Divorzio pronunciato all'estero: modifica delle condizioni relative ai figli

Marta Rovacchi
20 Giugno 2017

Il Tribunale di Milano si pronuncia su due questioni: una relativa alla trascrizione del matrimonio estero in Italia e della successiva sentenza di divorzio pronunciata nel paese straniero, e l'altra inerente alla procedura finalizzata ad ottenere l'esame delle problematiche attinenti alla genitorialità...
Massima

Nel caso in cui le parti, sposate all'estero, abbiano, sempre all'estero, ottenuto pronuncia di divorzio, il genitore interessato alla modifica delle condizioni che regolano la responsabilità genitoriale, deve promuovere l'azione di modifica delle condizioni di divorzio ai sensi e per gli effetti dell'art. 9, l. n. 898/1970.

Il caso

Due coniugi contraggono matrimonio in Equador. Dal loro matrimonio nascono due figlie.

Intervenuta la crisi coniugale, sciolgono il matrimonio divorziando in Equador.

Una volta trasferita in Italia, sorto il conflitto in ordine alle questioni relative all'affidamento dei figli ed alla responsabilità genitoriale, la madre promuove ricorso ex art. 316 c.c. che regola l'esercizio della responsabilità genitoriale. La norma, in particolare, dispone che in caso di contrasto su questioni di particolare importanza, ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei.
Tale ricorso viene però respinto dal Tribunale di Milano con l'ordinanza qui in esame, che dichiara il ricorso inammissibile in quanto l'art. 316 c.c. suppone e presuppone che i figli non siano matrimoniali. Trattandosi, invece, in questo caso di persone sposate rispetto alle quali è intervenuta la procedura di divorzio, il genitore interessato avrebbe dovuto promuovere l'azione di modifica delle condizioni di divorzio prevista dall'art. 9, l. n. 898/1970.

La questione

Le questioni sottese alla decisione in esame sono due: quella relativa alla trascrizione del matrimonio estero in Italia e della successiva sentenza di divorzio pronunciata nel paese straniero, e quella inerente alla procedura finalizzata ad ottenere l'esame delle problematiche attinenti alla genitorialità al fine di ottenere la modifica delle condizioni relative all'affidamento dei minori così come statuite nella sentenza di scioglimento del vincolo matrimoniale pronunciata all'estero.

Si tratta dunque, in primis, di esaminare se la omessa trascrizione dell'atto matrimoniale estero in Italia costituisca una condizione essenziale per considerare esistente quella unione e se, parimenti, la mancata trascrizione della pronuncia di divorzio emessa da una autorità straniera possa ostacolare la decisione di ritenere riconosciuta nel nostro Stato quella sentenza divorzile.

Dalle risposte a dette questioni e dalla loro interpretazione giuridico-normativa, discende la soluzione al secondo interrogativo, ovvero l'individuazione della procedura che un genitore deve attivare giudizialmente per intervenire sulle modifiche della sentenza divorzile emessa all'estero, ancorchè non trascritta in Italia.

Le soluzioni giuridiche

Con ordinanza in commento il Giudice milanese, in primis, precisa che il matrimonio tra cittadini stranieri e contratto all'estero sortisce il suo effetto costitutivo con la sua stessa realizzazione secondo il rito che i nubendi hanno scelto di seguire.

Questo è sufficiente affinchè tale vincolo matrimoniale sia considerato riconoscibile dall'ordinamento italiano.

Ne consegue, afferma il Tribunale di Milano, che la trascrizione non rappresenta la condizione né il presupposto per l'esistenza del matrimonio stesso.

La principale fonte giuridica a cui si attiene l'ordinanza in oggetto, è la l. n. 218/1995 che determina l'ambito della giurisdizione italiana e pone i criteri per l'individuazione del diritto applicabile e disciplina l'efficacia delle “sentenze e degli atti stranieri”. In particolare, dalla lettura dell'art. 28 della legge stessa, si evince chiaramente che il matrimonio celebrato all'estero è valido nel nostro ordinamento se è considerato tale dalla legge del luogo della celebrazione o dalla legge nazionale di almeno uno dei due nubendi al momento della celebrazione o dalla legge dello Stato di comune residenza in tale momento.

Ricorda l'ordinanza, a questo proposito, che il riconoscimento di un vincolo matrimoniale nel nostro ordinamento può essere negato solo se la fattispecie in questione sia contraria all'ordine pubblico.

Tale contrarietà, tuttavia, non coincide necessariamente con le norme imperative o inderogabili, in quanto la valutazione della conformità o meno di un matrimonio celebrato all'estero, ai fini del suo riconoscimento in Italia, deve essere effettuata sulla base dell'interpretazione del nucleo essenziale dei valori del nostro ordinamento tanto da ritenere che nemmeno il legislatore ordinario interno potrebbe alterare o modificare, trattandosi di principi costituzionali inderogabili.

Questione, questa, evidentemente non concernente il caso di specie, poiché il matrimonio contratto dai due cittadini equadoregni, avendo le caratteristiche richieste dal citato art. 28, l. n. 218/1995, è da ritenersi compatibile con l'ordine pubblico italiano e, quindi, da considerarsi riconoscibile nel nostro ordinamento a prescindere dalla sua trascrizione.

Lo stesso iter interpretativo, per il giudice milanese, è da effettuare anche in riferimento alla sentenza divorzile pronunciata dal Giudice dell'Equador nei confronti delle parti: se, infatti, si considera che, a norma degli art. 64 e 67, l. n. 218/1995 le sentenze straniere sono automaticamente riconosciute nel nostro ordinamento laddove sussistano i presupposti indicati, appunto, nel citato art. 64, è da ritenersi che anche la pronuncia di scioglimento del vincolo matrimoniale emessa dall'autorità dell'Equador, in questo caso sia da considerarsi riconosciuta nel nostro ordinamento.

Infatti, ricorda l'organo giudicante, la parte interessata può contestare il riconoscimento avanti la competente autorità giudiziaria, così come previsto dall'art. 30, d.lgs. n. 150/2011 con il conseguente compito del giudice di verificare la sussistenza dei requisiti previsti per il riconoscimento.

Nella fattispecie in esame, invece, la parte ricorrente non ha in alcun modo messo in dubbio la riconoscibilità della sentenza straniera che, pertanto, deve essere considerata recepita, nei suoi effetti, nel nostro Stato.

Dalle considerazioni testè svolte, discende che la ricorrente è da ritenersi a tutti gli effetti madre di figli nati dal matrimonio successivamente sciolto a seguito di sentenza di divorzio.

Per tale motivo il ricorso ex art. 316, comma 4, c.c. dalla stessa avanzato è stato respinto dal Tribunale di Milano con l'ordinanza in commento in quanto inammissibile.

La procedura che la madre avrebbe dovuto instaurare, infatti, sarebbe stata quella prevista dall'art. 9, l. n. 898/1970 che contempla, appunto, la possibilità di adire l'autorità giudiziaria per ottenere la revisione delle condizioni di divorzio.

Aggiunge il Tribunale di Milano che la infondatezza e la inammissibilità del ricorso ex art. 316, comma 4, c.c. è proceduralmente insuperabile anche dalla comparizione delle parti in quanto neppure in questo caso si potrebbe ammettere il superamento delle condizioni del rito.

La tranciante decisione del giudice milanese viene dallo stesso ulteriormente giustificata anche attraverso il richiamo al principio della ragionevole durata del processo che impone, davanti a una palese e indefettibile ragione di caducazione della domanda giudiziale, la convenienza di definire immediatamente il procedimento.

Osservazioni

Sono tanti i riferimenti normativi e giurisprudenziali sottesi alla decisione del Tribunale di Milano che aiutano ad ottenere una risposta chiara ed esaustiva a numerosi casi che gli avvocati si trovano ad affrontare nel corso della loro attività professionale.

A suffragio della affermazione con la quale il giudice milanese sostiene riconoscibile nel nostro ordinamento il matrimonio contratto dai coniugi in Equador, viene richiamata la sentenza della Corte di Cassazione, 25 luglio 2016, n. 15343 che ha ritenuto compatibile con l'ordine pubblico interno il matrimonio celebrato in Pakistan da una cittadina italiana e da un cittadino pakistano e contratto, secondo la legge straniera, in forma telematica e, dunque, senza la contestuale presenza dei nubendi. In questo caso, infatti, il Ministero dell'Interno non aveva riconosciuto la validità di detto matrimonio in quanto l'assenza fisica dei nubendi al momento del matrimonio, sarebbe contraria all'ordine pubblico italiano. La Suprema Corte, con la pronuncia testè citata, pone invece l'accento sull''art. 28, l. n. 218/1995 che, dispone che il vincolo matrimoniale è valido, quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione o dalla legge nazionale di almeno uno dei coniugi al momento della celebrazione o dalla legge dello Stato di comune residenza in tale momento, sottolineando, dunque, che il caso in esame non viola in nessun modo l'ordine pubblico interno. Corre dunque l'obbligo, a questo proposito, di accennare brevemente al concetto di ordine pubblico, attorno al quale si muove tutto l'iter interpretativo e applicativo adottato dal Tribunale di Milano nella ordinanza quivi in esame e che ha condotto il Giudice alla assunzione della decisione sopra esposta. Il controllo di conformità all'ordine pubblico, previsto dall'art. 64, lett. d), riguarda la consonanza della sentenza straniera ai princìpi di struttura in materia morale, sociale ed economica dello Stato in cui opera il riconoscimento. Ma va tenuto presente che l'ordine pubblico cui occorre riferirsi è quello internazionale che risponde all'effettivo coordinamento tra gli ordinamenti giuridici dei diversi Paesi. Il limite dell'ordine pubblico internazionale, da intendersi come quell'insieme di principi fondamentali che caratterizzano la struttura sociale delle comunità nazionali in un determinato periodo storico e dei principi fondamentali ed inderogabili posti dalla Costituzione, consente al giudice di non applicare la norma straniera laddove questa contrasti con i fondamentali principi morali e giuridici sui quali si fonda il nostro ordinamento interno: lo stabilisce anche l'art. 16, l.n. 218/1995 che testualmente al comma 1 recita «la legge straniera non è applicata se i suoi effetti sono contrari all'ordine pubblico».

In buona sostanza, l'art. 65 l. n. 218/1995, per la quale hanno effetto in Italia i provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone nonché all'esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità, anche se pronunciati da autorità di altro Stato, purché non siano contrari all'ordine pubblico e siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa, consente il riconoscimento del provvedimento quale atto giurisdizionale straniero, ed al contempo permette a quel provvedimento di esplicare efficacia anche in ordine ai rapporti di famiglia ed allo status di cittadino italiano (conf. Cass., 26 marzo 2013, n. 7582). Quest'ultimo requisito attiene al cosiddetto “ordine pubblico processuale”, la cui fonte giuridica è da rinvenirsi negli artt. 24 e 111 Cost., inerenti ai principi del diritto di difesa ed al giusto processo.

Ciò detto, l'ordinanza del Tribunale di Milano appare conforme sia al dettato delle norme di diritto internazionale privato e processuale, sia alle definizioni di ordine pubblico internazionale e processuale elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

Una volta, dunque, stabilito che l'atto di matrimonio contratto da due cittadini dell'Equador è valido in Italia ancorchè non trascritto e che gli effetti della sentenza di divorzio pronunciata da autorità straniera è da ritenersi riconosciuta in Italia sulla base dei suddetti principi giuridici, è conseguentemente corretto che la procedura da instaurare nel nostro Paese finalizzata ad ottenere la modifica delle condizioni di divorzio, in particolare quelle riguardanti l'affidamento morale e materiale dei figli, sia quella dettata dall'art. 9 l. n. 898/1970 che prevede che qualora sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, in camera di consiglio e, per i provvedimenti relativi ai figli, con la partecipazione del pubblico ministero, può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli artt. 5 e 6.

Conforme a questo orientamento, lo stesso Tribunale di Milano, con decreto 17 dicembre 2013, aveva parimenti dichiarato inammissibile il ricorso ex art. 316 c.c. promosso dalla ricorrente, dovendosi promuovere all'uopo il differente procedimento di modifica delle condizioni di divorzio.

La declaratoria di inammissibilità del ricorso promosso dalla madre ai sensi dell'art. 316 c.c., viene accompagnata dal Tribunale di Milano dalla ulteriore statuizione in ordine alla superfluità della preventiva instaurazione del contradditorio, ritenuta ininfluente sull'esito del giudizio. L'orientamento del giudice Milanese è conforme alla sentenza della Suprema Corte, 16 luglio 2012, n. 12104 del ed al decreto dello stesso Tribunale di Milano del 3 ottobre 2013 che dispongono che, laddove un ricorso sia prima facie infondato, in virtù del principio della ragionevole durata del processo, è superfluo disporre un termine per l'integrazione del contraddittorio dal momento che, essendo la condizione del rito insuperabile, ciò si tradurrebbe in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio senza alcun beneficio per la garanzia della concreta effettività dei diritti processuali delle parti, oltre che in un notevole aggravio di spese.

Conforme a tale orientamento è anche la sentenza della Cass., sez. III, 17 giugno 2013, n. 15106.

Il tema affrontato dal Tribunale di Milano con l'ordinanza esaminata, per quanto estremamente utile ai fini pratici per chi svolge la professione forense, che si trova ad avere la risposta ad un quesito processuale ricorrente e molto frequente, non appare così scontato laddove il decreto dello stesso Tribunale di Milano del 20 maggio 2015, afferma che ai fini della modifica della sentenza di divorzio pronunciata da una autorità giudiziaria straniera, è preliminare la trascrizione della suddetta pronuncia che, pur non avendo valenza costituiva ai fini della validità ed efficacia della pronuncia in quanto tale, è necessaria nel sistema di diritto internazionale privato che ha introdotto il riconoscimento automatico delle pronunce straniere. Occorre, dunque, all'uopo, per il tribunale milanese, la verifica del rispetto dei requisiti di compatibilità con l'ordine pubblico italiano, demandata all'Ufficiale dello Stato Civile.

Tale decreto, che comunque precede temporalmente l'ordinanza del 30 dicembre 2016, pare contrastare con quanto in essa presupposto: poiché, infatti, l'ordinanza stabilisce che la trascrizione del matrimonio contratto all'estero non costituisce l'an dell'esistenza dell'unione e che la stessa conclusione vada applicata anche alla sentenza divorzile pronunciata dall'autorità straniera, una volta rispettate la conformità di detti atti all'ordine pubblico internazionale e interno, inteso come somma dei principi inderogabili di rango costituzionale; sia il matrimonio che la sentenza di divorzio devono ritenersi riconosciute nel nostro ordinamento, tanto da doversi promuovere la procedura di modifica delle condizioni divorzili da parte della parte interessata e non quella dell'art. 316 c.c. che, ricordiamo, prevede che entrambe i genitori hanno la responsabilità genitoriale e che in caso di contrasto su questioni di particolare importanza ciascuno di loro può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei.

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