Imposta di registro: esenti anche gli atti di trasferimento attuativi di accordi di separazione tra coniugi

22 Febbraio 2016

Anche gli accordi di separazione volti a definire in modo tendenzialmente stabile la crisi coniugale attraverso la previsione di trasferimenti mobiliari o immobiliari - quale che sia la forma che i negozi concretamente vengano ad assumere - sono da intendersi quali «atti relativi al procedimento di separazione o divorzio» e, come tali, possono usufruire dell'esenzione ex art. 19, l. n. 74/1987, salvo che l'Amministrazione finanziaria contesti e provi la finalità elusiva degli atti medesimi.

Il caso. In sede di registrazione dell'atto di trasferimento di una quota di un terreno effettuato in attuazione di accordi di separazione consensuale tra coniugi, l'Amministrazione finanziaria riconosce i benefici fiscali di cui all'art. 19, l. n. 74/1987, mentre, in un secondo momento, emette un avviso di liquidazione per il recupero dell'imposta di registro e delle imposte ipotecaria e catastale, ritenendo tale trattamento di favore non applicabile al caso di specie.
La Commissione Tributaria Regionale, confermando la pronuncia di prime cure, accoglie il ricorso del contribuente.
Nel ricorso per cassazione l'Amministrazione finanziaria sostiene che l'atto sia stato solo occasionalmente generato dalla separazione personale dei coniugi, vigendo nel caso di specie il regime di separazione dei beni ed essendo stato acquistato il terreno per metà da ciascun coniuge in regime di comunione ordinaria.
Nella sentenza in esame, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione rigetta il ricorso dell'Amministrazione finanziaria e afferma che anche gli accordi di separazione volti a definire in modo tendenzialmente stabile la crisi coniugale attraverso la previsione di trasferimenti mobiliari o immobiliari – quale che sia la forma che i negozi concretamente vengano ad assumere – siano da intendersi quali «atti relativi al procedimento di separazione o divorzio» e che, come tali, possano usufruire dell'esenzione ex art. 19, l. n. 74/1987, salvo che l'Amministrazione finanziaria contesti e provi la finalità elusiva degli atti medesimi.

L'esenzione per gli atti relativi allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. In base all'art. 19, l. 6 marzo 1987, n. 74, «tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 l. 1 dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa».
Con sent. 10 maggio 1999 n. 154 la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di tale disciplina nella parte in cui non estende l'esenzione a tutti gli atti, documenti, provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale tra i coniugi.

Il precedente risolto con la sentenza n. 15231/2001. Il Collegio muta orientamento rispetto al precedente contenuto nella sent. n. 15231/2001.
In tale occasione il Giudice di legittimità ha affermato che l'agevolazione de qua opera - quanto agli atti ed accordi finalizzati allo scioglimento della comunione tra i coniugi conseguente alla separazione - limitatamente all'effetto naturale della separazione, costituito dallo scioglimento automatico della comunione legale, e non competono con riferimento ad atti - solo occasionalmente generati dalla separazione - di scioglimento della comunione ordinaria tra gli stessi coniugi, che ben potrebbe persistere nonostante la separazione. Diversamente opinando si presterebbe il fianco a manovre elusive.
Nel caso di specie si è diviso, in sede di separazione personale tra i coniugi, un bene acquistato dagli stessi in regime di separazione dei beni e quindi un bene disciplinato dalla comunione ordinaria di cui agli artt. 1100 ss. c.c.. La disciplina codicistica prevedrebbe «quale effetto naturale della separazione tra i coniugi lo scioglimento automatico della sola comunione legale, cosicché lo scioglimento della comunione di un bene acquistato in regime di separazione dei beni è solo occasionalmente generato dall'atto di separazione personale, senza esserne il naturale contenuto patrimoniale», giacché i coniugi «potrebbero legittimamente mantenere il regime di comunione ordinario, pur se separati». In tal senso deporrebbe l'art. 8 della tariffa allegata al d.P.R. n. 131/1986, con un richiamo evidentemente solo alla comunione caratterizzata dal rapporto coniugale fra le parti ex artt. 159 ss. c.c..

Le ragioni del revirement. Nella pronuncia in commento la Corte di Cassazione propone alcune critiche alle argomentazioni contenute nella sent. n. 15231/2001.
L'indirizzo sconfessato affonda le proprie radici nella distinzione - proposta da remota dottrina - tra contenuto necessario ed eventuale degli accordi di separazione: nel primo ricadono il consenso reciproco a vivere separati, l'affidamento dei figli, l'assegnazione della casa familiare in funzione del preminente interesse della prole e la previsione di assegno di mantenimento a carico di uno dei coniugi in favore dell'altro, mentre nel secondo rientrano «i patti che trovino solo occasione nella separazione, costituiti da accordi patrimoniali del tutto autonomi che i coniugi concludono in relazione all'instaurazione di un regime di vita separata». Sulla base di tale impostazione la giurisprudenza di legittimità ha statuito che l'agevolazione ex art. 19, l. n. 74/1987 opera «con riferimento a tutti gli atti e convenzioni che i coniugi pongono in essere nell'intento di regolare sotto il controllo del giudice, i loro rapporti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio, ivi compresi gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all'uno o all'altro coniuge», ma non «quando si tratti di atti ed accordi che non siano finalizzati allo scioglimento della comunione tra coniugi conseguente alla separazione, ma siano soltanto occasionalmente generati dalla separazione stessa».
Nella sentenza in rassegna il Collegio rileva, in via preliminare, che la Corte Costituzionale, con la sentenza additiva n. 154/1999, ha rimosso la irragionevole diversificazione tra il giudizio di divorzio e la procedura di separazione. Tale declaratoria di illegittimità costituzionale rimuove l'argomento fondato sul richiamo dell'art. 8 della tariffa allegata al d.P.R. n. 131/1986.
Quanto al riferimento alla possibile finalità elusiva di accordi estranei al contenuto essenziale delle separazione, che trovino occasione d'inserimento nel relativo procedimento unicamente per il conseguimento di un indebito risparmio fiscale, il Collegio rileva che «se anche l'interpretazione di una disposizione di legge consenta scelte di strumenti attuativi di volontà delle parti potenzialmente tali da realizzare intenti elusivi, ciò non sembra motivo sufficiente perché essa venga necessariamente compiuta, essendo il fenomeno dell'elusione, la sua prevenzione e la sua repressione oggetto di specifica regolamentazione normativa». Nel caso di specie poi l'avviso di liquidazione non reca alcuna contestazione concernente l'elusività dell'atto.

Il mutato quadro normativo oggi valorizza fortemente la centralità dell'accordo tra le parti nella definizione della crisi coniugale. La Sezione Tributaria prende atto dell'evoluzione normativa in materia di crisi coniugale e rileva che il Legislatore «ha certamente attribuito all'elemento del consenso tra i coniugi il ruolo centrale nella definizione della crisi coniugale». Depongono in tal senso sia le norme sull'estensione del procedimento di negoziazione assistita alla separazione consensuale (artt. 6 e 12, d.l. 12 settembre 2014, n. 132), sia quelle relative al cosiddetto “divorzio breve” (l. 6 maggio 2015, n. 55).
Secondo il Collegio, «le nuove disposizioni, drasticamente riducendo l'intervento dell'organo giurisdizionale in procedimenti tradizionalmente segnati da vasta area di diritti indisponibili legali allo status coniugale ed alla tutela della prole minore [hanno] di fatto attribuito al consenso tra i coniugi un valore ben più pregnante rispetto a quello che, anche a seguito dell'introduzione del divorzio a domanda congiunta delle parti, aveva pur sempre indotto unanimemente dottrina e giurisprudenza ad escludere che nel nostro ordinamento giuridico potesse avere cittadinanza il c.d. divorzio consensuale».
Tale assetto normativo indice a riconoscere «il carattere di negoziazione globale a tutti gli accordi di separazione che, anche attraverso la previsione di trasferimento mobiliari o immobiliari, siano volti a definire in modo tendenzialmente stabile la crisi coniugale, destinata a sfociare […] in un divorzio […] voluto dalle parti».
Last but not least la Sezione Tributaria rileva che la stessa Amministrazione finanziaria non opera alcuna distinzione tra accordi integranti il contenuto essenziale o eventuale della separazione (cfr. circolare n. 2/2014).

Tratto da “www.dirittoegiustizia.it

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