Assegno di mantenimento: è ammissibile il giuramento decisorio?

Barbara Molaschi
22 Giugno 2017

È ammissibile il giuramento decisorio deferito allo scopo di dimostrare l'effettiva consistenza delle risorse economiche dei coniugi nell'alveo di un giudizio di separazione o di divorzio?
Massima

Al di là della controversa questione relativa all'indisponibilità o meno del diritto all'assegno di mantenimento, dirimente sull'inammissibilità del giuramento decisorio, deferito allo scopo di dimostrare l'effettiva consistenza delle risorse economiche dei coniugi, è il fatto che tale mezzo di prova non assolverebbe pienamente la sua funzione tombale di risoluzione della controversia.

Il caso

In un giudizio di separazione personale dei coniugi, a seguito di domanda di assegno di mantenimento, viene richiesto un giuramento decisorio, finalizzato ad una più compiuta descrizione e quantificazione delle risorse economiche dei coniugi. Il Tribunale di Palermo, con l'ord. 23 dicembre 2016, dichiara inammissibile tale strumento probatorio, rinviando le parti per la precisazione delle conclusioni.

La questione

La questione in esame è la seguente: è ammissibile il giuramento decisorio deferito allo scopo di dimostrare l'effettiva consistenza delle risorse economiche dei coniugi nell'alveo di un giudizio di separazione o di divorzio? Ovvero i presupposti legislativi che rendono ammissibile il giuramento decisorio come si rapportano con la domanda di assegno di mantenimento da parte del coniuge più debole?

Le soluzioni giuridiche

Il giuramento decisorio è un mezzo di prova consistente in una dichiarazione solenne fatta in sede giudiziale da una delle parti, su richiesta di controparte con formula all'uopo articolata, avente ad oggetto un fatto proprio della parte cui si riferisce (de veritate) o di cui la stessa sia a conoscenza (de scientia o de notitia) e non può essere riferito qualora il fatto non sia comune alle parti. Tale mezzo ha valore di prova legale circa le dichiarazioni rese e vincola il giudice a quanto da esso emerso, con la sola eccezione del caso di giuramento prestato da uno soltanto dei litisconsorti necessari, che viene liberamente apprezzato. Il giuramento decisorio, una volta prestato, acquista il carattere dell'incontrovertibilità. La forza sta nell'efficacia intimidatoria delle sanzioni previste ex art. 371 c.p.. Il deferente non può provarne in sede civile la falsità né, ove questa sia stata dichiarata in sede penale con sentenza passata in giudicato, può pretendere la revocazione della sentenza ex art. 395, n. 2, c.p.c., potendo, in quest'ultimo caso, chiedere soltanto il risarcimento del danno ex art. 2738 c.c.. È da rilevare, ex art. 2739 c.c., che il giuramento non possa essere deferito o riferito in casi specifici, tra cui rientrano i procedimenti aventi ad oggetto diritti indisponibili. Quindi, la prima questione che si pone, nell'ambito di un giudizio di separazione in cui sia stato richiesto un assegno di mantenimento come nel caso de quo, è quella della natura disponibile o meno di tale diritto.

La funzione “esclusivamente assistenziale” (Cass., S.U.,29 novembre 1990, n. 11490), più recentemente riconosciuta come “eminentemente assistenziale” dell'assegno (Cass., 15 maggio 2001, n. 6660), si pone quale limite all'autonomia privata dei coniugi, in quanto antepone ad un intensificato processo di privatizzazione del diritto della crisi coniugale, le esigenze di tutela del “coniuge debole”, in una concezione prevalentemente pubblicistica della famiglia. È evidente la dicotomia tra la funzione assistenziale ed il parametro giurisprudenziale del tenore di vita (Cass., S.U.,29 novembre 1990, n. 11490), poiché tale natura dell'assegno si porrebbe in contrasto con l'esistenza di un diritto a conservare qualcosa di acquisito. Se ci si pone nell'ottica di difendere diritti e doveri solidaristici, si apre la prospettiva di specializzazione del diritto di famiglia, quale riflesso della necessità di rimediare alla disparità nella forza contrattuale delle parti. Così, la giurisprudenza prevalente (Cass.,25 gennaio 2012,n. 1084; Cass., 11 novembre 2009, n. 23908) afferma la nullità per illiceità della causa degli accordi preventivi tra coniugi in vista delle fasi patologiche del matrimonio, sia in relazione al possibile rischio di viziare o coartare la libertà difensiva nel giudizio, sia perché in contrasto con l'art. 160 c.c. in combinato disposto con l'art. 143 c.c., oltre che con l'art. 5, comma 8, l. n. 898/1970, ì che prevede un controllo giudiziale di equità sull'assegno una tantum e con l'immanente principio rebus sic stantibus che permea i procedimenti in materia di famiglia. Tuttavia, sarebbe opportuno distinguere tra pattuizioni che possono interferire sulla libera determinazione delle parti in ordine allo status e quelle che rientrano nel potere dispositivo delle stesse di regolare i propri rapporti economici. Con la riforma del 1987 si apre la via verso il riconoscimento di una disciplina convenzionale dei rapporti susseguenti la crisi matrimoniale, abbandonando ogni possibile mortificazione paternalistica dell'autonoma iniziativa di due soggetti, il cui rapporto va esaurendosi e non può e non deve imporre limiti ulteriori. A conferma di ciò, gli artt. 711 c.p.c. e 4, comma 16, l. n. 898/1970, espressione del favor legislativo per una sistemazione concordata dei rapporti patrimoniali. Inoltre, solo su domanda di parte (Cass., 28 aprile 2008, n. 10810; Cass., 5 luglio 2001, n. 9058) e sulle prove dalla stessa allegate (Cass., 3 novembre 2004, n. 21080; Cass., 24 maggio 2001, n. 7068), il coniuge, in presenza dei requisiti di legge valutati dal giudice, potrà ottenere l'assegno in questione. A favore dell'affermazione dell'indisponibilità del diritto all'assegno di mantenimento e divorzile vi è, però, la valutazione dell'intrinseca componente alimentare dello stesso e quindi dell'eventuale stato di bisogno del beneficiario. Si ritiene, così, secondo una posizione intermedia, che nella misura in cui l'assegno sia diretto ad assolvere la funzione di cui agli artt. 433 ss. c.c. debba considerarsi indisponibile. Peraltro, la Cass., 10 maggio 2017, n. 11504 muta orientamento, ancorando il diritto all'assegno divorzile alla non autosufficienza economica, ritenendo superato il riferimento al tenore di vita. Si addiviene così al “principio di autoresponsabilità” economica, riferendosi soltanto all'indipendenza economica (con valutazione del reddito, della titolarità di cespiti mobiliari o immobiliari, della capacità e possibilità effettive di lavoro, della disponibilità di una abitazione). Il dibattito teorico sulla natura disponibile o meno del diritto all'assegno ha ripercussioni nella prassi sulla possibilità che lo stesso sia oggetto di rinuncia, compensazione, azione surrogatoria dei creditori o transazione, sulla cedibilità, pignorabilità, sequestrabilità e sul fatto che l'autorità giudiziaria possa dichiarare ammissibile o meno il giuramento decisorio. Su quest'ultimo punto, a favore Cass., 8 agosto 1963, n. 2243; Cass., 15 settembre 1978, n. 4145; Cass., 4 giugno 1983, n. 3811 contra Cass., 9 novembre 1970, n. 2287.

Dando atto delle contrastanti prospettazioni ermeneutiche sulla natura dell'assegno, la sentenza in esame ritiene comunque inammissibile il giuramento decisorio non per l'effetto delle regole limitative di cui all'art. 2739 c.c., ma in quanto non consentirebbe l'automatica decisione sul punto poiché “espressione imperfetta del potere dispositivo delle parti nel processo”.

Osservazioni

Spetta dunque al giudice la decisione di ammettere o meno il giuramento decisorio, in base alla sua discrezionale valutazione sull'idoneità del mezzo istruttorio a definire il giudizio, nonché sulla sua rilevanza ai fini della decisione e sul rispetto delle formalità imposte dal codice di rito.

L'ammissibilità postula l'idoneità della relativa formula alla definizione della lite, nel senso che al giudice, dopo la sua prestazione, non resti che verificare l'an iuratum sit e senz'altro accogliere o respingere la domanda sul punto che di esso ha formato oggetto, con la conseguenza che detto strumento non può servire per l'acquisizione di elementi probatori presuntivi, da valutarsi in concorso ed in relazione con le altre risultanze istruttorie già raccolte.

La giurisprudenza è concorde nell'affermare l'esistenza di tali limiti all'ammissibilità del giuramento (Cass., 18 maggio 2012, n. 7863; Cass., 23 febbraio 2006, n. 4001; Cass., 2 dicembre 2002, n. 17096; Cass., 22 febbraio 2001, n. 2601; Cass., 9 febbraio 2001, n.1865; Cass., 23 febbraio 1999, n. 1526; Cass., S.U. n. 3379/1982). Va infatti considerato l'inequivocabile tenore letterale dell'art. 2736 c.c., secondo cui da tale mezzo di prova deve dipendere la decisione totale o parziale della causa e quindi, non solamente su uno dei punti che costituiscono l'iter logico da percorrere per pervenire alla decisione. Inoltre, la ratio della prova legale è quella di favorire una rapida decisione della controversia. Un punto dell'iter logico sarebbe comunque difficilmente distinguibile da qualsiasi altra risultanza processuale che il Giudice deve considerare al momento della decisione. Per quanto concerne la domanda di assegno, il giudice decide non solo sulla base dell'accertamento delle risorse economiche. Tale elemento, soggetto a doveroso apprezzamento del giudice, deve altresì essere valutato insieme ad altre circostanze ex artt. 156 c.c. e 5 l. n. 898/1970.

La decisorietà sulla formula del giuramento è rimessa al Giudice del merito, che valuta l'idoneità a definire la lite ed è sindacabile in sede di legittimità con esclusivo riferimento alla sussistenza di vizi logici o giuridici attinenti all'apprezzamento espresso (Cass., 3 gennaio 2011, n. 39).

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