Riconoscimento di adozione all'estero anche se pronunciata dal giudice dello Stato dove i coniugi non risiedevano

Redazione Scientifica
20 Giugno 2016

Secondo la Corte d'Appello di Milano il paese straniero di residenza abituale degli adottanti non deve necessariamente coincidere con quello del giudice che pronuncia l'adozione.

Il caso. Due coniugi presentavano ricorso ex art. 36, comma 4, l. n. 184/1983 chiedendo al Tribunale per i minorenni di Milano il riconoscimento ad ogni effetto del provvedimento d'adozione di un minore di origine etiope, pronunciato in loro favore dal Tribunale di Prima Istanza della Repubblica Democratica Federale dell'Etiopia. I ricorrenti riferivano di essere sposati dal 2005 e di essersi trasferiti nel 2007 nel regno del Bahrein e poi dal 2011 a Dubai. La moglie, cittadina italiana, iscritta all'AIRE del Comune di Milano, residente negli Emirati Arabi, non aveva potuto ricorrere alla legislazione locale in materia d'adozione. Tale normativa, infatti, impedisce agli stranieri non musulmani di adottare minori in stato di abbandono sul proprio territorio nazionale ma consente di adottarli all'estero, di fare ingresso con il minore nello Stato e di trascrivere, nel registro di stato civile, il certificato di nascita e il provvedimento d'adozione. Il Tribunale di Milano rigettava l'istanza, rilevando che «il riconoscimento in Italia dell'adozione pronunciata dalla competete autorità di un paese straniero a istanza di cittadini italiani resta subordinato alla sussistenza del requisito della residenza biennale anteriore all'adozione».

I motivi di reclamo. I ricorrenti propongono reclamo avverso il decreto. In primis, Il giudice di primo grado, ha erroneamente interpretato in via restrittiva l'art. 36, comma 4, l. n. 184/1983, sostenendo che il paese straniero di residenza abituale degli adottanti dovesse coincidere con il paese del giudice che pronuncia l'adozione. In secondo luogo, l'efficacia della sentenza straniera in Italia sarebbe dovuta derivare dall'art. 41, comma 1, l. n. 218/1995, norma di carattere generale che prevede il riconoscimento automatico dei provvedimenti stranieri conformi all'ordine pubblico. I genitori lamentano, poi, che il Tribunale per i minorenni non ha dichiarato l'efficacia dell'adozione «stante l'impossibilità di affidamento preadottivo del minore, il quale si trova a risiedere in uno Stato che non riconosce e non disciplina l'istituto dell'adozione». Si rileva, inoltre, che al bambino è stato impedito l'acquisto della cittadinanza italiana, nonostante la discendenza adottiva materna, ledendo così i suoi diritti fondamentali universalmente riconosciuti dagli artt. 7 e 8 della Convenzione di New York. Il minore si trova, infatti, «nella pregiudizievole impossibilità di uscire dal territorio degli Emirati Arabi uniti ed è al contempo privo della garanzia di potervi continuare a risiedervi». Infine, si denuncia la violazione dell'art. 8 CEDU poiché viene impedito all'adottato di vedersi riconosciuto lo status di figlio.

Il paese straniero di residenza degli adottanti può non coincidere con quello che pronuncia l'adozione. La Corte d'Appello accoglie il reclamo, condividendo le argomentazioni poste a sostegno dell'impugnazione. Non è necessario, infatti, che ci sia una coincidenza tra paese straniero, in cui la coppia genitoriale risiede da due anni, e quello la cui competente autorità pronuncia l'adozione. La Corte precisa che la ratio della norma risiede nella «necessità di tutelare i cittadini italiani residenti all'estero per lavoro» i quali, proprio per questo motivo, non devono attenersi alla procedura d'adozione stabilita in Italia, potendo, piuttosto, attivare quella prevista della normativa locale.

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