Il rigetto dell'Ufficiale di Stato civile al divorzio in comune è impugnabile in Tribunale

21 Dicembre 2015

Il rifiuto dell'Ufficiale di Stato civile di ricevere le dichiarazioni dei coniugi per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del loro matrimonio è impugnabile innanzi al Tribunale in camera di consiglio.
Massima

Il rifiuto dell'Ufficiale di Stato civile di ricevere le dichiarazioni dei coniugi per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del loro matrimonio, ai sensi dell'art. 12 l. n. 162/2014, in assenza di una specifica previsione normativa, è impugnabile innanzi al Tribunale in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 95 e 96 d.P.R. 396/2000; il potere di impugnativa deve essere esercitato congiuntamente da entrambi i coniugi.

Il caso

Tizio, residente all'estero tramite un procuratore speciale e Caia, personalmente, hanno chiesto all'Ufficiale dello Stato civile del comune di residenza di Caia di prendere atto della loro volontà di procedere allo scioglimento del matrimonio, ai sensi dell'art. 12 d.l. n. 132/2014 convertito in l. n. 162/2014.

L'ufficiale di Stato civile, preso atto che Tizio non era presente personalmente, come richiesto dal tenore letterale dell'art. 12 l. n. 162/2014, rifiutava di ricevere le dichiarazioni.

Tizio (sempre a mezzo del procuratore speciale) e Caia impugnavano il rifiuto dell'Ufficiale di Stato Civile innanzi al Tribunale competente, ai sensi dell'art. 98 c.c.

La questione

La pronuncia in esame tratta tre aspetti di estremo interesse: a) la possibilità, nel silenzio della legge, di «impugnare» il rifiuto dell'Ufficiale di Stato Civile di raccogliere le dichiarazioni con cui i coniugi vogliono concludere un accordo per la loro separazione consensuale, divorzio congiunto o modifica delle condizioni della separazione ai sensi dell'art. 12 l. n. 162/2014; b) le modalità di esercizio del potere di impugnazione; c) i limiti del potere di rappresentanza del procuratore speciale nella fase dell'impugnazione.

Il Tribunale inoltre - pur rinviando la decisione al prosieguo - tratteggia anche un'altra interessante questione: è possibile il “divorzio amministrativo” a mezzo procuratore speciale?

Le soluzioni giuridiche

La l. n. 162/2014, ha introdotto, con l'art. 12, la possibilità per i coniugi senza figli minorenni, maggiorenni non autosufficienti o portatori di handicap di ottenere il divorzio o la separazione (o la modifica delle condizioni di separazione o divorzio) rivolgendosi direttamente all'Ufficiale di Stato civile del Comune di residenza di uno loro, oppure del Comune ove il matrimonio risulta trascritto.

La procedura risulta in sé abbastanza semplice e si sostanzia nei seguenti passaggi:

a) i coniugi, con l'assistenza facoltativa anche di un solo avvocato (a differenza degli accordi ex art. 6 l. n. 162/2014, che impongono la presenza di un avvocato per parte), chiedono all'Ufficiale dello Stato civile competente di ricevere la dichiarazione di volersi separare o divorziare alle condizioni tra di loro concordate;

b) L'ufficiale di Stato civile riceve «da ciascuno dei coniugi, personalmente» (art. 12 comma 3 l. n. 162/2014) le dichiarazioni dei coniugi e compila «immediatamente» l'accordo che deve essere sottoscritto;

c) l'accordo può contenere anche la previsione di un assegno di mantenimento o di divorzio a favore di una delle parti (Circ. Min. Int. 6/2015), ma non può prevedere attribuzioni di diritti immobiliari o di una tantum nel senso di cui all'art. 5 l. n. 898/1970;

d) nel caso di divorzio o separazione consensuale, l'Ufficiale di Stato civile riconvoca le parti innanzi a sé, non prima di trenta giorni, per la conferma dell'accordo; la mancata comparizione priva di efficacia, ex tunc, l'accordo.

Se per gli accordi di separazione e divorzio frutto di negoziazione assistita, ai sensi dell'art. 6 l. n. 162/2014, è previsto uno specifico rimedio contro il diniego di autorizzazione da parte del PM (invero solo per le ipotesi di coppie con figli minorenni, maggiorenni non autosufficienti o portatori di handicap), rimedio peraltro diversamente declinato dai Tribunali della Repubblica (cfr. Trib. Torino, 15 gennaio 2015; Trib. Termine Imerese, 24 marzo 2015; Trib. Pistoia 16 marzo 2015; Trib. Torino 23 aprile 2015), nulla la l. n. 162/2014 prevede per l'ipotesi in cui l'Ufficiale di Stato Civile rifiuti di ricevere le dichiarazioni dei coniugi di volersi separare o divorziare.

Il Tribunale di Milano, con la pronunzia totalmente condivisibile di cui in commento, traccia la strada da seguire, richiamandosi alla normativa più generale di cui al d.P.R. 396/2000, richiamata espressamente dall'art. 12, comma 1, l. n. 162/2014.

A differenza di quanto dedotto dai ricorrenti (che avevano erroneamente richiamato l'art. 98 c.c., applicabile però solo alla diversa ipotesi di rifiuto dell'Ufficiale di Stato civile di procedere alle pubblicazioni matrimoniali), il Tribunale ha qualificato il rifiuto come rientrante nel più generale potere di cui all'art. 7 d.P.R. n. 396/2000, contro cui, ex artt. 95 e 96 del medesimo articolato normativo, è data alla parti la facoltà di impugnazione innanzi al Tribunale civile riunito in camera di consiglio, con il parere del Pubblico Ministero.

La soluzione adottata dal Tribunale di Milano, ovviamente, va ben oltre il caso di specie (invero particolare) e dovrebbe assurgere a regola generale applicabile tutte le volte in cui l'Ufficiale di Stato civile, pur nell'ambito della propria discrezionalità amministrativa vincolata, rifiuti di dar corso alla volontà dei coniugi di ottenere il divorzio o la separazione tramite la strada “degiurisdizionalizzata”.

Una volta ammesso il potere di impugnativa, la decisione in commento precisa anche che esso deve essere esercitato da entrambi i coniugi, giacchè «il rifiuto dell'ufficiale dello Stato Civile a ricevere le dichiarazioni di marito e moglie per ottenere lo scioglimento del loro matrimonio deve essere impugnato da entrambi coniugi, trattandosi di una parte plurisoggettiva a composizione necessaria. Se ad impugnare fosse solo uno dei coniugi, dovrebbe prendersi atto dell'acquiescenza dell'altro così potendosi predicare un difetto di interesse ad agire (art. 100 c.p.c.) da parte di colui che impugni uti singuli».

Il Collegio passa poi a scrutinare i limiti del potere di rappresentanza del procuratore speciale nominato, nel caso di specie, tramite procura consolare «affinché ai sensi del decreto legge n. 132/2014, in nome e per conto di esso comparente e con tutte le facoltà necessarie, abbia a concludere avanti all'Ufficiale dello Stato Civile del Comune italiano di ..., l'accordo di scioglimento del matrimonio (…). Potrà dunque il costituito procuratore fare tutto quanto necessario per l'esecuzione della presente procura».

Il Tribunale ha ritenuto «che la cennata procura non conferisca al procuratore speciale il potere di promuovere l'odierna azione. Al riguardo, è sufficiente rilevare come il potere rappresentativo sia circoscritto all'accordo “da concludere davanti all'ufficiale di stato civile” e, dunque, giustifichi la spendita di azioni imputabili al rappresentato nei limiti della procedura amministrativa. Né le clausole di stile come quella adottata nella scheda negoziale in esame (“potrà fare tutto quanto necessario”) conducono a conclusioni differenti poiché l'atto di rappresentanza deve essere interpretato in senso stretto e limitatamente all'obiettivo preso di mira dal conferente».

Anche sotto tale profilo la decisione è ampiamente condivisibile, innestandosi nel chiaro disposto letterale dell'art. 77 comma 1 c.p.c. («il procuratore generale e quello preposto a determinati affari non possono stare in giudizio per il preponente, quando questo potere non è stato loro conferito espressamente per iscritto…») così come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Civ. 31 luglio 2015, n. 16274; Cass., sez. lav. 13 febbraio 2008, n. 3484), escludendosi l'applicazione, nel caso di specie, del comma 2 dell'art. 77 c.p.c. (secondo cui il potere di rappresentanza processuale «si presume conferito al procuratore generale di chi non ha residenza o domicilio nel Repubblica»):nella fattispecie esaminata, la procura rilasciata dal marito non poteva ritenersi di carattere generale, essendo limitata, per l'appunto, alla sola fase amministrativa di cui all'art. 12 l. n. 162/2014.

Rilevato quanto precede, in applicazione dell'art. 182 c.p.c., il Tribunale ha concesso termine al marito per sanare il vizio di rappresentanza.

Osservazioni

Ancora una volta la l. n. 162/2014 si dimostra per quello che è: una buona idea realizzata frettolosamente e con una tecnica legislativa di dubbia efficacia. Quello sollevato dal Tribunale di Milano è solo uno dei tanti problemi che il tentativo di “de-giurisdizionalizzare” separazione e divorzio hanno già sollevato a poco meno di un anno dall'entrata in vigore della legge, tra i quali si segnalano: l'individuazione del modello da seguire nell'ipotesi di diniego dell'autorizzazione da parte del PM (C. Trapuzzano “La natura del procedimento e i poteri presidenziali dopo il diniego del PM all'accordo di negoziazione assistita”, ilFamiliarista.it; L. Cosmai “Negoziazione assistita: l'omologazione degli accordi della separazione consensuale”, ilFamiliarista.it); il problema della decorrenza dei termini per il divorzio, ove la separazione sia conclusa con negoziazione assistita (L. Cosmai - A. Figone - A. Simeone - V. Tagliaferri ”Il divorzio breve: una semplificazione complicata”, ilFamiliarista.it), la questione dell'ammissibilità e della forma dei trasferimenti immobiliari (C. Loda “I trasferimenti immobiliari nella negoziazione assistita da avvocati, ilFamiliarista.it); la forma e la sostanza delle convenzioni di negoziazione assistita (C. Calabrese “Negoziazione assistita”, ilFamiliarista.it).

Come sopra indicato, il provvedimento in questione è di carattere interlocutorio; e dunque, al netto delle lineari soluzioni adottate sull'impugnabilità del rifiuto dell'Ufficiale Giudiziario, la parte più interessante della decisione è quella che verrà scritta e che risponderà alla seguente domanda: è possibile il “divorzio amministrativo” tramite procuratore speciale?

La risposta, a giudizio di chi scrive, dovrebbe essere negativa in considerazione dei seguenti motivi:

a) Il tenore letterale dell'art. 12 l. n. 162/2014 impone all'Ufficiale di Stato civile di raccogliere le dichiarazioni dei coniugi “personalmente”; l'avverbio non compare invece nell'art. 4 l. n. 898/1970, laddove il Tribunale (in sede contenziosa o in sede di divorzio congiunto) si riferisce solo alla presenza dei coniugi;

b) l'ordinamento ammette, ex art 111 c.c., il matrimonio per procura (nelle sole ipotesi in cui uno dei nubendi risieda all'estero), ma previa autorizzazione da parte del Tribunale; analogamente la giurisprudenza ammette che all'udienza ex art. 4 l. n. 898/1970 i coniugi possano farsi rappresentare da un procuratore speciale (Trib. Busto Arsizio, 18 ottobre 1996; in motivazione Trib. Napoli, 14 febbraio 1989; Trib. Verona 2 aprile 1988; cfr. anche Cass. civ. sez. I, 02 giugno 1978, n. 2757); in entrambi i casi però, come correttamente indicato nella pronunzia in esame, «l'autorità giudiziaria» è tenuta «a rendere uno scrutinio “in concreto” di ammissibilità della sostituzione a mezzo del procuratore speciale»; analogo scrutinio non è previsto (rectius: non sarebbe previsto) nell'ipotesi di divorzio “amministrativo” per procura;

c) L'art. 12 l. n. 162/2014 prevede un meccanismo atto a verificare l'effettiva volontà dei coniugi di ottenere divorzio o separazione, tramite il c.d. diritto di ripensamento, da esercitarsi decorsi non meno di 30 giorni dalla data in cui l'Ufficiale di Stato civile raccogliere le dichiarazioni per la prima volta; è evidente che imponendo un doppio passaggio, il legislatore abbia voluto approntare una forma di tutela “rafforzata” (analoga previsione non è prevista per la separazione o il divorzio tramite negoziazione assistita) che verrebbe depotenziata o annullata ove si ammettesse la presenza del procuratore speciale.

Vi è poi da considerare un ulteriore aspetto, probabilmente dirimente. A seguito dell'intervento del Ministero dell'Interno (Circ. Min. Int. 6/2015) i coniugi possono disporre, nel procedimento ex art. 12 l. n. 162/2014, anche dei diritti patrimoniali conseguenti al divorzio o alla separazione, per il tramite dell'imposizione di un assegno divorzile (oppure di una implicita rinunzia ad esso, seppure efficace rebus sic stantibus). Sotto tale profilo, dunque, il divorzio amministrativo è parificato a quello giurisdizionale o a quello frutto di convenzione di negoziazione assistita. E' però evidente che, nel secondo e terzo caso, la parte più debole è affiancata da figure professionali (il Giudice nel divorzio per via giurisdizionale; un avvocato per parte e il Pubblico Ministero nel procedimento di negoziazione assistita) che possiedono (o dovrebbero possedere) una competenza specifica (e una responsabilità) da poter spendere per verificare sia l'effettività della volontà dei coniugi sia la corrispondenza dell'assetto patrimoniale richiesto alla legge e all'interesse di ciascuno di essi (nell'ipotesi di negoziazione assistita). Tali figure sono completamente assenti nel divorzio amministrativo, richiedibile dalle parti senza l'assistenza di un avvocato (oppure con un avvocato comune della coppia, svincolato però dagli oneri imposti dall'art. 6 l. n. 162/14), cosicchè in questo procedimento l'unico reale momento di “garanzia” è rappresentato proprio dall'incontro tra l'Ufficiale di Stato Civile e le parti personalmente; autorizzare l'eliminazione (seppur surrettizia) di questo passaggio, per il tramite dell'ammissione della rappresentanza a mezzo procuratore sembrerebbe porsi in stridente contrasto con l'esigenza di tutela dei coniugi (e soprattutto del più debole) cui tutto il nostro ordinamento, anche dopo la l. n. 162/2014, è informato con il conseguente rischio di “divorzi amministrativi” imposti dall'uno o dall'altro coniuge. In violazione dell'art. 24 Cost.

Né varrebbe obiettare che siffatta soluzione si porrebbe in contrasto con le esigenze di semplificazione sottese alla l. n. 162/2014: sia perché la semplificazione non può soverchiare la necessità di tutela dei diritti, sia perché i coniugi che vogliono farsi rappresentare da un procuratore potranno sempre farlo per il tramite della procedura giurisdizionale di cui alla l. n. 898/1970 scegliendo tra una procedura teoricamente più lenta ma più strutturata (quella del divorzio pronunciato dal Tribunale) e una meno strutturata e tendenzialmente più veloce (quella del divorzio amministrativo) in cui però una o entrambe le parti dovranno sacrificare un poco del loro tempo per presentarsi (due volte) davanti all'Ufficiale di Stato civile.

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