Tenore di vita e redditi di provenienza illecita

Marta Rovacchi
24 Luglio 2017

Il punto centrale della pronuncia del Tribunale milanese in esame, consiste nella valutazione e nella considerazione ai fini decisori della eventuale disponibilità di entrate illecite...
Massima

La disponibilità in costanza di matrimonio di entrate illecite, di cui tutto il nucleo familiare abbia beneficiato, non può essere presa a parametro di riferimento del tenore di vita in materia di separazione giudiziale.

Il caso

La vicenda separativa in esame è caratterizzata dall'alta conflittualità di due coniugi, genitori di un figlio maggiorenne e non economicamente autosufficiente, che ha manifestato la chiara volontà di continuare a vivere con la madre.

Tali incontestati elementi fattuali hanno indotto il Giudice milanese ad assegnare la casa coniugale, con gli arredi ed il box di pertinenza, alla moglie ed a respingere la domanda del marito volta ad una assegnazione parziale della casa stessa.

Ma la vicenda cardine dell'ordinanza in esame è rappresentata dalla quantificazione delle somme a titolo di contributo al mantenimento del figlio e della moglie, stante la significativa differenza delle richieste delle parti e delle ragioni sottese alle rispettive istanze.

La moglie, infatti, avanzava richiesta della somma di € 2.500,00 mensili a favore del figlio, oltre al 100% delle spese straordinarie a carico del marito, e la somma di € 4.000,00 a titolo di mantenimento personale, laddove la disponibilità manifestata dal marito era di € 800,00 a favore del figlio ed un assegno per la moglie di € 1.000,00.

Il Giudice, dunque, ha affrontato l'esame della situazione reddituale di entrambi i coniugi per addivenire ad una decisione in ordine alla quantificazione delle somme a titolo di mantenimento dei figli e della moglie.

La questione

Il punto centrale risiede nella interpretazione e applicazione degli art. 337-ter e 156 c.c..

In particolare, come noto, il primo degli articoli citati stabilisce i parametri per la determinazione della contribuzione al mantenimento dei figli, tra i quali viene compresa la capacità reddituale e patrimoniale dei genitori; il secondo, ovvero l'art. 156 c.c., detta i criteri cui il Giudice deve attenersi per valutare se e quanto al coniuge, cui ovviamente non sia addebitabile la separazione, spetti per il suo mantenimento qualora egli non abbia adeguati redditi propri.

L'entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato, tenendo presente che l'ammontare dovrà essere idoneo a tutelare e coprire tutte le complessive esigenze di mantenimento, comprense quelle abitative.

In questa operazione valutativa, finalizzata a determinare una somma equa, perequativa ed idonea, il Giudice non può prescindere dalla considerazione del tenore di vita, complessivamente inteso, goduto da moglie e figli in costanza di matrimonio.

Il compito del Giudice è dunque quello di ricostruire la situazione reddituale e patrimoniale delle parti sulla base degli elementi probatori offerti dalle parti nelle allegazioni, salvo una successiva ed eventuale fase istruttoria, se ritenuta necessaria, durante la quale verranno effettuati ulteriori approfondimenti nel caso in cui una parte abbia allegato sufficienti elementi indiziari circa maggiori entrate, rispetto a quelle risultanti dalle dichiarazioni fiscali, nel patrimonio dell'altro coniuge da parte del quale pretende i pagamenti a titolo di mantenimento del minore ed a titolo di assegno separativo personale.

Nel caso in esame, infatti, la ricorrente sosteneva che il marito, nello svolgimento della sua attività professionale, avesse un reddito superiore a quello dichiarato in virtù di entrate non fatturate. All'uopo, la moglie aveva prodotto in giudizio estratti conto personali del marito e del suo studio professionale nonché una relazione investigativa privata.

Le soluzioni giuridiche

Preliminarmente, è necessario esaminare la valutazione del Giudice in ordine alle allegazioni probatorie delle parti.

L'organo giudicante, infatti, se da una parte non ha ritenuto sufficientemente indicativa di entrate ultronee da parte del marito la produzione documentale della moglie, in quanto le tali somme sono state ritenute compatibili con il fatturato prodotto in causa dalla difesa del marito, dall'altra ha ribadito che la relazione investigativa, avendo un valore puramente indiziario, avrebbe in ogni caso dovuto trovare riscontro probatorio in sede istruttoria attraverso la testimonianza orale dell'investigatore stesso.

Ma il punto centrale della pronuncia del Tribunale milanese in esame, consiste nella valutazione e nella considerazione ai fini decisori della eventuale disponibilità di entrate illecite, ovvero sottratte dall'imposizione fiscale, frutto del lavoro del coniuge e di cui il nucleo familiare, in costanza di unione, sia stato di fatto beneficiario.

Indipendentemente, dunque, dal futuro accertamento in sede istruttoria del percepimento da parte del marito di somme sottratte al fisco (ovvero “in nero), con le dovute conseguenze sul piano fiscale e penale, il Giudice della separazione ritiene di non potere considerare né tenere conto, ai fini della valutazione del tenore di vita svolto dal nucleo familiare, della disponibilità della famiglia di entrate illecite quale parametro utile nella quantificazione degli assegni a favore dei figli e della moglie.

Tuttavia, non sfugge alla valutazione del Giudice in questa preliminare fase processuale che la famiglia, in costanza di matrimonio abbia contato e vissuto unicamente grazie i redditi del marito, avendo le parti pacificamente condiviso la decisione che la moglie avrebbe, dopo il matrimonio, smesso di lavorare.

Non sfugge all'esame del Giudice nemmeno la circostanza che la dichiarazione dei redditi prodotta dalla difesa del marito, libero professionista, desta qualche perplessità che andrà comunque valutata nel prosieguo del giudizio atto a verificare la eventuale imputazione di costi e di importi attribuibili a condotta fiscalmente non regolare.

Ciò detto, non vi è dubbio, a parere del Tribunale, che il tenore di vita goduto dalla famiglia in costanza di matrimonio sia stato di “buon livello” anche solo considerando il valore di pregio dell'immobile, ivi comprese le conseguenti spese di manutenzione ordinaria e straordinaria, in cui il nucleo familiare ha sempre vissuto, la presenza di una colf fissa, la qualità delle attività sportive, ludiche e ricreative riservate al figlio, particolarmente costose, e delle allegazioni delle parti. Il Giudice ha ritenuto di stabilire, in sede di provvedimenti provvisori, che la casa familiare, in comproprietà tra i coniugi, fosse assegnata alla moglie in quanto convivente con il figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, oltre all'obbligo in capo al marito di contribuire al mantenimento del figlio mediante il versamento della somma mensile di € 1.200,00 oltre al 100% delle spese straordinarie riguardante il figlio stesso, nonché al versamento della somma mensile di € 1.300,00 a favore della moglie a titolo di mantenimento personale.

In buona sostanza, il principio cui il Giudice conforma la propria decisione è quello di non tenere conto dei redditi per i quali sia accertata o fondatamente sospetta la provenienza illecita, ancorchè il nucleo familiare ne abbia beneficiato.

Infatti, le fonti illecite di reddito non possono costituire un parametro di riferimento nella quantificazione dei contributi da versare a favore di moglie e figli perché in tal modo sussisterebbe una sorta di avallo e di incentivazione da parte del Tribunale alla commissione di detti comportamenti illeciti.

Osservazioni

L'ordinanza in esame si inserisce in un filone interpretativo applicato dallo stesso Tribunale di Milano in precedenti pronunce.

A ben vedere, tali provvedimenti insistono sull'elemento della provenienza illecita di denaro che, per quanto contribuisca a permettere alla famiglia di godere di un tenore di vita maggiormente elevato, non è giusto che venga considerato tra le circostanze da valutarsi nella determinazione degli assegni in sede di separazione proprio in virtù della loro stessa illiceità che, se invece considerata, rischierebbe di apparire consentita e addirittura incentivata dalla legge. Già nell'ordinanza del Tribunale di Milano dell'8 ottobre 2013, si leggeva che per determinare, in via provvisoria ed urgente in sede di ordinanza presidenziale, l'ammontare dell'assegno di mantenimento per moglie e figli i redditi da tenere in considerazione sono quelli di sicura provenienza lecita, nessun valore potendo essere dato ad una provenienza illecita o dubbia delle provviste che hanno reso possibile un alto tenore di vita.

Tuttavia, è altrettanto opportuno ricordare che in sede di separazione dei coniugi, l'assegno di mantenimento a carico dell'obbligato può essere quantificato dal giudice in base al reale tenore di vita, senza tenere conto dei redditi effettivamente dichiarati.

Nell'ordinanza del 16 settembre 2015 n. 18196, infatti, la Corte di Cassazione ha confermato che, laddove vi sia una mancata corrispondenza tra i redditi formalmente dichiarati e l'effettivo altro tenore di vita, le dichiarazioni dei redditi non hanno valore vincolante per il giudice che deve fondare, a norma e per gli effetti dell'art 116 c.p.c., il proprio convincimento su altre risultanze probatorie.

Ciò in quanto le dichiarazioni dei redditi svolgono una funzione tipicamente fiscale: pertanto, in una controversia riguardante i diritti delle persone, quale quella separativa, il Giudice può ben orientarsi, con il suo potere discrezionale, a valutare anche altri elementi per quantificare i contributi spettanti ai componenti del nucleo familiare (come, ad esempio, il rilevante potere d'acquisto dimostrato da parte di uno dei coniugi).

Già in passato la Suprema Corte aveva avuto occasione di affermare che non si richiede necessariamente da parte del Giudice una valutazione aritmetica dei redditi, bensì una analisi volta ad accertarne l'ammontare complessivo approssimativo attraverso una attendibile ricostruzione delle situazioni patrimoniali di entrambe i coniugi (v. per tutte Cass. civ. n. 9878/2006; Cass. civ. n. 3974/2002).

Se, dunque, in sede di assunzione di provvedimenti provvisori urgenti presidenziali, il Giudice si dovrà attenere alle risultanze probatorie, per lo più, prima facie, costituite dalle dichiarazioni dei redditi, in sede istruttoria il Giudice potrà disporre indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita dei coniugi/genitori valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria.

Con la riforma del diritto di famiglia introdotta dalla l. 10 novembre 2014 n. 162, i poteri di accertamento del giudice nei conflitti familiari sono stati ampliati prevedendo la possibilità di accesso alle banche dati, estendendo le disposizioni speciali in materia di ricerca dei beni con modalità telematiche ai procedimenti in materia di famiglia e prevedendo che le informazioni comunicate all'Agenzia Tributaria siano utilizzabili dall'Autorità giudiziaria nei procedimenti separativi e divorzili.

È infine fondamentale ricordare che le indagini di polizia tributaria non possono sostituirsi all'attività di parte esonerandola, di fatto, dall'onere di provare i fatti e le circostanze sulle quali si fonda la domanda.

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