Un'altra condanna da Strasburgo: il Giudice deve tutelare il diritto di visita del non collocatario

23 Giugno 2017

La Corte di Strasburgo condanna l'Italia per aver violato l'art. 8 CEDU nel corso di un procedimento relativo alla relazione genitore figlia.
Massima

La relazione tra figli e genitori è espressione della vita familiare tutelata dall'art. 8 CEDU.

L'art. 8 CEDU prevede, oltre al divieto di ingerenza illegittima e non necessaria, obblighi positivi a carico dell'autorità nazionale per l'adozione di misure atte a garantire il diritto alla vita familiare.

Gli obblighi positivi gravanti sull'autorità nazionale non sono assoluti, ma limitati a quanto si può ragionevolmente esigere dall'autorità.

L'adeguatezza ed efficacia della misura a tutela del diritto è legata anche alla tempestività con cui viene adottata; il ritardo può causare effetti dannosi alla relazione, fino a risolvere le controversie con un fatto compiuto; per questo nei procedimenti che hanno ad oggetto la relazione figli genitori, si impone al giudice una speciale diligenza e celerità per l'assunzione di misure di tutela adeguate.

Il caso

Nel novembre del 2010 Tizio ricorre al Tribunale per i minorenni di Napoli, allora competente per l'affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, chiedendo l'affidamento condiviso della figlia avuta con Caia da pochi mesi e lamentando difficoltà di accesso alla bambina, in quanto la madre gli consente unicamente due brevi incontri settimanali ed alla sua presenza.

Il primo provvedimento provvisorio con cui il giudice regola i rapporti figlia padre viene emesso dopo un anno e dispone incontri protetti con la sorveglianza del servizio sociale, che viene autorizzato a passare agli incontri liberi quando ne ravvisi l'opportunità, cosa che avviene dopo quattro mesi.

Solo dopo altri due anni, tre dal ricorso, nel luglio del 2013, il Tribunale dei minori, definisce la causa, istruita con una CTU psicologica e indagini patrimoniali sul padre, pronunciando l'affidamento condiviso. Vengono stabiliti due incontri a settimana oltre a due domeniche alternate, che dal terzo anno di vita della bambina si amplieranno in fine settimana, sempre in alternanza con la madre.

Tizio ricorre in appello lamentando il mancato accoglimento della sua richiesta di avere una più ampia frequentazione con la figlia, per effetto del quale il suo diritto alla condivisione dell'affidamento non era garantito.

La Corte d'appello conferma la regolazione dei tempi di rapporto figlia padre, affermando che dagli esiti della CTU svolta in primo grado risulta che quest'ultimo non offre le condizioni affettive, psicologiche e relazionali per beneficiare di una modificazione delle modalità di esercizio del suo diritto di visita. Nel novembre del 2010 Tizio ricorre al Tribunale per i minorenni di Napoli, allora competente per l'affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, chiedendo l'affidamento condiviso della figlia avuta con Caia da pochi mesi e lamentando difficoltà di accesso alla bambina, in quanto la madre gli consente unicamente due brevi incontri settimanali ed alla sua presenza.

Il primo provvedimento provvisorio con cui il giudice regola i rapporti figlia padre viene emesso dopo un anno e dispone incontri protetti con la sorveglianza del servizio sociale, che viene autorizzato a passare agli incontri liberi quando ne ravvisi l'opportunità, cosa che avviene dopo quattro mesi.

Solo dopo altri due anni, tre dal ricorso, nel luglio del 2013, il Tribunale dei minori, definisce la causa, istruita con una CTU psicologica e indagini patrimoniali sul padre, pronunciando l'affidamento condiviso. Vengono stabiliti due incontri a settimana oltre a due domeniche alternate, che dal terzo anno di vita della bambina si amplieranno in fine settimana, sempre in alternanza con la madre.

Tizio ricorre in appello lamentando il mancato accoglimento della sua richiesta di avere una più ampia frequentazione con la figlia, per effetto del quale il suo diritto alla condivisione dell'affidamento non era garantito.

La Corte d'appello conferma la regolazione dei tempi di rapporto figlia padre, affermando che dagli esiti della CTU svolta in primo grado risulta che quest'ultimo non offre le condizioni affettive, psicologiche e relazionali per beneficiare di una modificazione delle modalità di esercizio del suo diritto di visita.Nel novembre del 2010 Tizio ricorre al Tribunale per i minorenni di Napoli, allora competente per l'affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, chiedendo l'affidamento condiviso della figlia avuta con Caia da pochi mesi e lamentando difficoltà di accesso alla bambina, in quanto la madre gli consente unicamente due brevi incontri settimanali ed alla sua presenza.

Il primo provvedimento provvisorio con cui il giudice regola i rapporti figlia padre viene emesso dopo un anno e dispone incontri protetti con la sorveglianza del servizio sociale, che viene autorizzato a passare agli incontri liberi quando ne ravvisi l'opportunità, cosa che avviene dopo quattro mesi.

Solo dopo altri due anni, tre dal ricorso, nel luglio del 2013, il Tribunale dei minori, definisce la causa, istruita con una CTU psicologica e indagini patrimoniali sul padre, pronunciando l'affidamento condiviso. Vengono stabiliti due incontri a settimana oltre a due domeniche alternate, che dal terzo anno di vita della bambina si amplieranno in fine settimana, sempre in alternanza con la madre.

Tizio ricorre in appello lamentando il mancato accoglimento della sua richiesta di avere una più ampia frequentazione con la figlia, per effetto del quale il suo diritto alla condivisione dell'affidamento non era garantito.

La Corte d'appello conferma la regolazione dei tempi di rapporto figlia padre, affermando che dagli esiti della CTU svolta in primo grado risulta che quest'ultimo non offre le condizioni affettive, psicologiche e relazionali per beneficiare di una modificazione delle modalità di esercizio del suo diritto di visita.Nel novembre del 2010 Tizio ricorre al Tribunale per i minorenni di Napoli, allora competente per l'affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, chiedendo l'affidamento condiviso della figlia avuta con Caia da pochi mesi e lamentando difficoltà di accesso alla bambina, in quanto la madre gli consente unicamente due brevi incontri settimanali ed alla sua presenza.

Il primo provvedimento provvisorio con cui il giudice regola i rapporti figlia padre viene emesso dopo un anno e dispone incontri protetti con la sorveglianza del servizio sociale, che viene autorizzato a passare agli incontri liberi quando ne ravvisi l'opportunità, cosa che avviene dopo quattro mesi.

Solo dopo altri due anni, tre dal ricorso, nel luglio del 2013, il Tribunale dei minori, definisce la causa, istruita con una CTU psicologica e indagini patrimoniali sul padre, pronunciando l'affidamento condiviso. Vengono stabiliti due incontri a settimana oltre a due domeniche alternate, che dal terzo anno di vita della bambina si amplieranno in fine settimana, sempre in alternanza con la madre.

Tizio ricorre in appello lamentando il mancato accoglimento della sua richiesta di avere una più ampia frequentazione con la figlia, per effetto del quale il suo diritto alla condivisione dell'affidamento non era garantito.

La Corte d'appello conferma la regolazione dei tempi di rapporto figlia padre, affermando che dagli esiti della CTU svolta in primo grado risulta che quest'ultimo non offre le condizioni affettive, psicologiche e relazionali per beneficiare di una modificazione delle modalità di esercizio del suo diritto di visita.

La questione

Tizio ricorre alla CEDU allegando una violazione del diritto alla vita familiare ex art. 8 CEDU. In particolare egli sostiene che vi è stata violazione dell'obbligo positivo, che grava sulle autorità nazionali, di garantire l'effettività del diritto, obbligo riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte EDU (cfr. per tutti Prizzia C. Hunghary, 2013, ma anche Lombardo c. Italia, 2013); allega inoltre una violazione conseguente all'ingerenza indebita e sproporzionata nella sua relazione con la figlia, a causa della mancanza di celerità della procedura.

La soluzione giuridica

La Corte EDU ha ritenuto all'unanimità sussistente la violazione del diritto alla vita familiare del ricorrente.

L'autorità giudiziaria, afferma la sentenza, ha dapprima tollerato che uno dei genitori determinasse unilateralmente tempi e modalità della relazione tra la figlia e l'altro genitore. Infatti il Tribunale si era pronunciata, in via provvisoria, sugli incontri figlia padre solo nel novembre 2011, a un anno dal ricorso, lasciando quindi che, fino ad allora, fosse la madre a regolarli.

Inoltre, prosegue la Corte, il provvedimento assunto dal giudice fu quello di procedere ad incontri protetti, nonostante non sussistesse alcun rischio per la bambina, tanto che dopo quattro mesi il servizio sociale incaricato ritenne di passare agli incontri liberi.

Infine, nota la Corte, occorsero ben 15 mesi ai consulenti tecnici per fornire al giudice un parere definitivo sul caso.

Sul punto del decorso del tempo la Corte europea rigetta le tesi della difesa erariale ed afferma di non essere affatto persuasa che fosse necessario un anno per una pronuncia sul diritto di visita.

Infine, la Corte rileva che il Giudice d'appello ha fondato la sua conferma della sentenza sugli esiti di una CTU risalente nel tempo, senza chiederne un aggiornamento alla luce della regolarizzazione dei rapporti.

Richiamati questi fatti, la Corte europea afferma che l'Italia non ha assunto tutte le misure che si potevano ragionevolmente esigere per assicurare al ricorrente il mantenimento di un legame familiare con la figlia, nell'interesse di entrambi.

Osservazioni

Ancora una pronuncia sulla violazione dell'art. 8 CEDU da parte dell'Italia; una pronuncia che, come diverse altre, ripropone il tema di un modello di giustizia delle relazioni familiari, di cui il Tribunale per i minorenni è storica espressione, che mostra una seria difficoltà ad integrare l'idea ed il principio che la relazione parentale è oggetto di un diritto umano fondamentale e non materia concernente l'amministrazione di interessi, con al centro quello superiore del minore.

L'incipit della parte in diritto della sentenza è illuminante: «la Corte ricorda che per un genitore ed il suo bambino stare insieme rappresenta un elemento fondamentale della vita familiare e che delle misure interne che impediscano ciò costituiscono ingerenza nel diritto protetto dall'art. 8 della Convenzione».

Secondo il dettato dello stesso art. 8 tale ingerenza è possibile solo se «sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».

Ogni compressione di un diritto fondamentale, dunque, si giustifica solo nei limiti della riserva di legge e della necessità. Il giudizio sulla necessità, nella logica della Convenzione, così come essa vive nella giurisprudenza della Corte che la applica, si svolge alla luce di un bilanciamento tra il diritto compresso e la posizione giuridica che è necessario tutelare con quella compressione.

Nel caso in esame la Corte non ha approfondito il tema dell'ingerenza illegittima o sproporzionata, cioè della violazione dell'obbligo negativo, che dall'esame dei fatti appare comunque riscontrabile, quanto meno nel provvedimento provvisorio che stabilì gli incontri protetti, misura non necessaria e sproporzionata; oppure nell'affermazione del Giudice d'appello sulla mancanza nel padre di qualità personali atte a farlo beneficiare di un ampliamento dei rapporti.

La decisione si fonda, invece, sulla violazione dell'obbligo di assumere misure adeguate, e quindi sulla violazione dell'obbligo positivo, in relazione alla durata del procedimento, tema proprio di altre pronunce contro l'Italia relative all'art. 8 (cfr. per tutte, Zhou c. Italia, 2014).

L'adeguatezza di una misura volta a dare tutela al diritto relazionale si giudica, secondo la Corte, anche dalla sua tempestività; un ritardo nella procedura può avere effetti dannosi sulla relazione e rischia di risolvere con un fatto compiuto la questione oggetto del procedimento stesso.

Per questo la Corte di Strasburgo afferma di poter prendere in considerazione la durata del procedimento sul terreno dell'art. 8, vale a dire come causa diretta di violazione del diritto relazionale e non esclusivamente sotto il profilo dell'art. 6 CEDU, sul diritto all'equo processo, che comprende anche il termine ragionevole di durata.

E per questo la Corte afferma che nelle procedure riguardanti le relazioni familiari si impone una maggiore diligenza e celerità da parte dell'autorità.

Nel provvedimento in esame, con il consueto linguaggio semplice e diretto della Corte di Strasburgo, ben lontano dai paludamenti linguistici che spesso caratterizzano i provvedimenti giudiziari del nostro paese, si indicano gli elementi fondanti un modello di tutela giurisdizionale dei diritti relazionali compatibile con la Costituzione e con le grandi legislazioni internazionali: celerità del procedimento, tempestività ed efficacia delle misure, compressione del diritto relazionale solo ed esclusivamente se necessaria (e nella stretta misura in cui è necessaria) per la tutela di posizioni di rango pari o superiore, in un ragionevole bilanciamento degli interessi in conflitto.

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