Protezione internazionale possibile per la cittadina nigeriana obbligata a contrarre matrimonio

Redazione Scientifica
27 Dicembre 2016

Per la Cassazione, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, è dovere del Giudice svolgere una verifica sulla situazione attuale del Paese di provenienza della richiedente, costretta dal padre a contrarre un matrimonio non voluto.

Una cittadina nigeriana, fuggita dal suo paese d'origine per non subire un matrimonio forzato impostole dal padre, ha chiesto protezione internazionale alla relativa Commissione Territoriale di Crotone che ha, però, respinto la richiesta. Confermato il diniego anche da parte del Tribunale e della Corte d'appello di Catanzaro, la donna ha presentato ricorso per cassazione.

La Suprema Corte ritiene necessario non solo valutare se la pratica del matrimonio forzato sia una realtà sociale accettata nel paese di provenienza della ricorrente ma anche considerare che, in tema di protezione sussidiaria, la «costrizione ad un matrimonio non voluto costituisce grave violazione della dignità e, dunque, trattamento degradante che integra un danno grave», la cui minaccia può provenire anche da soggetti privati, diversi dallo Stato, qualora le autorità pubbliche o le organizzazioni che controllano tale Paese (o una sua parte consistente) «non possono o non vogliono fornire protezione adeguata». In questo caso, è dovere del Giudice effettuare una verifica officiosa sulla situazione attuale di quello Stato e sulla eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali. La Corte di Cassazione, pertanto, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rimette la causa alla Corte d'appello di Catanzaro, in diversa composizione.

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