Il genitore è responsabile con il figlio per la musica a volume eccessivo

24 Marzo 2017

La Suprema Corte si interroga se, ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 659 c.p., è necessario che le emissioni sonore siano idonee a disturbare un numero indeterminato di persone, senza che sia necessario provare l'effettivo disturbo di più persone e se il genitore del minore imputabile possa essere dichiarato colpevole in via concorrente.
Massima

Nell'ipotesi di emissioni sonore prodotte da un impianto stereo, attivato da un minore imputabile ad un volume tale da essere idoneo a recare disturbo al riposo e alle occupazioni dei vicini si configura, ai sensi dell'art. 40 cpv c.p., la concorrente responsabilità per il reato di cui all'art. 659 c.p. anche del genitore, titolare di una posizione di garanzia nei confronti del figlio ex art. 2048 c.c., salvo che provi di non avere potuto impedire il fatto.

Il caso

Tizio era stato condannato in I e in II grado per il reato di cui all'art. 659, comma1,c.p., in quanto dal proprio appartamento, con emissioni sonore prodotte dall'impianto stereo e, comunque, omettendo di adottare le dovute cautele, aveva arrecato disturbo alle occupazioni e al riposo di due vicini di casa.

L'autore materiale del reato non era, però, Tizio, ma il figlio minore Caio, ultraquattordicenne imputabile, che aveva attivato gli apparecchi di riproduzione musicale e che era già stato giudicato dal Tribunale per i Minorenni.

Tizio, pertanto, proponeva ricorso in Cassazione, sollevando due principali motivi.

Nel primo, il condannato lamentava la violazione dell'art. 659 c.p., in quanto le emissioni sonore non erano idonee a ledere una indeterminata pluralità di persone e, pertanto, era carente uno degli elementi costitutivi del reato (molti condomini avevano dichiarato di non aver sentito la musica).

Nel secondo motivo veniva sollevata la violazione di legge in ordine alla posizione di garanzia attribuita a Tizio.

Nessun obbligo di adottare misure idonee ricadrebbe sull'imputato, in qualità di mero proprietario dell'appartamento da cui provenivano le emissioni sonore disturbanti, non essendo l'appartamento in sé a creare una situazione di pericolo.

Fonte della posizione di garanzia di Tizio non sarebbe nemmeno l'obbligo di controllo dei genitori sui propri figli di cui all'art. 2048 c.c.: se questa norma fosse ritenuta applicabile ex se, si addiverrebbe alla conclusione che ogni reato commesso da un minore dovrebbe essere automaticamente imputato al genitore, a norma dell'art. 40 cpv c.p..

Secondo il ricorrente doveva essere evocata, invece, la culpa in vigilando, che, però, non sussiste se il minore è vicino alla maggiore età.

Le questioni

La prima questione consiste nello stabilire se, ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 659 c.p., occorra che le emissioni sonore siano idonee a disturbare un numero indeterminato di persone, senza che sia necessario provare l'effettivo disturbo di più persone.

La seconda questione è se il genitore di un minore imputabile possa essere dichiarato colpevole ex art. 40 cpv c.p. in via concorrente della contravvenzione in parola commessa materialmente dal figlio minore imputabile, quale sia la fonte dell'obbligo di garanzia del genitore e quali i limiti.

Soluzioni giuridiche

Sulla prima questione la sentenza in commento afferma che «affinché sussista la contravvenzione in esame relativamente ad attività che si svolge in ambito condominiale, è necessaria la produzione di rumori idonei ad arrecare disturbo o a turbare la quiete e le occupazioni, non solo degli abitanti dell'appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione, ma di una più consistente parte degli occupanti il medesimo edificio».

Si tratta di un principio già espresso (Cass. pen., sez. I, 14 ottobre 2013, n. 45616), fatto proprio nella pronuncia in esame nell'indicare gli elementi di prova sulla base dei quali ritenere che i rumori fossero stati percepiti al di là dell'ambito condominiale (le deposizioni di due poliziotti municipali, secondo cui la musica veniva sentita già ad ottanta metri di distanza dal condominio).

Il fatto che solo due persone avessero presentato la denuncia non incide sulla sussistenza del reato.

Quanto alla seconda questione, la Suprema Corte reputa che il richiamo agli obblighi discendenti dalla qualità di proprietario-abitante dell'immobile sia “improprio”, al fine di fondare la responsabilità dell'imputato. Il danno, infatti, non è stato prodotto dall'immobile in sé, come richiesto dall'art. 2051 c.c., ma dagli apparecchi di riproduzione musicale attivati dal figlio.

I giudici di merito hanno, però, correttamente evocato la fonte di responsabilità dell'imputato, ponendo in evidenza la posizione di garanzia data dall'esercizio della potestà genitoriale sul figlio minore autore delle propagazioni rumorose. Non vi è dubbio che tra gli obblighi giuridici richiamati dall'art. 40, comma 2, c.p. debba ricomprendersi anche quello discendente dalla responsabilità genitoriale nei confronti dei figli minori, essendo i genitori «responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori» secondo quanto previsto dall'art. 2048 c.c..

Da tale norma discende, infatti, «un obbligo di sorveglianza», in capo al genitore, che «senza escludere la concorrente responsabilità del minore ultraquattordicenne e capace di intendere e di volere», radica la responsabilità del genitore, in tutti i casi in cui sia rimasto inadempiuto (Cass. pen., sez. IV, 7 ottobre 2010, n. 43386).

Resta, tuttavia, salva per l'imputato la facoltà prevista dall'art. 2048, comma 3, c.c. di provare di non avere potuto impedire il fatto.

«La responsabilità dei genitori per i fatti illeciti commessi dal minore con loro convivente, prevista dall'art. 2048 c.c., è correlata ai doveri inderogabili posti a loro carico all'art. 147 c.c. ed alla conseguente necessità di una costante opera educativa, finalizzata a correggere comportamenti non corretti ed a realizzare una personalità equilibrata, consapevole della relazionalità della propria esistenza e della protezione della propria ed altrui persona da ogni accadimento consapevolmente illecito»(Cass. civ., sez. III, 22 aprile 2009, n. 9556).

Trattandosi di responsabilità concorrente non rileva, ai fini della sua esclusione, che il figlio minore dell'imputato fosse prossimo alla maggiore età.

Osservazioni

Sulla prima questione la Corte di Cassazione si era già espressa nel caso di una madre condannata per aver disturbato per la contravvenzione in parola, in quanto non aveva impedito che i figli minori gettassero a terra biglie e altri giocattoli o trascinassero oggetti sul pavimento, anche in ore destinate al riposo (Cass. pen., sez. I, 13 dicembre 2007, n. 246).

Allora, tuttavia, era stata esclusa la responsabilità del genitore, perché i rumori prodotti dai figli minori erano idonei a disturbare solo agli abitanti dell'appartamento sottostante e, i fatti, quindi, potevano trovare tutela solo in sede civile.

Il principio enunciato si radica sull'individuazione del bene giuridico tutelato dall'art. 659 c.p.: la pubblica quiete e cioè lo stato di assenza di cause di disturbo e non la tranquillità individuale, tutelata solo in via mediata. Ciò che rileva, ai fini della sussistenza del reato, è la potenzialità diffusiva del suono o del rumore, pur se poi solo una persona se ne possa lamentare (Cass. pen., sez. I, 29 novembre 2011, n. 4798).

Si tratta di reato di pericolo concreto, che sussiste solo se vien provata l'esistenza di un concreto pericolo di disturbo che superi la normale tollerabilità.

La fattispecie al vaglio della Suprema Corte si colloca tra i reati omissivi impropri, richiedenti il verificarsi di un evento in senso naturalistico, casualmente legato alla condotta omissiva.

L'art. 40 cpv c.p., nell'effettuare la “nota equiparazione” svolge non solo una funzione estensiva di ampliamento della punibilità, attraverso la conversione delle fattispecie commissive, tipizzate in termini di azione causativa dell'evento, in condotte omissive di non impedimento dello stesso, ma anche una funzione limitativa delle omissioni penalmente rilevanti, richiedendo che una norma ponga a carico del soggetto l'obbligo di garanzia.

Il problema centrale dell'art. 40, comma 2,c.p. consiste nell'individuare le fonti dell'obbligo giuridico di impedire l'evento.

Sul punto, la Corte di Cassazione sposa la tesi della posizione di garanzia, che individua tale obbligo alla luce del suo contenuto materiale e cioè del vincolo giuridico esistente tra determinati soggetti e determinati beni giuridici, in virtù del quale i primi hanno l'obbligo di garantire l'integrità dei secondi. Si parla di concezione funzionale dell'obbligo giuridico di impedire l'evento (contrapposta alla pregressa concezione formale) per sottolinearne lo scopo: offrire una tutela rafforzata a certi beni, stante l'incapacità del titolare di proteggerli adeguatamente.

In ragione della fonte di provenienza, gli obblighi di garanzia possono essere distinti in: originari e cioè previsti dalla legge e derivati, trapassati dal titolare del bene o dall'originario garante ad altro soggetto. Sono originari gli obblighi di garanzia sussistenti in capo al genitore, in quanto previsti da quella particolare legge che è il codice civile.

Gli obblighi di garanzia vengono classificati anche in base al loro contenuto funzionale in obblighi di protezione e obblighi di controllo. Appartengono alla prima categoria gli obblighi dei genitori verso i figli di cui agli artt. 147 c.c. e 30 Cost., mentre rientrano nella seconda gli obblighi di sorveglianza dei genitori verso i figli di cui agli artt. 2047 e 2048 c.c.

La sentenza in commento presenta un altro lontano precedente, relativo al reato di infanticidio per causa d'onore (art. 578 c.p.), contestato anche ai genitori della figlia minore, che aveva materialmente cagionato la morte della propria prole (Cass. pen., sez. I, 21 settembre 1992, n. 9901). Anche in quel caso, la norma facente carico al genitore di impedire la morte della prole del figlio minore veniva individuata nell'art. 2048 c.c.

La Suprema Corte in altra pronuncia ha precisato la differenza esistente tra l'art. 2047 e l'art. 2048 c.c. (Cass. pen., Sez. IV, 7 ottobre 2010, n. 43386).

Tizio veniva condannato per il reato di lesioni personali colpose lievissime (art. 590 c.p.), perché aveva omesso di vigilare sul figlio Caio di 4 anni, che, alla guida di una minimoto elettrica, aveva investito – con conseguenze - il minore Sempronio.

Nel caso di specie, la norma fondante la posizione di garanzia del genitore era, però, l'art. 2047 c.c., in quanto il figlio era un minore infraquattordicenne, incapace di intendere e di volere. Pertanto, la responsabilità penale del genitore prescindeva dall'illiceità della condotta del soggetto garantito.

Diversamente, l'art. 2048 c.c. presuppone l'imputabilità del figlio minore ultraquattordicenne e, quindi, l'illiceità della sua condotta, determinando la concorrente responsabilità del genitore sorvegliante e del minore sorvegliato.

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