La scelta della scuola nel conflitto tra i genitori

24 Febbraio 2017

Il Tribunale di Roma è chiamato a decidere presso quale scuola, pubblica o privata, iscrivere il figlio minore allorché i genitori siano in disaccordo..
Massima

La scelta della scuola deve essere fatta d'accordo dai genitori, avendo riguardo all'interesse del minore. In caso di contrasto tra gli stessi in merito all'iscrizione dei figli a scuola, deve essere privilegiata l'istruzione pubblica, salvo non vi siano ragioni oggettive che rendano preferibile l'opzione per l'istituto privato.

Il caso

Con due decisioni rese a breve distanza l'una dall'altra, il Tribunale di Roma, sezione prima civile, ha affrontato il tema del disaccordo genitoriale in relazione alla scelta dell'istituto scolastico che il figlio minore deve frequentare, allorché la controversia investa la natura pubblica o privata della scuola.

Nel primo caso, risolto con decreto 31 agosto 2016 n. 23100, un padre separato ricorre al tribunale, chiedendo l'iscrizione del figlio al secondo anno di scuola primaria presso un Istituto pubblico, avendo la madre per l'anno scolastico precedente iscritto il bambino presso un Istituto privato, asseritamente contro la volontà paterna. Le motivazioni addotte dal ricorrente constano nei presunti limiti della struttura privata frequentata dal figlio, nella natura religiosa della stessa e nella discontinuità mancando nell'Istituto una scuola media; oltre al previsto cambio dell'insegnante tra il primo e il secondo anno. La resistente si oppone a tale richiesta documentando il consenso paterno all'iscrizione del figlio nella scuola frequentata per il primo anno, ritenendo necessario garantire al figlio stesso la continuità e stabilità scolastica, specie nel difficile momento successivo alla separazione dei genitori.

Nel secondo caso, deciso con decreto 9 settembre 2016 n. 23436, una madre, adducendo la violazione da parte dell'ex compagno degli accordi presi innanzi al Tribunale per i Minorenni nel 2010, che prevedevano l'integrale accollo da parte del padre stesso della retta relativa alla frequentazione dell'Istituto scolastico privato all'epoca concordemente scelto dai genitori, chiede di essere autorizzata a iscrivere la figlia al primo anno di liceo classico, presso la medesima scuola privata da sempre frequentata, con l'intento di assicurarle continuità didattica e il mantenimento delle amicizie instaurate. Il padre si oppone sul presupposto che il consenso alla scuola privata era circoscritto al momento della cessazione della convivenza per garantire ai figli la frequentazione dell'istituto a tempo pieno e lo svolgimento di attività parascolastiche, e rappresentando inoltre la necessità di garantire alla figlia una migliore formazione ed un ambiente scolastico meno rigido e chiuso.

Il Tribunale, nel primo caso, rigetta la richiesta del padre di iscrivere il figlio al secondo anno di scuola primaria in una scuola pubblica, disponendo che il bambino, salvo diversi accordi tra i genitori, termini il ciclo scolastico presso la scuola dove l'aveva iniziato; nel secondo caso autorizza invece il genitore richiedente ad iscrivere la figlia al primo anno della scuola secondaria presso un Istituto pubblico, anche in caso di mancanza del consenso materno, oltre che a fronte della preferenza, espressa dalla figlia, per continuare la frequentazione della scuola privata.

La questione

Il Tribunale di Roma è chiamato a decidere presso quale scuola, pubblica o privata, iscrivere il figlio minore allorché i genitori siano in disaccordo: le decisioni, in apparenza contraddittorie, seguono invece una linea comune, poiché, con i provvedimenti adottati, si è tenuto in debito conto l'interesse del minore, diverso nell'un caso rispetto all'altro.

Le soluzioni giuridiche

La peculiarità del tema oggetto dei provvedimenti in esame concerne la relazione tra la responsabilità genitoriale, il ricorso al giudice in caso di conflitto tra genitori in ordine a questioni di primaria importanza e i diritti del figlio sanciti dagli artt. 30 e 33 Cost..

Anche se i genitori entrano in crisi e cessa la convivenza tra essi, non mutano i diritti e gli obblighi nei confronti dei figli. Resta fermo, soprattutto, il fondamentale obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole e, qualora i genitori non raggiungano un accordo in merito alle decisioni sulla vita del minore, ciascuno di essi ha la facoltà di ricorrere al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei per il figlio. La valutazione successivamente operata dall'organo giudicante sarà basata sul solo e preminente interesse del minore.

La Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989 ha qualificato come “superiore” l'interesse dei minori prescrivendo, all'art. 3, che esso «deve ricevere preminente considerazione in tutte le decisioni relative ai fanciulli», dando quindi piena effettività ai diritti dei minori e improntando un nuovo orientamento al diritto di famiglia.

Diritto che ha subito “una vera e propria rivoluzione copernicana” a cui proprio i principi enunciati dalla Convenzione di New York hanno dato un apporto fondamentale; la Corte costituzionale ha poi ribadito che «l'interesse superiore dei minori deve essere collocato sempre al primo posto, davanti ad ogni altra considerazione, in tutte le questioni che li vedono coinvolti o che li riguardano» (Corte cost. 23 gennaio 2013, n. 7). Il supremo interesse del minore come metro valutativo è conclamato con la l. n. 54/2006 che ha complessivamente riorganizzato la materia riguardante i figli nella crisi familiare, sia dal punto di vista sostanziale, sia da quello processuale. Tra le novità più rilevanti è anche la modifica delle regole a presidio delle facoltà decisionali dei genitori riguardo ai figli.

Nel nuovo regime, che introduce l'affido condiviso quale regola generale, è previsto che l'esercizio della responsabilità permanga in capo ad entrambi i genitori, con obbligo di accordo per le decisioni di maggior interesse.

La scelta dell'istituto scolastico che i figli frequenteranno è espressione dell'esercizio della responsabilità genitoriale e rientra fra le decisioni di maggiore importanza che i genitori devono assumere di comune accordo (Cass. 20 luglio 2012, n. 10174; Cass. 3 novembre 2000, n. 14360. In caso di contrasti e di controversie, provvede il giudice in base all'art. 316 c.c. e, in caso di separazione, divorzio o cessazione della famiglia di fatto, applicando le regole di cui agli artt. 337-ter c.c. e art. 709-ter c.p.c.) e, allorché l'accordo manchi, la scelta è rimessa al Tribunale.

Il Giudice nell'operare la scelta deve utilizzare come criterio di giudizio il superiore interesse del minore, dando concretezza ad un concetto di per sé indeterminato, in mancanza di parametri oggettivi che consentano di individuare detto interesse nei casi concreti. Va da sé che il Giudice finisce, quindi, con l'esercitare un potere discrezionale.

I due casi in commento pongono in stretta correlazione l'interesse del minore con il carattere pubblico o privato dell'istituto scolastico. Tema, quest'ultimo, oggetto di alcuni recenti provvedimenti, e risolto in modo pressoché univoco: il Giudice chiamato a operare la scelta in luogo dei genitori opterà tendenzialmente per le istituzioni scolastiche pubbliche.

La nostra Costituzione prevede un sistema educativo di istruzione e formazione affidato a soggetti pubblici e privati: gli artt. 33 e 34, in particolare, sono coerenti innanzi tutto con gli artt. 2, 3 e 21 Cost., sicché dal dettato normativo emerge un sistema nazionale di istruzione, fondato sul principio di autonomia delle scuole.

La Costituzione prevede, dunque, un sistema pluralistico tendente a garantire il diritto di frequentare istituti scolastici e universitari ispirati a vari orientamenti di pensiero politico-sociale e religioso.

Naturale che allorché una scuola privata si ispiri a principi educativi improntati su determinati ideologie, di qualsiasi natura esse siano, la scelta di farla frequentare al figlio deve essere il frutto di un vaglio attento e condiviso dalla coppia genitoriale.

Può un Giudice imporre la scuola privata a un minore se v'è disaccordo in merito tra i suoi genitori?

In giurisprudenza è stato osservato che «la scelta del giudicante nel senso della scuola pubblica è una scelta “neutra” che non rischia di orientare il minore verso determinate scelte educative o di orientamento culturale in generale (e ciò, invece, potrebbe avvenire nella designazione di una scuola privata)» (cit., Trib. Milano n. 3521/2016). Detto orientamento è senz'altro prevalente in giurisprudenza: il Tribunale adito esprimerà la sua preferenza per le istituzioni scolastiche pubbliche poiché espressione primaria e diretta del sistema nazionale di istruzione e limiterà il riferimento alle istituzioni private solo qualora emergano precisi e specifici elementi per accertare un concreto interesse effettivo dei figli a frequentare una scuola diversa da quella pubblica (Trib. Milano, sez. XI,sent. n. 3521/2016; Trib. Milano, sez. XI, dec. 4 febbraio 2015).

Il rischio potrebbe essere una valutazione condizionata nel caso in cui la scuola privata proposta quale alternativa alla pubblica sia connaturata da un orientamento culturale preciso.

Tuttavia, il Tribunale di Roma si mostra scevro dall'influenza di opzioni ideologiche, dando prevalenza, nella decisione, alla valutazione dell'effettivo interesse del minore.

Senza apparenti preconcetti, i Giudici affrontano dunque la questione se, nei due diversi casi sottoposti al loro esame, la frequentazione della scuola privata sia effettivamente nel precipuo interesse e beneficio del minore.

Il criterio di giudizio viene parametrato rispetto alla sicurezza del bambino, sia psicologica che nei rapporti interpersonali, sia alla necessità o meno di conservare l'assetto di vita e di abitudini raggiunto, anche dal punto di vista scolastico.

Nell'un caso, allorché il minore è in età ancora tenera, sta attraversando una fase d'assestamento emotivo e abitudinale conseguente alla disgregazione della famiglia, ha appena iniziato il proprio percorso scolastico in un istituto privato ove conosce i compagni e gli insegnati, il Tribunale reputa conforme all'interesse di quel bambino mantenere l'assetto, anche scolastico, esistente, onde evitare, quindi, sconvolgimenti che rappresenterebbero ulteriori fonti di difficoltà, di instabilità ed insicurezza.

Diversa considerazione se il minore, in età peraltro pressoché adolescenziale, deve iniziare un nuovo ciclo di istruzione. Il mutamento del contesto scolastico viene ritenuto meno impattante se il figlio non è in tenera età. Preliminarmente, e correttamente, il Tribunale chiarisce che, seppure il padre avesse anni addietro acconsentito alla frequentazione di un istituto privato, il consenso va inteso come circoscritto al ciclo scolastico frequentato dal figlio nel periodo in cui l'accordo veniva concluso.

Proprio alla luce del fatto che le scelte per i minori devono essere ispirate al loro supremo interesse, è corretto che i genitori rinnovino- o meno - la propria adesione per ogni ciclo di studio che il minore andrà a frequentare, tenuto conto delle nuove e specifiche esigenze connesse all'età che ben potrebbero suggerire impostazioni didattiche differenti.

Correttamente l'organo giudicante osserva che «una diversa interpretazione, portata alle estreme conseguenze imporrebbe ai genitori che avessero prestato il consenso alla frequentazione di una scuola privata dell'infanzia di assicurare la frequenza scolastica nella medesima struttura fino al compimento degli studi anche universitari, qualora la struttura avesse classi di istruzione di ogni ordine e grado» (Trib. Roma n. 23100/2016).

In questo caso, il Tribunale si conforma all'orientamento prevalente secondo cui, laddove non sussista un accordo tra i genitori e non emergano manifeste controindicazioni all'interesse del minore (es. in relazione a difficoltà nell'apprendimento, problematicità nelle relazioni interpersonali, fragilità di inserimento nel contesto dei coetanei), la decisione migliore, risolutiva rispetto all'incertezza dei genitori, non può che essere a favore dell'istruzione pubblica, secondo i canoni dall'ordinamento riconosciuti come idonei allo sviluppo culturale di soggetto minore residente sul territorio.

Specifica il Collegio che l'istruzione pubblica è quella messa a disposizione di tutti i minori e a cui i minori devono accedere anche obbligatoriamente fino al sedicesimo anno di età, come si desume dalla struttura dell'ordinamento scolastico: solo quello pubblico è gratuito, mentre quello privato prevede il pagamento di rette e spesso l'adesione a orientamenti religiosi o educativi che i genitori potrebbero non condividere. Trattandosi di scelte personalissime, il Tribunale non potrebbe imporlo, poiché realizzerebbe (ndr) una indebita ingerenza nella sfera privata individuale.

Le scuole private, quindi, possono essere favorite nella decisione del giudice volta a dirimere il conflitto, solo se emergano precisi elementi tali da ravvisare un concreto ed effettivo interesse del minore a frequentare un istituto scolastico diverso da quello pubblico, in primis, la necessità di garantire la continuità scolastica (dunque, un ciclo iniziato va portato a compimento presso l'istituto prescelto in origine) ovvero, precisa il Collegio, quando il contrasto non riguarda la scelta tra pubblico e privato bensì attenga aspetti economici.

Osservazioni

In generale, il Giudice chiamato a dirimere il contrasto sulla scelta della scuola pubblica o privata dovrebbe fare una valutazione sulla base del caso concreto, e non anche, si ritiene, sul fatto che le istituzioni scolastiche pubbliche sarebbero espressione “primaria e diretta” del sistema nazionale d'istruzione: assunto che trova una smentita nell'art. 1 l. 10 marzo 2000 n. 62 recante norme per la parità scolastica e sul diritto allo studio e all'istruzione, dove si legge che «il sistema nazionale d'istruzione, fermo restando quanto previsto dall'art. 33, comma 2, Cost., è costituito dalle scuole pubbliche e dalle scuole paritarie private e degli enti locali».

Il Giudice dovrebbe sempre calarsi nel caso concreto e chiedersi se il mutamento dell'ambiente scolastico e delle relazioni con compagni possa influenzare negativamente i figli originando disorientamenti e sofferenze.

Un aspetto suscita qualche perplessità (metterei qui un aspetto) nel secondo provvedimento esaminato: seppur siano condivisibile l'iter motivazionale e le conclusioni cui il Collegio perviene, i Giudici si discostano dall'opinione espressa dalla figlia minore in sede di ascolto sottolineando che la sua volontà non può superare il principio per cui il Giudice non può disporre l'iscrizione a una scuola privata in caso di disaccordo tra i genitori. Tanto più, si legge, che l'ascolto del minore non è necessario in sede di iscrizione alla scuola, poiché la scelta scolastica è rimessa ai genitori, non avendo il minore la maturità sufficiente per effettuare scelte consapevoli. Sia consentito dissentire sul punto: che l'adesione del minore adolescente alla scelta della scuola che dovrà frequentare per un intero ciclo sia totalmente irrilevante, pare discutibile. Si tratta piuttosto di vagliare le argomentazioni poste dal minore alla base della propria opzione, eventualmente mettendogli a disposizione strumenti utili per una scelta consapevole. Se poi il contesto diventa quello giudiziale, occorrerebbe assicurare l'adeguata considerazione dell'interesse del minore con metodi che assicurino il rispetto non soltanto del diritto convenzionale ma anche delle linee guida fornite dal Consiglio d'Europa il 17 novembre 2010 per una giustizia a misura del minore: linee guida prive di valore precettivo, ma aventi la specifica funzione, come specificato nel Preambolo, di «contribuire alla individuazione di soluzioni concrete alle carenze esistenti nel diritto e nella pratica». Gli Stati membri sono invitati a garantire l'effettiva realizzazione dell'interesse superiore dei minori mediante «un approccio multidisciplinare» che tenga in conto «tutti gli interessi in gioco, compreso il benessere fisico e psicologico e gli interessi giuridici, sociali ed economici del minore» per ottenere «una comprensione approfondita del minore, nonché una valutazione della sua situazione giuridica, psicologica, sociale, emotiva, fisica e cognitiva».

Obiettivo che l'ascolto del minore, come attuato oggi nelle aule di giustizia, non consente spesso di realizzare.

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