Il convivente more uxorio può opporsi al decreto di archiviazione e ricorrere per cassazione

20 Luglio 2016

Il convivente more uxorio, in caso di decesso della persona offesa in conseguenza del reato, ha diritto a presentare opposizione alla richiesta di archiviazione ex art. 410 c.p.p. e a ricorrere per cassazione avverso il relativo provvedimento. Non sarebbe sorretta da una valida giustificazione razionale un'interpretazione che ritenesse precluso al convivente l'esercizio dei diritti della persona offesa, deceduta per effetto del reato.
Massima

Il convivente more uxorio, in caso di decesso della persona offesa in conseguenza del reato, ha diritto a presentare opposizione alla richiesta di archiviazione ex art. 410 c.p.p. e a ricorrere per cassazione avverso il relativo provvedimento. Non sarebbe sorretta da una valida giustificazione razionale un'interpretazione che ritenesse precluso al convivente l'esercizio dei diritti della persona offesa, deceduta per effetto del reato.

Il caso

P.A., convivente more uxorio del deceduto per effetto del reato, proponeva opposizione alla richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero, nel procedimento contro M. G. e G. F.. L'opponente indicava quattro circostanze necessarie per la prosecuzione delle indagini, con precisazione degli ulteriori atti istruttori da compiere. Il Giudice per le Indagini Preliminari, omettendo di fissare l'udienza in camera di consiglio, dichiarava inammissibile l'opposizione ritenendo, all'esito delle indagini espletate, non sussistenti gli elementi concreti per sostenere l'accusa.

Avverso questa decisione P.A. ricorreva in cassazione, deducendo la nullità o abnormità del decreto del giudice per le indagini preliminari che, in violazione dell'art. 410 c.p.p., non aveva fissato l'udienza in camera di consiglio per ascoltare in contraddittorio l'opponente, il Pubblico Ministero e gli indagati.

Il Procuratore Generale, concludeva per l'inammissibilità del ricorso, sollevando questioni pregiudiziali in ordine alla legittimazione del convivente more uxorio ad opporre il provvedimento di archiviazione ed a proporre ricorso per cassazione.

La questione

La Suprema Corte, chiamata a decidere sulla nullità del decreto di inammissibilità dell'opposizione a richiesta di archiviazione, per omessa fissazione dell'udienza in camera di consiglio, ha affrontato le questioni pregiudiziali sollevate dal Procuratore Generale sull'estensibilità al convivente more uxorio dei diritti e delle facoltà spettanti ai prossimi congiunti della deceduta persona offesa, come previsto dall'art. 90 comma 3 c.p.p. (testo successivamente novellato dall'art.1 lett. a) n. 2 d. lgs. 15 dicembre 2015 n. 212), considerando che la norma di riferimento per la delimitazione della categoria in questione, art. 307 ult. co. c. p., non include la convivente.

La Corte, con la sentenza in commento, ripercorrendo l'evoluzione normativa e giurisprudenziale dell'istituto della convivenza familiare di fatto, ha affermato che un'interpretazione che ritenesse precluso al convivente l'esercizio dei diritti della persona offesa, deceduta per effetto del reato, non sarebbe sorretta da una valida giustificazione razionale, avendo il legislatore incluso lo stesso coniuge, tra i prossimi congiunti. Ciò perché si è delineato un concetto di nucleo familiare che si consolida pur in assenza di un vincolo di coniugio formale e che dà vita, ciò nonostante, ad un consorzio di persone tra le quali, egualmente, si instaurano strette relazioni affettive, consuetudini di vita e rapporti di assistenza e solidarietà reciproca, protesi a durare, senza margini predefiniti temporali. D'altro canto il convivente, in quanto possibile danneggiato dal reato avrebbe legittimazione all'azione civile ex art. 74 c.p.p.; escluderlo dalla possibilità di presentare opposizione alla richiesta di archiviazione significherebbe precludere una facoltà in stretto collegamento con il possibile esercizio della stessa azione civile.

Nel merito la Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso confermando l'orientamento giurisprudenziale prevalente, in ordine alla necessaria specifica motivazione sull'infondatezza della notizia di reato ed alle cause dell'inammissibilità dell'opposizione alla richiesta di archiviazione.

Le soluzioni giuridiche

La decisione si pone in contrasto con precedenti orientamenti giurisprudenziali che escludono ogni rilevanza della convivenza more uxorio, in riferimento alla categoria dei “prossimi congiunti”, definita dall'art. 307, comma 4 c.p. (Cass. sez. VI, 26 ottobre 2006, n. 23063). Anche la Corte costituzionale (sent. n. 352/1989, n. 8/1996 e n. 121/2004) aveva ritenuto giustificata la mancata equiparazione del coniuge al convivente, pur affermando che un consolidato rapporto (come la convivenza more uxorio), ancorché di fatto, non risultasse costituzionalmente irrilevante, in funzione delle formazioni sociali e delle conseguenti intrinseche manifestazioni solidaristiche (art. 2 Cost.). Tale interpretazione è stata confermata dalla Corte Costituzionale (sent. n. 140/2009) anche per la disciplina dettata dall'art. 384 c.p. per il delitto di favoreggiamento, riaffermando il principio secondo il quale il vincolo coniugale trova aggancio nella previsione di cui all'art. 29 Cost., mentre la convivenza more uxorio ha rilevanza nell'ambito della protezione dei diritti inviolabili dell'uomo ex art. 2 Cost., così giustificando trattamenti giuridici non omogenei.

La sentenza in commento si inserisce, invece, in un diverso percorso interpretativo proteso al riconoscimento della rilevanza giuridica della cd. famiglia di fatto, integrato da interventi legislativi in tal senso. Si è ammessa in questo tracciato, per il convivente more uxorio, la configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.), (Cass. sez. VI, sent. 29 gennaio 2008, n. 20647), la tutela penale in generale apprestata dalla categoria dei reati contro la famiglia (Cass. sez. VI, 29 gennaio 2008, n. 20647), l'applicabilità dell'attenuante della provocazione (art. 62 n. 2 c.p.) (Cass. sez. VI, 18 ottobre 1985, n. 12477) e della causa soggettiva di esclusione della punibilità prevista dalla art. 649 c.p. (Cass. sez. IV, sent. 21 maggio 2009 n. 32190).

Numerosi interventi legislativi hanno preso atto del fenomeno percependo come il concetto di famiglia fosse caratterizzato da nuove dinamiche che l'ordinamento non avrebbe potuto superficialmente ignorare: in tema di ammissione al patrocinio a spese dello Stato (art. 76 comma 2, D.p.r. n. 115/2002), sui delitti contro la violenza sessuale introdotti con la l. n. 66/1996 (art. 609 quarter, comma 2, c.p.; art. 609 septies, comma 4, n.2, c.p.; art. 612 bis c.p.), in materia processuale (l. n. 154/2001).

Ai rapporti di fatto si ritiene, invero, che l'art.8 della CEDU assicuri tutela piena, come confermato da diverse sentenze della Corte EDU, ove si è annotato che la nozione di famiglia accolta dall'art. 8 della Convenzione non si basa necessariamente sul vincolo del matrimonio, ma anche su ulteriori legami di fatto particolarmente stretti e fondati su una stabile convivenza (sent. 13 giugno 1979, Marckx contro Belgio; sent. 13 dicembre 2007, Emonet ed altri contro Svizzera).

Si è, in definitiva, considerato come il concetto di famiglia tradizionalmente costruito sul vincolo di coniugio fondato sul matrimonio si fosse progressivamente aperto a mutamenti culturali tali da includere qualsiasi consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni affettivo-sentimentali e consuetudini di vita, apprezzabili nel tempo, fossero sorti rapporti di assistenza e di solidarietà.

La S.C. ha osservato che un'interpretazione che ritenesse precluso al convivente l'esercizio dei diritti della persona offesa, deceduta per effetto del reato, non sarebbe sorretta da una valida giustificazione razionale, ciò perché per l'applicabilità della art. 90 comma 3 c.p. il vincolo matrimoniale non rileva nella sua pura formalità, ma poiché ad esso sottostà quel nucleo relazionale affettivo cui l'ordinamento ritiene di offrire tutela e crismi di giuridicità. Al cospetto di tale realtà, chiariscono gli Ermellini, in cui non emergono profili di inconciliabilità con la disciplina della istituzione familiare in senso stretto e ricorra una stabilità di rapporti, che si consolida in favore del convivente attribuendogli una posizione qualificata e differenziata, non ha ragione d'essere un'interpretazione che ne escluda il diritto a formalizzare opposizione alla richiesta di archiviazione.

Osservazioni

Sulla rilevanza giuridica della famiglia di fatto, ampiamente diffusa come modello familiare all'interno dell'attuale società , la giurisprudenza, intraprendeva percorsi interpretativi, ispirandosi ai principi costituzionali (art. 2 e 3 Cost.) ed a quelli sanciti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo. L' assenza di una regolamentazione espressa e generale del fenomeno della convivenza more uxorio, con particolare riferimento alle coppie omosessuali, alle quali è precluso il matrimonio, era stata rilevata dalla CEDU, sanzionando lo stato italiano, per violazione dell'art.8 della Convenzione (sent. sez. IV Oliari ed altri c. Italia del 21 luglio 2015).

Anche il legislatore, sino ad oggi, ha proceduto per frammenti estendendo singole tutele, previste per i coniugi, ai conviventi more uxorio. Le stesse questioni affrontate dalla Suprema Corte, con la decisione in commento, sono state disciplinate dal d. lgs. 15 dicembre 2015 n. 212, con il quale all'art. 90 comma 3 c.p.p., è stato aggiunto «o da persona alla medesima legata da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente».

Una disciplina generale dei nuclei familiari non fondati sul matrimonio è stata successivamente approvata con la l. 20 maggio 2016, n. 76 - "Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze". L'art. 1 comma 1 recita: «La presente legge istituisce l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione e reca la disciplina delle convivenze di fatto». Si evidenzia, altresì, che nel testo approvato si legge al comma 36: «ai fini delle disposizioni di cui ai commi da 37 a 67 si intendono «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile». Dalla lettura del testo si evince che i conviventi “di fatto” assumerebbero solo alcuni dei diritti e dei doveri riconosciuti alle coppie sposate ed alle coppie omosessuali vincolate dall'unione civile, essendo la disciplina «orientata a recepire nell'ordinamento legislativo le evoluzioni giurisprudenziali già consolidate nell'ambito dei diritti e dei doveri delle coppie conviventi» (Relazione introduttiva al ddl n. 2081, in Atti parlamentari della XVII legislatura, cfr. www.senato.it).

Si osserva che l'art.8 della CEDU assicura tutela piena ai legami affettivi di fatto, fondati su una stabile convivenza, pertanto la recente normativa, non sembrerebbe realizzare ancora l'esigenza di strutturare, in maniera organica, le garanzie di tutela dei diritti di tutte le convivenze more uxorio, avendo previsto diversi istituti (matrimonio, unioni civili e convivenze di fatto) e diverse tutele per disciplinare i medesimi legami affettivi fondati su una stabile convivenza. Così procedendo perde peso sia il diffuso argomento fondato sul principio di eguaglianza tra famiglia e convivenza, come quello sulla tutela da assicurare in modo pieno ai diritti delle persone coinvolte nel rapporto di convivenza. E', dunque, prevedibile che, nonostante l'entrata in vigore della legge, il tema della tutela dei diritti dei nuclei familiari di fatto continuerà ad essere sottoposta alle Corti nazionali e sovranazionali, muovendo dai casi concreti.

Guida all'approfondimento

F. Gazzoni , Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983

A. Cariola , Diritto di famiglia e delle persone (II) 2015, 03, 1027

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