È del Giudice tutelare la competenza a decidere sui minori non accompagnati

Luca Dell'Osta
29 Dicembre 2015

In caso di minore introdottosi clandestinamente in Italia senza genitori e riferimenti parentali, non è ravvisabile una situazione abbandonica tale da giustificare l'apertura di una procedura di adottabilità.
Massima

In caso di minore introdottosi clandestinamente in Italia senza genitori e riferimenti parentali, non è ravvisabile una situazione abbandonica tale da giustificare l'apertura di una procedura di adottabilità; al contrario, deve essere riconosciuta esclusivamente l'impossibilità di esercizio della responsabilità genitoriale, con derivata competenza a conoscere, e a provvedere, del giudice tutelare, ai sensi dell'art. 343 c.c., con obbligo istituzionale, nel frattempo, di assistenza del minore da parte del Servizio sociale o dell'amministrazione competente.

Il caso

Il pubblico ministero presso il Tribunale per i Minorenni dell'Emilia Romagna ricorreva, ai sensi degli artt. 8 e ss. l. n. 184/1983, perché fosse accertato lo stato di abbandono e, conseguentemente, perché venisse dichiarata l'adottabilità del minore GT, proveniente da un Paese dell'Africa centrale, presente illegalmente sul territorio nazionale e senza alcun riferimento parentale. A sostegno del suo ricorso, il pubblico ministero evidenziava che, a suo parere, si fosse in presenza di una condizione abbandonica ravvisabile proprio nell'introduzione clandestina del minore in Italia, nella mancanza di referenti parentali e di mezzi di sussistenza, e infine nel difetto di cure parentali-assistenziali ed educative.

Il Collegio, a seguito di istruttoria, dichiarava il non luogo a provvedere sul ricorso volto all'accertamento dello stato di abbandono, con pronunce conseguenti, del minore GT; inoltre, disponeva che la situazione fosse portata a conoscenza del giudice tutelare e dei servizi sociali competenti.

La questione

La questione affrontata dal Tribunale per i Minorenni di Bologna può essere riassunta in questi termini: sono sufficienti la mera presenza, da clandestino, sul territorio nazionale, e l'assenza di riferimenti parentali in Italia, per procedere all'accertamento dello stato di abbandono e per pronunciare la conseguente dichiarazione di adottabilità?

Le soluzioni giuridiche

Com'è noto, la legge n. 184/1983 prevede che siano dichiarati in stato di adottabilità i minori di cui sia stata accertata la situazione di abbandono (art. 8 comma 1). Ora, tale requisito può dirsi integrato laddove vi sia la mancanza di assistenza materiale e morale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, sempreché tale situazione non sia dovuta a cause di forza maggiore.

Partendo da tale dato normativo, e adducendo a supporto alcune pronunce della Corte di Cassazione, il decreto in commento giunge a sostenere che la fattispecie devoluta alla cognizione del Tribunale non risulta «riportabile nella sfera, rigorosamente contenuta, del modello legale dello stato di abbandono».

Tale assunto è suffragato dalla considerazione che i minori non accompagnati (quale è, nel caso di specie, GT), giungono in Italia dopo viaggi lunghi e disagevoli, spesso con l'obiettivo di fuggire da situazioni di grande incertezza e difficoltà (guerre, carestie, persecuzioni politiche e/o religiose) e anche con la speranza di un futuro migliore rispetto a quello che può prospettarsi nei loro Paesi di origine. Tali migrazioni, come viene accertato nella sostanziale totalità dei casi, sono riferibili ad autonome scelte dei minori e delle loro famiglie di provenienza, quando i ragazzi risultino ormai maturi per età e per esperienze di vita tanto da poter intraprendere un viaggio periglioso con prospettive del tutto incerte.

Da ciò, il Tribunale per i Minorenni di Bologna deduce due uniche alternative: o gli allontanamenti dei minori dal loro Paese si verificano nella completa ignoranza dei parenti, oppure con il loro consenso. È evidente che né nel primo caso, né nel secondo, si è – anche solo astrattamente – in presenza della fattispecie disciplinata dall'art. 8 della legge sulle adozioni. Anzi, al contrario, con le parole del decreto in commento è possibile affermare che «nella normalità dei casi i genitori hanno agito, o hanno mancato di opporsi, in una prospettiva di tutela del figlio, e nel suo interesse».

Da ciò deriva, quale logica conseguenza, l'insussistenza dei requisiti richiesti dalla legge per l'apertura di una procedura di adottabilità.

Il provvedimento in esame si spinge oltre, definendo i casi in considerazione come «stati di obiettiva impossibilità di esercizio della potestà»: pertanto, la competenza a decidere in merito è del giudice tutelare, ai sensi dell'art. 343 c.c., il cui dato letterale induce l'interprete a ritenere le situazioni da esso disciplinate quali circostanze “oggettive” che limitano la possibilità di esercizio della responsabilità genitoriale (al contrario di quanto previsto dalla disciplina sull'adottabilità contenuta nella legge del 1983, la quale fa invece riferimento a circostanze “soggettive”, ossia a comportamenti di genitori e di parenti che li rendano inidonei a crescere e ad allevare i minori).

Osservazioni

Il decreto del Tribunale per i Minorenni di Bologna affronta, con concise motivazioni ma assoluto rigore logico, una questione di vecchia data e, tuttavia, di grande attualità, che viene risolta aderendo a un non sempre pacifico orientamento della giurisprudenza di merito che può comunque ritenersi ormai consolidato.

D'altra parte, la bontà della scelta del giudicante bolognese è tanto più apprezzabile in quanto si consideri il recentissimo d.lgs. n. 142/2015, in vigore dal 30 settembre 2015 (adottato in attuazione della direttiva 2013/33/UE, recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti la protezione internazionale), il quale, all'art. 19, disciplina proprio l'accoglienza dei minori non accompagnati.

In particolare, la novella legislativa recepisce l'orientamento dei Tribunali per i Minorenni, fra cui quello di Bologna, prevedendo che i minori non accompagnati giunti sul territorio nazionale debbano essere accolti in una struttura di prima accoglienza; qui, è garantito un colloquio con uno psicologo dell'età evolutiva (se del caso in presenza di un mediatore culturale), il quale possa accertare la reale situazione personale del minore, con particolare riferimento ai motivi e alle circostanze della partenza dal suo Paese di origine e del viaggio effettuato (art. 19 comma 1); nel caso in cui tali strutture non siano disponibili, l'accoglienza è garantita dai Servizi competenti per territorio (art. 19 comma 3).

Accertata la presenza di un minore non accompagnato sul territorio nazionale, l'autorità di pubblica sicurezza è tenuta a comunicare il caso al Giudice tutelare per l'apertura della tutela e per la nomina di un tutore, ai sensi degli artt. 343 e ss. c.c.; inoltre, devono essere notiziati anche il Procuratore presso il Tribunale per i Minorenni e lo stesso Tribunale, chiamati a ratificare le misure di accoglienza predisposte (art. 19 comma 5; la trasmissione degli atti al giudice tutelare è stata proprio la scelta adottata dal Tribunale per i Minorenni nel caso di cui ci si occupa).

Infine, la legge prevede che siano esperite tempestive indagini per individuare i familiari del minore non accompagnato, con il fine ultimo di garantire il diritto all'unità familiare (art. 19 comma 7).

Ora, è evidente che non si possa escludere a priori, e nella totalità dei casi, la necessità dell'intervento del Giudice minorile nei casi di minori non accompagnati giunti sul territorio nazionale; va quindi accolta in senso positivo l'obbligatorietà, contenuta nella nuova legge, di un colloquio con uno psicologo dell'età evolutiva e della segnalazione del caso all'autorità giudiziaria minorile che – come nel caso in esame – potrà interloquire con il giudice tutelare, competente ad adottare i provvedimenti di cui agli artt. 343 e ss. c.c., nel superiore interesse del minore.

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