Le donazioni di cosa altrui e della “quotina”: l'intervento delle Sezioni Unite

26 Agosto 2016

La donazione di un bene altrui, benché́ non espressamente vietata, deve ritenersi nulla per difetto di causa, a meno che nell'atto si affermi espressamente che il donante sia consapevole dell'attuale non appartenenza del bene al suo patrimonio.
Massima

La donazione di un bene altrui, benché non espressamente vietata, deve ritenersi nulla per difetto di causa, a meno che nell'atto si affermi espressamente che il donante sia consapevole dell'attuale non appartenenza del bene al suo patrimonio. Ne consegue che la donazione, da parte del coerede, della quota di un bene indiviso compreso in una massa ereditaria è nulla, non potendosi, prima della divisione, ritenere che il singolo bene faccia parte del patrimonio del coerede donante.

Il caso

La fattispecie in concreto ha ad oggetto la donazione della quota indivisa di un bene facente parte di una massa ereditaria più ampia. La sentenza del Tribunale, confermata poi in secondo grado dalla Corte d'Appello, dichiara la nullità di tale donazione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 769 e 771 c.c., in quanto il donante avrebbe disposto di beni non facenti ancora parte del suo patrimonio al momento della stipula. La Cassazione viene pertanto chiamata ad esprimersi in merito all'applicabilità del divieto di donazione di beni futuri, di cui all'art. 771 c.c., alla donazione di beni altrui.

Ritenendo la questione di massima e particolare importanza, la Suprema Corte, sezione seconda, con ordinanza n. 11545/2014, rimette la decisione alla Cassazione nella sua composizione a Sezioni Unite.

La questione

L'intervento della Cassazione è richiesto sui seguenti punti:

  • la donazione dispositiva di un bene altrui deve ritenersi nulla alla luce della disciplina complessiva della donazione e, in particolare, dell'art. 771 c.c., poiché il divieto di donazione dei beni futuri ricomprende tutti gli atti perfezionati prima che il loro oggetto entri a comporre il patrimonio del donante e quindi anche quelli aventi ad oggetto i beni altrui, oppure è da ritenersi valida ancorché inefficace?
  • detta disciplina trova applicazione nel caso di donazione di quota di proprietà pro indiviso?
Le soluzioni giuridiche

La Corte affronta il tema della validità della donazione di cosa altrui, richiamando i precedenti orientamenti giurisprudenziali contrastanti.

Una prima tesi sostiene che la donazione di cosa altrui debba ritenersi nulla, per interpretazione analogica del divieto di cui all'art. 771 c.c. Secondo tale orientamento, infatti, manca un presupposto essenziale affinché si possa configurare la donazione, ossia l'arricchimento immediato del patrimonio del donatario e pertanto l'appartenenza dei beni nel patrimonio del donante al momento dell'atto di liberalità (si riportano le sentenze richiamate nella pronuncia delle S.U. in commento: Cass., 12 giugno 1979, n. 3315; Cass., 20 dicembre 1985, n. 6544; Cass., 18 dicembre 1996, n. 11311; Cass., 5 maggio 2009, n. 10356 in cui la donazione di cosa altrui è nulla ma è titolo idoneo all'usucapione abbreviata; Cass., 23 maggio 2013, n. 12782).

Una seconda tesi ritiene, invece, che la donazione di cosa altrui costituisca una fattispecie sostanziale diversa rispetto alla donazione di beni futuri ex art. 771 c.c.. Quest'ultima è infatti nulla mentre la prima è soltanto inefficace (Cass., 5 febbraio 2001, n. 1596). A sostegno di questo orientamento, si argomenta che, ove il legislatore abbia ritenuto di intervenire, come nel caso di vendita, lo stesso ha disciplinato separatamente gli effetti degli atti di alienazione a seconda che abbiano ad oggetto beni futuri ex art. 1472 c.c. o beni altrui ex art. 1478 ss. c.c.. Inoltre, il divieto di donazione di beni futuri - come si evince dal tenore letterale dell'art. 771 c.c. - ricomprende esclusivamente i beni non ancora esistenti in rerum natura (c.d. futurità oggettiva), escludendo da tale ambito i beni di cui il donante non è titolare al momento della liberalità (c.d. futurità soggettiva). Infine, il divieto di donazione di cosa futura è una regola di natura eccezionale che non consente di applicare analogicamente i “particolari divieti della legge” previsti dall'art. 1348 c.c. per i beni futuri.

Dopo aver illustrato il contrasto giurisprudenziale, la Corte precisa che la questione da dirimere non riguarda il fatto che la donazione di cosa altrui sia o meno titolo idoneo ai fini dell'usucapione abbreviata. Infatti, quest'ultima si integra sia che il titolo si ritenga nullo sia che si ritenga inefficace. Secondo la Corte resta, pertanto, da chiarire se la donazione di cosa altrui debba essere ricondotta all'area dell'invalidità o dell'inefficacia.

La tesi sostenuta dalle Sezione Unite per risolvere il problema è innovativa e offre una terza via rispetto a quelle precedentemente esposte. Essa ritiene infatti che la donazione di beni altrui, o anche solo parzialmente altrui, sia nulla non per applicazione analogica del divieto previsto dall'art. 771 c.c., ma per mancanza di causa del negozio. Invero, l'art. 769 c.c. induce a considerare essenziale l'appartenenza del bene al patrimonio del donante. Pertanto, in mancanza di tale elemento la causa tipica del contratto di donazione non può realizzarsi.

Si deve, quindi, ritenere inammissibile la donazione di cosa altrui come donazione dispositiva, ossia con effetti reali immediati. Ciò in quanto non può esservi il trasferimento del bene al momento della conclusione del contratto, dal patrimonio del donante a quello del donatario.

Tuttavia, la Corte precisa che può ritenersi configurabile una donazione mediante l'assunzione di una obbligazione ex art. 769 c.c., la quale abbia ad oggetto il trasferimento al donatario di una cosa che appartiene ad un terzo, se tale altruità è conosciuta dalle parti. Dunque, affinché sia valida la donazione di cosa altrui essa deve essere stipulata come donazione “obbligatoria”, in cui si dichiari di essere consapevoli dell'altruità della cosa. Il donante si impegna perciò a procurare l'acquisto del suddetto bene dal terzo al donatario.

Alle stesse conclusioni si giunge nel caso in cui il bene sia solo in parte altrui. E' il caso della quotina, ossia la quota su un singolo bene del patrimonio comune di fonte successoria. In tale ipotesi, aderendo alla tesi più rigorosa, la Corte ritiene che il coerede si debba considerare titolare soltanto della quota ereditaria nel suo complesso e non di una quota su ciascun bene ereditario. Conseguentemente, il donante non può disporre di una quota su di un singolo bene, facente parte di un patrimonio ereditario, prima che lo stesso venga diviso. Tale assunto si fonda sull'art. 757 c.c. per il quale l'erede è reputato solo e immediato successore in tutti i beni componenti la sua quota e si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari.

In sostanza, è necessario attendere l'esito divisionale per comprendere se il bene venga effettivamente assegnato al disponente. Diversamente, la cosa donata potrebbe non entrare mai a far parte del patrimonio del donante. Posto dunque che non vi è differenza fra “beni altrui” e “beni eventualmente altrui”, poiché in ogni caso il donante al momento della liberalità sta disponendo di un bene non presente nel suo patrimonio, la donazione della quotina deve ritenersi nulla al pari della donazione di cosa altrui, in quanto priva di causa.

Osservazioni

L'intervento delle Sezioni Unite era atteso dagli interpreti, in quanto la donazione della quotina è una fattispecie facilmente riscontrabile nella prassi. Inoltre, la medesima non ha mai ricevuto un inquadramento univoco a livello giurisprudenziale.

Partendo dal tema della donazione di cosa altrui, la pronuncia in commento offre utili spunti operativi ed evidenzia che in concreto vi sono due figure di donazione: l'una dispositiva, l'altra obbligatoria. La prima non è compatibile con la donazione di cosa altrui e deve ritenersi nulla per mancanza di causa. Per converso, la donazione obbligatoria, con dichiarazione in atto dell'altruità della cosa, si deve ritenere valida. Dunque, la donazione di bene altrui può essere compiuta solo come donazione obbligatoria e non come donazione dispositiva avente effetti traslativi. Tale soluzione operativa, ai fini della validità dell'atto, non viene ribadita espressamente per la donazione della quotina. Tuttavia, anche quest'ultima, per un principio di simmetria con la donazione di beni altrui, non potrà avere effetti traslativi e potrà essere effettuata solo come donazione obbligatoria.

Inoltre, la sentenza in questione, trattando soltanto dei beni facenti parte di una comunione ereditaria, lascia il dubbio relativamente al fatto che le conclusioni raggiunte debbano estendersi alla comunione ordinaria o, più precisamente, all'ipotesi in cui la donazione abbia ad oggetto la quota di un bene incluso in una massa comune di natura non ereditaria. A sostegno della tesi affermativa, si potrebbe richiamare l'art. 1116 c.c., in materia di comunione ordinaria, il quale dispone che alla divisione delle cose comuni si applicano le norme sulla divisione dell'eredità, in quanto non siano in contrasto con quelle stabilite per la comunione in generale. Inoltre, lo stesso art. 757 c.c. su cui è incentrata la decisione in commento è richiamato espressamente dalla giurisprudenza relativamente all'effetto retroattivo dichiarativo della divisione, il quale si estende in virtù dell'art. 1116 c.c. ai comproprietari non coeredi (Cass. civ., 29 marzo 2006 n. 7231).

Considerata la complessità della donazione di cosa altrui restano comunque dubbi in relazione all'applicabilità o meno della disciplina sulla vendita di cosa altrui. A tal fine, sarebbe interessante chiarire un'eventuale operatività dell'art. 1478, comma 2, c.c. che consentirebbe il trasferimento automatico del bene in capo al donatario nel momento in cui il donante lo acquista dal terzo. Inoltre, resterebbe da chiarire con quali modalità la donazione di cosa altrui possa beneficiare della trascrizione.

Altra questione irrisolta riguarda la validità della donazione della quotina sotto condizione dell'assegnazione del bene a seguito di divisione (donazione del c.d. esito divisionale). Tale meccanismo utilizzato nella prassi - con il vantaggio per il donante di non essere obbligato all'acquisto nel caso in cui il bene non gli venga assegnato - era ritenuto sino ad ora ammissibile dalla dottrina. In attesa di un eventuale ulteriore intervento risolutivo sul punto, aderendo alla soluzione prospettata espressamente dalle Sezioni Unite, pare ritenersi maggiormente prudenziale adottare lo strumento alternativo della donazione obbligatoria.

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