La valutazione dello stato di abbandono del minore tra esigenze di completezza e speditezza

25 Gennaio 2016

In un giudizio conclusosi in grado di appello con la dichiarazione dello stato di adottabilità di due minori, costituisce omessa valutazione di fatti decisivi inerenti al recupero di stabilità dei ricorrenti la mancanza di un'indagine con carattere di attualità della loro idoneità genitoriale, della loro condizione psicologica, della loro effettiva stabilizzazione.
Massima

In un giudizio conclusosi in grado di appello con la dichiarazione dello stato di adottabilità di due minori, costituisce omessa valutazione di fatti decisivi inerenti al recupero di stabilità dei ricorrenti la mancanza di un'indagine con carattere di attualità della loro idoneità genitoriale, della loro condizione psicologica, della loro effettiva stabilizzazione, al fine di verificare se i cambiamenti e i miglioramenti intrapresi siano da ritenere frutto di un effettivo cambiamento, o se invece siano insufficienti a garantire ai minori un corretto sviluppo psicofisico e di proseguire nel cammino positivamente intrapreso presso la struttura ove sono collocati. Ne consegue che la mancanza di attualità delle indagini e degli approfondimenti relativi allo stato di abbandono dei minori, è causa di annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

Il caso

A seguito delle constatate condizioni di forte degrado ambientale nelle quali viveva il nucleo familiare oggetto di attenzione nella vicenda in esame, viene aperto un procedimento di adottabilità a carico dei due fratelli più piccoli, C. e F., in aggiunta a un precedente analogo procedimento pendente nei confronti dei due fratelli maggiori. I minori venivano collocati in una struttura protetta, in quanto vivevano in un ambiente fatiscente, e, in particolare, i bambini più piccoli erano del tutto trascurati e presentavano segni di ritardo e di incuria grave. Inoltre, il padre versava in grave stato di agitazione e spingeva la figlia maggiore a occuparsi dei due fratelli più piccoli. Le indagini effettuate dai servizi sociali convergevano verso un quadro allarmante: C. andava all'asilo, aveva l'insegnante di sostegno per i problemi di ritardo che presentava ed era in condizioni igienico - sanitarie del tutto inadeguate; F. non frequentava più l'asilo a seguito dei continui richiami per infezioni ai genitali e pediculosi. A seguito del trasferimento dei minori in casa famiglia, venivano riscontrati miglioramenti significativi. Le osservazioni relative agli incontri protetti con i genitori evidenziavano l'esistenza di una relazione affettiva e di una situazione serena, favorita tuttavia dalla presenza degli educatori. Sebbene i genitori fossero puntuali a tutti gli appuntamenti e si fossero attenuti alle regole, tre dei quattro minori manifestavano bisogni educativi speciali. Gli stessi genitori presentavano, inoltre, numerose lacune attinenti anche alla capacità di cogliere le reali necessità dei figli e la complessità della loro situazione. Dall'istruttoria svolta emergeva che, mentre per i minori più grandi non era adeguata la soluzione adozionale, alla luce degli importanti legami affettivi con la famiglia allargata, per i più piccoli la risposta più idonea veniva individuata nell'adozione legittimante, soprattutto perché gli stessi minori cominciavano a essere consapevoli dell'inadeguatezza dei genitori in ordine alle loro principali esigenze di vita. Inoltre, da ulteriori indagini condotte dai servizi sociali risultava che il padre era affetto da gravi disturbi di personalità con umiliazione parlanoidea e tratti di personalità di tipo narcisistico e antisociale, mentre la madre presentava tratti di fragilità psicologica e di personalità passiva e incapace di gestione autonoma.

Avverso la pronuncia di appello che confermava la dichiarazione di adottabilità, veniva proposto dai genitori ricorso per cassazione, sulla scorta della doglianza per cui la corte si era basata esclusivamente su osservazioni, informazioni e relazioni provenienti dai servizi sociali o dalla responsabile della casa famiglia, poste a base della decisione di primo grado e non verificate nel successivo grado di giudizio.

La Cassazione accoglieva tali doglianze, rilevando che non risultavano essere stati richiesti né svolti accertamenti successivi all'incontestata stabilizzazione della condizione abitativa dei ricorrenti, nonché di quella lavorativa, pur segnalata nel giudizio di primo grado. Proprio la precarietà abitativa e la condizione di promiscuità di vita, era stata infatti alla base dell'istituzionalizzazione dei minori. Risultava, invero, che non solo la situazione complessiva dei minori era migliorata, ma che lo stesso nucleo familiare aveva ottenuto un alloggio popolare. Era dunque mancata una valutazione della situazione successiva a detta stabilizzazione, con riferimento alla sua incidenza sul recupero di un'adeguata capacità genitoriale.

La questione

La questione in esame è la seguente: con riferimento all'accertamento della situazione di abbandono del minore, a seguito della pronuncia di adottabilità, devono essere svolti in grado di appello indagini e approfondimenti relativi a fatti successivi, ai fini di una valutazione della capacità genitoriale dei ricorrenti con carattere di attualità?

Le soluzioni giuridiche

Il concetto di abbandono del minore, presupposto della dichiarazione di adottabilità, è un'acquisizione tutt'altro che recente nell'elaborazione giuridica e nelle formulazioni legislative del nostro Paese. Di minori abbandonati, infatti, parla già la l. 17 luglio 1890, n. 6972 sull'assistenza ai poveri, oltre che varie altre leggi più particolarmente volte all'assistenza ai minori moralmente o materialmente abbandonati. Tuttavia, l'interesse delle istituzioni ai minori in condizioni di abbandono non era – inizialmente – finalizzato alla (ri)costruzione di un valido legame familiare alternativo a quello, inesistente o gravemente carente, del nucleo di origine, ma all'attuazione di tutta una congerie di interventi, aventi natura esclusivamente o prevalentemente amministrativa.

Il concetto di abbandono materiale può desumersi dall'art. 403 c.c., che faculta l'autorità pubblica (autorità amministrativa) ad allontanare il minore dal suo contesto di appartenenza, in particolari casi di degrado, che la norma specificamente integra. Ove tali condizioni permangano inalterate nel tempo, sarà evidente la sussistenza di una condizione di abbandono. In questi casi, la condizione di abbandono e – dunque – di adottabilità sarà riconoscibile in re ipsa.

Si tratta, tuttavia, di situazioni – limite, numericamente piuttosto scarse, che fanno dei figli veri e propri orfani di genitori viventi. Oggi nessuno ritiene che i presupposti dell'abbandono siano legati in maniera rigida a così gravi circostanze, essendosi in via generale affermato un ampliamento del diritti del minore (si pensi al più volte indicato diritto all'affettività) che, di conseguenza, dilata i confini dell'abbandono, comprendendo in esso una serie di condotte omissive, direttamente incidenti sull'equilibrato e sereno sviluppo psico-fisico del fanciullo.

L'art. 8 della l. 4 maggio 1983 contiene una nozione elastica dello stato di abbandono, quale assenza non transitoria di assistenza morale e materiale, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, sicché la giurisprudenza ha elaborato una casistica nascente dall'esame dei casi concreti, facendo riferimento all'art. 30 Cost. e all'art. 147 c.c. relativo ai doveri dei genitori di educare, istruire e mantenere i figli (cfr. Cass. civ. 23 maggio 1997, n. 416, Vita not., 1997, 416).

Il bambino è dunque in stato di abbandono quando vi sia una obiettiva e non transitoria carenza di quel minimo di cure materiali, calore affettivo ed aiuto psicologico necessario a consentirgli un normale sviluppo psico – fisico. L'assistenza morale e materiale è infatti un insieme di prestazioni che siano dovute dai genitori e che si sostanziano in quelle cure ed attenzioni affettive, in quell'aiuto allo sviluppo della personalità ed al regolare processo di socializzazione, in quelle relazioni interpersonali profonde e ricche di spiritualità, di cui il minore ha bisogno per un'ottimale maturazione sul piano fisico e psichico.

L'elaborazione dottrinale, concorde (come del resto la giurisprudenza) nell'affermare l'irrilevanza di qualsivoglia profilo di “colpevolezza” in capo ai genitori rispetto allo stato di abbandono del figlio (e, di conseguenza, la natura non sanzionatoria del provvedimento dichiarativo dello stato di adottabilità) ha tentato di attribuire più nitide fattezze al concetto di abbandono prendendo le mosse, a contrariis, dall'individuazione dei doveri parentali codificati (allevare, mantenere ed educare la prole), successivamente affermando il diritto ad un livello minimo diprestazioni genitoriali”, al di sotto del quale non vi sarebbe una mera inadeguatezza al ruolo parentale, ma un autentico abbandono.

Si tratta, comunque, di un criterio non appagante, poiché sembra richiamare una nozione di diritti del minore di tipo “quantitativo”, di difficile, se non impossibile stima.

Le ultime elaborazioni, che hanno trovato ampio riscontro in giurisprudenza, valorizzano quella che potremmo definire una valutazione degli effetti, ritenendo sussistente la condizione di abbandono allorché il contegno dei genitori, lungi dal risolversi in una mera insufficienza dell'apporto indispensabile per lo sviluppo e la formazione della personalità del minore, comprometta o determini grave pericolo di compromissione per la salute e le possibilità di armonico sviluppo fisico e psichico del minore stesso. Di fronte ad un siffatto nocumento o al rischio di esso, successivi atteggiamenti o progetti genitoriali per un miglioramento della situazione in tanto rilevano in quanto, oltre che seri, siano oggettivamente idonei al recupero della situazione medesima (cfr. Cass. civ., sez. I, 28 ottobre 2005, n. 21100).

Nell'ottica di una valutazione del pregiudizio subito dal minore, la Cassazione stabilisce che lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità, presuppone l'individuazione, all'esito di un rigoroso accertamento, di carenze materiali ed affettive di tale rilevanza da integrare di per sé una situazione di pregiudizio per il minore, tenuto anche conto dell'esigenza primaria che questi cresca nella famiglia di origine, esigenza che non può essere sacrificata per la semplice inadeguatezza dell'assistenza o degli atteggiamenti psicologici e/o educativi dei genitori.

A volte si è ritenuta sufficiente ai fini della dichiarazione di abbandono del bambino anche la sola carenza di assistenza materiale, laddove non vengano soddisfatte le più elementari necessità di vita di quest'ultimo, tenuto conto del disposto dell'art. 1 cpv l. n. 184/1983 per cui le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la responsabilità genitoriale non possono essere d'ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. In tal caso, la giurisprudenza di legittimità, ai fini della dichiarazione dello stato di abbandono, richiede una verifica alquanto rigorosa, da cui risulti che dall'inidoneità dei genitori possano derivare danni gravi ed irreversibili all'equilibrata crescita dell'interessato (cfr., per un caso analogo a quello in esame, Cass. civ., sez. I, 28 giugno 2006 n. 15011, in Dir. e Giust., 2006, fasc. 30, 21, in cui la Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato lo stato di abbandono in un caso nel quale era stato accertato, all'esito di una rigorosa analisi istruttoria, che i genitori, vivevano in una situazione di assoluto degrado e si erano dimostrati assolutamente carenti sul piano psicologico e pedagogico, e quindi incapaci, pur con il sostegno dei servizi, di offrire quel minimo di cure e di attenzioni indispensabile per non compromettere in modo grave e permanente lo sviluppo psicofisico del minore).

La giurisprudenza ammonisce comunque che la dichiarazione di adottabilità costituisce l'extrema ratio, anche in relazione all'art. 8 CEDU che garantisce il rispetto della vita familiare (cfr. Cass. civ., sez. I, 18 dicembre 2015, n. 25527, in Dir. & Giust. 2015, 21 dicembre, con nota di: A. Di Lallo, in un caso in cui la sentenza cassata non aveva dato rilievo alla sopravvenienza risultante da una CTU, rispetto ad un provvedimento originario, di un atteggiamento delle figure genitoriali che dimostri la seria disponibilità a prestare quella assistenza morale e materiale richiesta dalla legge per scongiurare una pronuncia di adottabilità. (In senso analogo, cfr. M. Sesta (a cura di) Codice della famiglia, II, Milano, Giuffrè, 2009, 2785).

Osservazioni

La sentenza in esame merita apprezzamento, perché coglie le criticità del caso concreto e cassa la sentenza di appello, ritenendo inadeguati sotto il profilo dell'attualità, gli accertamenti compiuti sulla capacità genitoriale, alla luce dei positivi segnali, costituiti dalla stabilizzazione abitativa del nucleo familiare, nonché dalla continuità del rapporto affettivo con i minori e dal corretto rapportarsi dei medesimi con gli operatori sociali.

Invero, l'inadeguatezza dell'accertamento compiuto non è soltanto imputabile a un fattore temporale, dato dalla mancanza di ulteriori indagini in grado di appello, ma già emerge dalle valutazioni a fondamento della dichiarazione di adottabilità cui si è pervenuti in primo grado. Sarebbe stato, infatti, auspicabile che lo stesso tribunale per i minorenni, anche mediante il prolungamento del monitoraggio, valutasse appieno - in analogia con quanto effettuato rispetto ai fratelli maggiori - la positiva relazione tra genitori e figli, e la possibilità di salvaguardare tale rapporto attraverso un sostegno della coppia genitoriale, pur affetta dalle problematiche di tipo psicologico e cognitivo di cui davano atto le relazioni.

E' noto che la prassi giurisprudenziale ha cercato di ovviare alle rigidità del modello dell'adozione legittimante, attraverso l'utilizzo di modelli come l'“adozione aperta”, che consente di salvaguardare i rapporti di fatto tra l'adottato e la famiglia di origine e l'adozione in casi particolari, con riferimento all'art. 44 lett. d) l. n. 184/1983 , in quelle situazioni di semiabbandono legate alla mancanza della capacità educativa dei genitori di origine, pur nella persistenza di un legame affettivo con la famiglia di origine che non consentiva l'interruzione totale dei rapporti.

Tali possibili soluzioni non sono state adeguatamente valutate dai giudici di merito nel caso di specie. Una tale valutazione viene imposta dalla giurisprudenza di Strasburgo, che ha condannato il nostro Paese, per l'assenza di un'adeguata valutazione della continuità affettiva nella relazione parentale (cfr. sentenze della Corte EDU 21 gennaio 2014, relativa al caso Zhou c/ Italia e del 27 aprile 2010 relativa al caso Moretti e Benedetti c/Italia).

Il principio enunciato dalla Corte non va tuttavia estremizzato, al punto di introdurre un automatismo rispetto all'espletamento di ulteriori accertamenti in grado di appello, così da renderlo un doppione del giudizio di primo grado, in contrasto con le esigenze di speditezza che pure animano i procedimenti a tutela dei minori. Occorre invero compiere la valutazione di opportunità dei suddetti accertamenti, alla luce dell'art. 17 l. n. 184/1983.

Guida all'approfondimento

- M. Sesta (a cura di) Codice della famiglia, II, Milano, Giuffrè, 2009, 2763.

- G. Collura, L. Lenti e M. Mantovani, Trattato di diritto di famiglia, vol. 2, Milano, Giuffrè 2012, 767.

- A.C. Moro, Manuale di diritto minorile, Bologna, 2014.

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