Prestazioni lavorative tra conviventi e azione di ingiustificato arricchimento

26 Aprile 2016

Nelle unioni di fatto le attribuzioni patrimoniali e le prestazioni lavorative in favore del convivente more uxorio configurano l'adempimento di un'obbligazione naturale solo a condizione che siano rispettati i principi di proporzionalità e di adeguatezza.
Massima

Nelle unioni di fatto le attribuzioni patrimoniali e le prestazioni lavorative in favore del convivente more uxorio, effettuate nel corso del rapporto, configurano l'adempimento di un'obbligazione naturale ex art. 2034 c.c. solo a condizione che siano rispettati i principi di proporzionalità e di adeguatezza. Nel caso in cui le prestazioni, al contrario, esulino dai doveri di carattere morale e civile di mutua assistenza e collaborazione, fanno sorgere il diritto alla corresponsione di un indennizzo, sub specie di arricchimento senza causa (nel caso di specie un contributo lavorativo continuativo nell'azienda del convivente con arricchimento esclusivo di quest'ultimo).

Il caso

La sig.ra L.M. ha lavorato per anni ed in modo continuativo nell'azienda del convivente, al quale peraltro consegnava anche il denaro guadagnato lavorando durante i fine settimana in un ristorante. Grazie anche al contributo fornito dalla convivente, in termini di prestazioni lavorative nell'azienda e di dazione di somme di denaro, il sig. N.S. ha acquistato alcuni beni immobili, in comproprietà con il fratello.

Cessata la convivenza, la sig.ra L.M. ed i figli A.D.F. e G.D.F. hanno citato in giudizio dinanzi al Tribunale di Benevento N.S., ex convivente della sig.ra L.M., ed il di lui fratello D.S., affinché fosse accertata, in capo agli attori, la contitolarità del diritto di proprietà sull'azienda dei convenuti e sugli immobili acquistati da questo ultimi, durante il periodo in cui L.M. aveva convissuto more uxorio con N.S., con conseguente condanna dei convenuti al pagamento del controvalore di detti beni.

Il Tribunale di Benevento, con sentenza n. 745/2007, ha condannato il solo N.S. (e non anche il fratello convenuto) al pagamento in favore degli attori della somma di euro 80.000,00, oltre alla refusione delle spese di lite.

Avverso tale sentenza, hanno proposto appello N.S. e D.S.. La Corte di Appello di Napoli con sentenza n. 2765/2011, depositata il 31 agosto 2011, ha confermato la pronuncia di primo grado, ad accezione della parte in cui ha ordinato la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale in relazione ai beni del solo D.S.

N.S. e D.S. hanno proposto ricorso in Cassazione affidandosi a dieci motivi. Quelli che interessano in questa sede sono il 4 ed il 9, trattati congiuntamente dagli Ermellini. I ricorrenti lamentano che la Corte Territoriale avrebbe errato nel ritenere che il lavoro domestico prestato dalla L.M. nel corso della convivenza more uxorio con N.S. dovesse trovare un riconoscimento sul piano patrimoniale. A parere di quest'ultimi, si sarebbe trattato di prestazioni rese in adempimento di un mero dovere morale, dal quale ai sensi dell'art. 2034 c.c. non potrebbe derivare alcun effetto giuridico sul piano obbligatorio se non quello della cd. soluti retentio che comporta l'impossibilità di ottenere la restituzione di quanto sia stato corrisposto spontaneamente in adempimento di tale dovere.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e ha ritenuto legittima la condanna al pagamento di un indennizzo di euro 80.000,00 in favore degli attori, condannando i ricorrenti alle spese di lite.

La questione

Premesso che anche nelle convivenze more uxorio, come nelle famiglie fondate sul vicolo matrimoniale, vige il principio generale - ma non assoluto - secondo cui l'attività lavorativa svolta al suo interno trova la propria causa nel reciproco vincolo di fatto di solidarietà e di affettività, è fondata la richiesta di un indennizzo ai sensi dell'art. 2041 c.c. da parte di un ex convivente che per anni ha svolto prestazioni lavorative nell'azienda dell'altro?

Le soluzioni giuridiche

Nel nostro ordinamento per anni è rimasto pressoché indiscusso il principio secondo cui tutte le prestazioni svolte nell'ambito di una convivenza more uxorio sarebbero effettuate, al pari di quelle svolte all'interno di un rapporto coniugale, affectionis vel benevolentiae causae e pertanto compiute gratuitamente in adempimento di un'obbligazione naturale. Ne derivava che il convivente il quale avesse, anche per numerosi anni, prestato la propria attività, domestica e/o aziendale, in favore dell'altro convivente, non poteva avanzare alcuna pretesa economica. Ovviamente, ciò era escluso nelle (rare) ipotesi in cui vi fosse un formale rapporto contrattuale di lavoro subordinato tra i soggetti. L'introduzione nel 1975 dell'istituto dell'impresa familiare di cui all'art. 230 bis c.c. ha determinato un primo netto ridimensionamento della presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative in ambito familiare.

Tradizionalmente la giurisprudenza ha escluso la possibilità di applicare lo strumento di cui all'art. 2041 c.c. in ambito di prestazioni lavorative in favore del convivente more uxorio, sul presupposto che la volontarietà o consenso della prestazione escludesse il requisito dell'ingiusto arricchimento (Cass. civ., sez. II, 6 marzo 1986, n. 1456). Si riteneva che, quando la prestazione è spontanea ed eseguita per ragioni connesse a rapporti affettivi o familiari o di cortesia, la volontà di colui che si assume impoverito fosse idonea a costituire una giusta causa (P. Trimarchi, L'arricchimento senza causa, Milano, 1962, 11 ss).Tale impostazione è stata criticata da chi rileva come volontà di prestare non equivalga a volontà di impoverirsi (G. Oberto, Le prestazioni lavorative del convivente, Padova, 2003, 66).

La sentenza de qua non è la prima ad aver ritenuto applicabile l'azione di ingiustificato arricchimento nell'ambito delle convivenze more uxorio. Già nel 1992 (Cass. civ., sez. I, 29 maggio 1992, n. 6531), la Corte di legittimità si era espressa in senso favorevole nel caso di una donna che per anni aveva lavorato a vantaggio dell'impresa alberghiera del marito. Dopo l'annullamento del vincolo coniugale, la donna si era rivolta al giudice per chiedere il riconoscimento di un rimborso per l'attività da quest'ultima espletata negli anni in cui aveva coabitato con il presunto marito. Considerato che il matrimonio era stato successivamente dichiarato nullo, e quindi tamquam non esset, tale ipotesi può essere accostata a quello di una convivenza more uxorio.

Un'altra sentenza favorevole risale al 2009 (Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2009, n. 11330). In essa, i giudici di legittimità hanno precisato che quando le prestazioni rese da un convivente a vantaggio dell'altro esorbitano dai limiti di proporzionalità ed adeguatezza in relazione a tutte le circostanze del caso, è configurabile una mera operazione economico-patrimoniale, comportante un ingiustificato arricchimento del convivente more uxorio con pregiudizio dell'altro. La Cassazione in questa pronuncia ha precisato che la presunzione di gratuità propria delle prestazione lavorative nell'ambito di comunità familiare può riferirsi solo alla collaborazione data per le esigenze del nucleo famigliare ovvero alla gestione dell'azienda dalla quale la famiglia stessa tragga i mezzi di sostentamento.

Nella sentenza in commento la Suprema Corte ha pertanto confermato l'orientamento già assunto in precedenza e ha ritenuto legittima la condanna del convivente convenuto al pagamento dell'indennizzo di euro 80.000,00 in favore della convivente lavoratrice e dei due figli, che, come la madre, avevano, evidentemente, fornito un contributo lavorativo in favore dell'azienda.

Nello specifico, gli Ermellini hanno ritenuto adeguatamente motivata la sentenza di appello laddove aveva ritenuto che le prestazioni lavorative espletate dall'attrice esulassero dai doveri di carattere morale e civile di mutua assistenza e collaborazione sussistenti tra due conviventi more uxorio: l'apporto della signora non si era limitato ad un mero lavoro domestico avente carattere gratuito o di aiuto occasionale al lavoro del convivente, ma si era trattato di un contributo lavorativo continuativo all'azienda del convivente, con arricchimento esclusivo di quest'ultimo.

La Corte di Cassazione pur riconoscendo che di norma le unioni di fatto, in quanto formazioni sociali che presentato significative analogie con la famiglie formatasi nell'abito di un matrimonio legale, sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale di ciascun convivente nei confronti dell'altro, che si esprimono anche nei rapporti di natura patrimoniali, ha affermato che «le attribuzioni patrimoniali a favore del convivente more uxorio, effettuate nel corso del rapporto, configurano l'adempimento di un'obbligazione naturale ex art. 2034 c.c. a condizione che siano rispettati i principi di proporzionalità e adeguatezza» .

Osservazioni

Dalla sentenza in esame, è possibile estrarre alcuni presupposti affinché sia consentito applicare tra conviventi l'azione di ingiustificato arricchimento e riconoscere il conseguente diritto all'indennizzo.

In primo luogo, le prestazioni non devono rispettare i principi di proporzionalità e adeguatezza. Per valutare tali requisiti, non può prescindersi dall'esame della concreta situazione in cui i pretesi adempimenti risultano effettuati (Cass. civ., sez. I, 22 gennaio 2014, n. 1277), dall'ambiente socio economico cui appartengono le parti, dal contributo offerto dall'altro convivente, dalle condizioni economico-sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto (Cass. civ., sez. III, 30 novembre 2011, n. 25554).

Inoltre, soprattutto in caso di attività lavorativa, le prestazioni devono avere carattere continuativo (e non occasionale) e, più in generale, da esse deve averne tratto vantaggio esclusivamente l'altro convivente (e non l'intero nucleo familiare). Sotto tale profilo, nel caso de quo, il convivente beneficiario, grazie anche al contributo lavorativo della convivente, aveva acquistato vari immobili che aveva intestato unicamente a sé ed al fratello.

Alla luce di quanto appena considerato, appare più arduo ravvisare i presupposti dell'azione di ingiustificato arricchimento in caso di lavoro domestico svolto durante il rapporto di convivenza, in quanto tale attività costituisce normalmente lo spontaneo adempimento di obbligazioni di natura morale e sociale, ossia del dovere di assistenza e collaborazione.

Tuttavia, si è sostenuto che il partner “debole” farebbe comunque affidamento se non in una controprestazione in denaro, quantomeno nell'adempimento del dovere di assistenza morale e materiale da parte dell'altro convivente. Non vi sarebbe, pertanto, giusta causa quando all'arricchimento dell'accipiens derivato dall'esecuzione dell'obbligazione naturale non corrisponde l'adempimento del reciproco dovere morale e sociale di contribuzione. In altri termini, se il convivente “forte” non adempie al dovere di assistenza materiale nei confronti del convivente che ha prestato la propria attività lavorativa (anche in caso di lavoro domestico), quest'ultimo ha il diritto ad ottenere una somma corrispondente all'eccedenza delle prestazioni eseguite rispetto a quelle ricevute.

Il rimedio dell'azione ex art. 2041 c.c. costituisce un rimedio residuale, da esperire – qualora sussistano le condizioni appena indicate – nei casi in cui non sia possibile rinvenire gli elementi costitutivi di un rapporto di lavoro subordinato, anche solo di fatto.

Lo sforzo, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, è quello di raggiungere un equilibrio tra opposte esigenze di tutela. Da un lato, il riconoscimento delle convivenze more uxorio come formazioni sociali contraddistinte da doveri di carattere morale e civile di mutua assistenza e collaborazione. Dall'altro, la tutela del convivente “debole” e il riconoscimento del principio secondo cui «non è possibile utilizzare il lavoro altrui a proprio vantaggio approfittando dell'intreccio di relazioni di affetto, di convivenza, di dipendenza economica e psicologica, che sovente rendono più difficile nella famiglia che altrove procurarsi un ‘titolo' che ad un tempo le giustifichi e le tuteli» (G. Ferrando, Il matrimonio, Giuffrè, Milano, 2002, 229 ss.).

Guida all'approfondimento

- G. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Milano, 1991, 123 ss.

- L. Balestra, I rapporti patrimoniali, in Aa.Vv, Convivenza e situazioni di fatto, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Paolo Zatti, Vol. I, Famiglia e matrimonio, tomo I, Milano, 2002, 848 ss..

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