La Cassazione apre parzialmente sulla PAS

22 Dicembre 2016

La Suprema Corte, nella sentenza in commento, esamina la questione di merito relativa agli accertamenti sull'idoneità genitoriale, in particolare, su quelli che il giudice deve compiere quando uno dei due genitori lamenta che l'altro mette in opera comportamenti conosciuti e qualificati come PAS.
Massima

Qualora un genitore lamenti di non avere contatti con il figlio minore e denunci la sussistenza della Sindrome di Alienazione Parentale (PAS) non compete al giudice dare giudizi sulla validità della teoria scientifica, ma si deve accertare se, in fatto, sussistono i denunciati comportamenti volti all'allontanamento fisico e morale del figlio minore dall'altro genitore.

Tra i requisiti di idoneità genitoriale, da valutare ai fini dell'affidamento o anche del collocamento di un figlio minore presso uno dei genitori, rileva la capacità di questi di riconoscere le esigenze affettive del figlio e di preservargli la continuità delle relazioni parentali.

Il caso

Nell'anno 2000 una coppia di fatto mette al mondo una bambina; dopo quattro anni termina la convivenza tra i genitori e la madre si allontana dalla comune residenza, portando con sè la figlia. Il Tribunale per i minorenni, allora competente per l'affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio, dispone l'affidamento condiviso della bambina, con collocamento presso la madre e dispone altresì un monitoraggio da parte dei servizi sociali. Dopo due anni, il Tribunale prende atto che la bambina rifiuta di incontrare il padre e sospende gli incontri pur prescrivendo un percorso psicoterapeutico per la minore. Il padre denuncia l'esistenza di una PAS (Parental Alienation Syndrome) ma il Tribunale, nel 2011, conferma il decreto. Il padre propone reclamo chiedendo nuovi accertamenti peritali volti a fare luce sulla PAS da lui denunciata. La Corte d'appello conferma il provvedimento. Il padre ricorre per Cassazione lamentando che sono stati omessi gli accertamenti sulla sussistenza della PAS così rivelando una «ingiustificata posizione ideologica e negazionista».

La questione

La Suprema Corte, nella sentenza in commento, esamina la questione processuale relativa alla ricorribilità in Cassazione dei decreti di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio, ed anche la questione di merito relativa agli accertamenti sulla idoneità genitoriale, in particolare gli accertamenti che il giudice deve compiere quando uno dei due genitori lamenta che l'altro mette in opera comportamenti che sono conosciuti e qualificati, in certa letteratura scientifica, come PAS (Parental Alienation Syndrome o Sindrome di Alienazione Parentale). Si tratta di una teoria scientifica discussa e sulla quale la stessa Corte di Cassazione, in un precedente abbastanza recente, si è espressa negativamente affermando «la necessità che il giudice del merito, ricorrendo alle proprie cognizioni scientifiche ovvero avvalendosi di idonei esperti, verifichi il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale» (Cass. civ., sez. I, 20 marzo 2013, n. 7401). La questione esaminata è se il giudice debba entrare nel merito del dibattito scientifico oppure, una volta accertato che il minore rifiuta i contatti con un genitore e che questo è addebitato a comportamenti scorretti del genitore convivente, non siano piuttosto da accertare le cause della resistenza del minore ed in particolare se si tratta di una resistenza artificialmente indotta dal genitore convivente, per ragioni di rivalsa o di astio verso l'altro.

Le soluzioni giuridiche

In rito, la Suprema Corte conferma un orientamento ormai consolidato secondo il quale il decreto di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio, avendo i caratteri della decisorietà e della definitività, sia pure rebus sic stantibus, è impugnabile per cassazione ex art. 111 Cost. (Cass. civ., sez. I, 26 marzo 2015, n. 6132; Cass. civ., sez. I, 10 maggio 2013, n. 11218). In precedenza la Corte aveva anche affermato che, a questo fine, non è particolarmente rilevante che il provvedimento sia stato adottato da un Tribunale minorile, nell'ambito di un procedimento ex art. 330 c.c. o di revisione di un precedente provvedimento de potestate, dovendosi applicare la regola della prevalenza della sostanza sulla forma (Cass. civ., sez. I, 20 marzo 2013, n. 7401).

Nel merito, la Corte richiama alcuni consolidati principi in tema di diritto alla relazione familiare e di obblighi dello Stato di fare quanto possibile perché detta relazione possa serenamente svolgersi. In particolare, riferendosi ad un precedente arresto della Corte EDU (Corte EDU, 29 gennaio 2013, L. c. Italia; ma anche Corte EDU, 2 novembre 2010, P. c. Italia; Corte EDU, 17 dicembre 2013, S. c. Italia) si ribadisce che quando un genitore chiede un intervento del giudice per garantire l'effettività del diritto di visita verso il figlio minorenne, le misure adottate dall'autorità giudiziaria non devono essere stereotipate ed automatiche. La Corte di legittimità afferma inoltre che l'idoneità alla funzione genitoriale presuppone un giudizio completo delle capacità del genitore, non solo sulle competenze di assistenza, educazione ed istruzione, ma anche sulla capacità di rispettare e tutelare le esigenze affettive del minore, e di preservare la continuità delle relazioni con l'altro genitore, a tutela del diritto del figlio ad una crescita equilibrata e serena (Cass. civ., sez. VI,23 settembre 2015, n. 18817). Infine, la Cassazione rettifica i contenuti del precedente arresto in materia, in cui si affermava il dovere del giudice di accertare il fondamento delle teorie che, come quella sulla PAS, sono contestate nella comunità scientifica. Oggi la Corte di Cassazione afferma che non è compito del giudice accertare la validità scientifica di una determinata tesi, quanto piuttosto verificare "in fatto" le ragioni della resistenza del minore ad incontrarsi con il genitore e segnatamente se ci sono stati comportamenti di un genitore volti ad allontanare il minore, fisicamente e moralmente, dall'altro genitore.

Osservazioni

La PAS (Parental Alienation Syndrome), nella descrizione offerta dallo psicologo forense nordamericano Richard Gardner, è un disturbo provocato da un comportamento genitoriale di progressiva svalutazione agli occhi del figlio dell'altro genitore, al fine di rendere difficili i rapporti tra i due. Il minore si trasforma in un veicolo dei sentimenti e delle idee del genitore alienante, che opera il brainwashing (indottrinamento) sul minore, creando una relazione singolare in cui il genitore alienante porta il minore a percepire come propri i sentimenti di odio e rivalsa nei confronti dell'(ex) partner, così determinando il c.d. allineamento o schieramento del bambino con il genitore manipolante.

Diversi specialisti non riconoscono la validità della diagnosi; la teoria non avrebbe basi scientifiche e si fonderebbe soltanto sul pregiudizio indimostrato che, ogniqualvolta viene presentata una denuncia di abuso, vi sarebbe un comportamento patologico della madre, nonché su particolari idee sull'abuso sessuale attribuite a Gardner.

Gli specialisti che condividono e recepiscono la tesi di Gardner o talune sue varianti, come ad esempio la PAD (Parental Alienation Desorder) ovvero quelle relative ai "conflitti di lealtà", spesso suggeriscono di allontanare il minore dal genitore che opera il brainwashing nè più e nè meno di quanto si farebbe nel caso del genitore abusante o maltrattante. Tuttavia, mentre è (relativamente) facile allontanare il bambino dal genitore abusante, è difficilissimo allontanare un minore da un genitore manipolante. Questi genitori hanno di solito altissime performance di accudimento e cura e il minore, schierato con il genitore manipolante, è a lui (più spesso a lei) fortemente legato e si oppone con tutte le sue forze ad esserne allontanato. Un caso eclatante di allontanamento forzato, di notorietà mediatica, è stato quello che, portato in Cassazione, ha determinato i giudici di legittimità ad affermare che il giudice del merito deve verificare il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale, con specifico riferimento al caso in cui il consulente d'ufficio sostenga la presenza della PAS, ripudiata dalla letteratura scientifica internazionale di maggioranza (Cass. civ., sez. I, 20 marzo 2013, n. 7401). La sentenza ha suscitato sorpresa anche perchè non mancavano nella giurisprudenza della Corte di legittimità esempi di sentenze fondate sulla stessa diagnosi che sono rimaste esenti da censura, in quanto motivate per relationem richiamando il contenuto della consulenza tecnica di ufficio (Cass. civ., sez. I, 8 marzo 2013, n. 5847; Cass. civ., sez. I, 14 maggio 2012, n. 7452).

La sentenza in esame chiarisce che al fine di verificare l'idoneità genitoriale, si può anche fare a meno di indagare sulla validità scientifica di questa o di quella tesi, ma è necessario che i comportamenti pregiudizievoli per il minore, se dedotti, siano accertati in fatto (per una applicazione di questo principio v. Trib. Trani, 26 aprile 2016). Non è solo attraverso la consulenza tecnica che si possono accertare questi comportamenti pregiudizievoli perchè il giudice ha a disposizione tutti i mezzi di prova propri del processo civile ed anche uno strumento specifico, quale è l'ascolto del minore, che però non è un mezzo di prova bensì la modalità attraverso la quale il minore esercita il suo diritto di partecipare al processo e di esprimere la sua opinione sulle scelte di vita che lo riguardano (Cass. civ., sez. I, 9 giugno 2015, n. 11890; Cass. civ., s. u., 21 ottobre 2009, n. 22238).

Se il genitore affidatario (o domiciliatario) non riesce a perseguire l'obiettivo di garantire i contatti tra il bambino e l'altro genitore il giudice può rendere un giudizio di non idoneità al ruolo genitoriale e modificare il provvedimento di affidamento (Trib. Catania, 30 dicembre 2014). Così, del resto, è avvenuto nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione nel 2013: la Corte d'appello di Brescia, in sede di rinvio, ha accertato che la madre, malgrado una formale disponibilità, metteva in atto una serie di comportamenti ostili ed oppositivi ad un sano e regolare rapporto con il padre e ha quindi osservato che il bambino si trovava in una situazione di disagio che, indipendentemente dalla qualificazione dal punto di vista medico, era foriera di ulteriori sviluppi in senso patologico. Di conseguenza il minore è stato affidato al servizio sociale con collocamento presso il padre (App. Brescia, 3 maggio 2013).

Altro aspetto rilevante della sentenza in commento è il riferimento alla giurisprudenza CEDU sul dovere del giudice di approntare misure non stereotipate nè automatiche per il recupero del rapporto tra il minore ed il genitore. La Suprema Corte precisa che un buon genitore è anche e soprattutto colui che sa prestare attenzione alle esigenze affettive del minore, e tra queste primaria è quella di mantenere un legame anche con il genitore con il quale non convive. Fomentare nel minore sentimenti di avversione verso l'altro genitore significa utilizzarlo come strumento di conflitto così ledendone il diritto fondamentale alla relazione familiare, nonchè, in definitiva, anche il diritto all'autodeterminazione. In questo delicato settore non è consigliabile usare la coercizione, ed è necessaria la collaborazione di tutte le parti interessate, ma il decorso del tempo senza che sia stabilito un contatto tra genitore ed il figlio può pregiudicare irrimediabilmente la relazione familiare (Corte EDU, sez. IV, 17 novembre 2015, B. c. Italia). Di conseguenza, il giudice non può limitarsi a delegare ai servizi sociali un generico controllo e monitoraggio della situazione, ma deve, anche d'ufficio, ricorrere a tutti i mezzi possibili per tutelare la relazione familiare, e tra questi l'affidamento a terzi, le sanzioni aventi finalità dissuasive e la mediazione (Cass. civ., sez. I, 22 maggio 2014, n. 11412; Trib. Roma 11.10.2016 n. 18799; Trib. Reggio Emilia, sez. I, 11 giugno 2015; Trib. Roma, 10 maggio 2013; Trib. Messina, 8 ottobre 2012; Trib. Varese, 3 febbraio 2011). Da ricordare, tuttavia, che, se pure è compito del giudice informare i genitori sui benefici della mediazione familiare e sottoporre loro l'opportunità di intraprendere un simile percorso, ovvero un percorso di sostegno psicologico e di miglioramento della genitorialità, né la mediazione né la psicoterapia possono essere imposte dal giudice agli adulti, ma sono scelte rimesse alla autodeterminazione delle parti (Cass. civ., sez. I, 1 luglio 2015, n. 13506).

Guida all'approfondimento

A. J. L. Baker, Figli divisi – storie di manipolazione emotiva, Milano, 2010

R. A. Gardner, The Parental Alienation Syndrome: A guide for Mental Health ad Legal Professionals, Cresskill N.J. Creative Therapeutics, 1992

G. Gullotta, A. Cavedon, M. Liberatore, La sindrome da alienazione parentale, Lavaggio del cervello e programmazione dei figli in danno dell'altro genitore, Giuffrè, 2008

A. Lubrano Lavadera, M. Marasco, La sindrome di alienazione genitoriale nelle consulenze tecniche d'ufficio: uno studio pilota,in Maltrattamento e abuso all'infanzia, Vol. 7, n. 3, dicembre 2005

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