso (…) che eventualmente consentano nel singolo caso concreto di riconoscere una possibile ipotesi di abbandono».

Pertanto il citato confronto interpretativo conferma l'individuazione in casi come quello in esame del giudice tutelare come la figura legale di riferimento propria ed esclusiva per la tutela del minore.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.