Negozio destinatorio puro, bisogni della famiglia e analogia con il fondo patrimoniale in tema di esecuzione immobiliare

26 Maggio 2015

La recentissima pronuncia, per quanto sinteticamente, esamina tre temi particolarmente rilevanti: l'autodestinazione, l'interesse meritevole di tutela e l'onere della prova circa l'estraneità del credito rispetto alle finalità della destinazione
Massima

Così come per l'omogenea materia del fondo patrimoniale ex art. 170 c.c., anche nel caso di vincolo di destinazione ex art. 2645 c.c., spetta al debitore provare che il creditore conosceva l'estraneità del credito ai bisogni della famiglia, e tale categoria di bisogni deve essere interpretata in senso ampio.

Il caso

La società Alfa Leasing SPA ha promosso esecuzione immobiliare nei confronti di Tizio; il bene immobile oggetto di esecuzione, prima del pignoramento, è stato vincolato dal debitore con atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c..

Tizio vincola un immobile “al soddisfacimento delle esigenze abitative ed in genere ai bisogni della famiglia” sino al quarantesimo anno di età della figlia. La società Alfa Leasing Spa successivamente pignora il bene; Tizio si oppone affermando l'impignorabilità del bene manente destinatione, asserendo che il debito verso Alfa Leasing SPA ha natura professionale.

Il tribunale respinge l'opposizione del debitore all'esecuzione, per tre ordini di ragioni.

In motivazione

«Da una prima angolazione, si osserva (…) che (…) l'art. 2645-ter c.c. non riconosce la possibilità dell'autodestinazione unilaterale di un bene già di proprietà della parte, tramite un negozio destinatorio puro. Diversamente opinando, infatti, verrebbe scardinato dalle fondamenta il sistema fondato sul principio, codificato dall'art. 2740 c.c., della responsabilità patrimoniale illimitata e del carattere eccezionale delle fattispecie limitative di tale responsabilità (….). (…) La norma, da intendersi come sugli effetti e non sugli atti, deve essere interpretata in senso restrittivo, e quindi limitata alle sole ipotesi di destinazione traslativa collegata ad altra fattispecie negoziale tipica od atipica dotata di autonoma causa (…).

Da una seconda angolazione, (…) è (…) pacifica opinione che (…) non basta la liceità dello scopo, occorrendo anche un quid pluris integrato dalla comparazione degli interessi in gioco, ed in particolare dalla prevalenza dell'interesse realizzato rispetto all'interesse sacrificato dei creditori del disponente estranei al vincolo (…). (…) La parte avrebbe dovuto chiaramente indicare, in concreto, le ragioni che l'hanno indotta ad optare per quella tipologia di vincolo, evidenziando i motivi per i quali la separazione patrimoniale costituisca (…) il più indicato strumento (…). Il (…) fine del soddisfacimento “in genere” dei bisogni della famiglia, si appalesa del tutto generico ed inidoneo a chiarire gli specifici bisogni tutelati e le ragioni per cui una simile necessità è sorta; (…) il termine finale del compimento del quarantesimo anno di età della figlia appare oggettivamente irragionevole e come tale lumeggiante un intento fraudolento (…).

Da una terza ed ultima angolazione (…) il debito (…) è stato contratto per uno scopo pienamente coerente con l'atto di destinazione, cioè con i bisogni della famiglia. (…) In conformità con quanto già chiarito dalla giurisprudenza in tema di fondo patrimoniale (…), spetta al debitore provare che il creditore conosceva l'estraneità del credito ai bisogni della famiglia, essendovi una presunzione di inerenza dei debiti alle esigenze famigliari (…). (…) La Corte di Cassazione (..) ha fornito una interpretazione estremamente ampia della categoria dei bisogni della famiglia (…). (…) L'opponente non ha provato (…) che il creditore conosceva l'estraneità del credito ai bisogni della famiglia (…); ma anzi, può opinarsi che il debito (…) sia stato contratto per esigenze famigliari, in quanto riferito all'attività lavorativa e strettamente connessa al mantenimento della famiglia».

La questione

Le questioni in esame sono la seguenti:

- è ammissibile un vincolo di destinazione costituito dal disponente su un proprio bene, senza che si dia luogo a trasferimento dell'immobile?

- quali sono gli interessi meritevoli di tutela che giustificano la segregazione, e come devono essere precisati nell'atto costitutivo del vincolo?

- chi deve provare che il credito (in forza del quale si intende agire esecutivamente sul bene oggetto di vincolo) è stato contratto per scopi estranei al fine di destinazione?

Le soluzioni giuridiche

La recentissima pronuncia, per quanto sinteticamente, esamina tre temi particolarmente rilevanti: l'autodestinazione, l'interesse meritevole di tutela e l'onere della prova circa l'estraneità del credito rispetto alle finalità della destinazione.

Sul primo aspetto i giudici si pongono in continuità con la giurisprudenza di merito prevalente, ed emergente soprattutto dal medesimo Tribunale emiliano: si nega l'efficacia della “autodestinazione unilaterale” (detta anche “negozio destinatorio puro”) con la quale il disponente assoggetta un proprio bene a vincolo di destinazione, senza che l'atto sia connesso o funzionale ad altri negozi (traslativi). L'orientamento si fonda sul principio della responsabilità patrimoniale illimitata del debitore, che non può essere derogato da qualsivoglia stipulazione del debitore (le eccezioni, ex art. 2740 c.c., sono tipiche).

La norma di cui all'art. 2645-ter c.c. disciplinerebbe cioè un effetto giuridico, e non una nuova forma negoziale.

Nello stesso senso si sono pronunciate recentemente: Trib. Reggio Emilia, 22 giugno 2012; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 28 novembre 2013; Trib. Reggio Emilia, 27 gennaio 2014; Trib. Reggio Emilia, 12 maggio 2014.

In senso opposto, ammettono un vincolo di destinazione autoimpresso dal disponente Trib. Bologna 5 dicembre 2009 e App. Roma 9 febbraio 2009 - ma soprattutto le recentissime pronunzie di legittimità Cass. civ., sez. VI, ord., 24 febbraio 2015, n. 3735 (e successive n. 3737 e 3886). Queste decisioni, seppur vertenti in materia fiscale, dichiarano infatti che l'art. 2645-ter c.c., per quanto volto a disciplinare la pubblicità dell'effetto destinatorio, delinea un atto con effetto tipico e reale, assurgendo così a norma sulla fattispecie (e cioè sugli atti, e non meramente “sugli effetti”).

Il giudice prende poi in considerazione il tema della meritevolezza degli interessi sottesi alla destinazione. Il vincolo ex art. 2645-ter c.c. esaminato dal Tribunale era finalizzato alle esigenze abitative ed in genere ai bisogni della famiglia, e la durata era fissata sino al compimento del quarantesimo anno di età della figlia del debitore.

I giudici riconoscono che le esigenze familiari sono, in astratto, interesse idoneo e sufficiente a sorreggere l'atto di destinazione: si tratta di istanze che possono essere prevalenti rispetto all'interesse sacrificato dei creditori. Con riferimento all'atto oggetto di contesa, però, i giudici non ravvisano una destinazione seria ed effettiva: le espressioni contenute nel negozio sono considerate generiche e addirittura “tautologiche”, ed il termine finale del vincolo è ritenuto eccessivamente ampio, tanto da far opinare un possibile intento fraudolento.

Infine, giungendo all'aspetto più innovativo e interessante, la decisione tematizza la pertinenza dei crediti allo scopo di destinazione e il relativo onere della prova.

L'onere di provare che un credito vantato verso il disponente è estraneo al fine di destinazione grava sul debitore stesso: il Tribunale giunge a tale conclusione mutuando la previsione dell'art. 170 c.c. in tema di fondo patrimoniale e la costante opinione della Cassazione in punto di prova (da ultimo Cass., sez. III, 11 luglio 2014, n. 15886) – ritenendo tale regime, non richiamato dal legislatore, comunque applicabile per analogia, data l'omogeneità delle fattispecie.

In ogni caso si afferma anche che l'alveo dei bisogni della famiglia è da interpretarsi in senso ampio, e che non può dirsi estraneo agli stessi il credito riferito ad un'attività lavorativa strettamente connessa al mantenimento della famiglia.

In ragione di tutte le considerazioni svolte, il giudice rigetta l'opposizione all'esecuzione immobiliare sul bene oggetto dell'atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c..

Osservazioni

La sentenza in esame ha il merito di promuovere il dibattito su diversi argomenti essenziali in materia di vincolo di destinazione – alcuni già oggetto di ampia attenzione in letteratura, altri decisamente meno noti.

Quando al tema della legittimità dell'autodestinazione si deve affermare, soprattutto alla luce delle nuove ordinanze di Cassazione, che sul punto l'opinione della giurisprudenza di merito, qui riproposta, è superata. La dottrina, sin dai primi commenti, ha acclarato la legittimità di un vincolo impresso dal disponente sui propri beni, senza che occorra necessariamente la connessione ad un atto traslativo. Oggi la Cassazione ha aderito a questo orientamento, dichiarando l'art. 2645-ter c.c. norma sulla fattispecie. All'interprete è quindi rimessa, caso per caso, la scelta sulla struttura migliore per soddisfare le esigenze emergenti in concreto.

La meritevolezza dell'interesse destinatorio è uno dei punti più controversi dell'istituto. Questa sentenza conferma che la giurisprudenza non accetta l'equiparazione tra scopo lecito (non contrario a norme imperative,ordine pubblico e buon costume) e interesse meritevole di tutela.

Al contrario il giudice propone un criterio ermeneutico comparativo: l'interesse realizzato dev'essere prevalente rispetto all'interesse dei creditori, che viene sacrificato per effetto della segregazione patrimoniale. Un criterio certamente corretto sotto il profilo giuseconomico, ma che forse non chiarifica la legittimità dell'interesse nei casi più dubbi, ove la scala di valori non è facilmente determinabile (ad esempio riferendosi alla Costituzione).

Si può condividere, per quanto sia piuttosto rigorosa, la pretesa (quasi “redazionale”) che ne discende: il fine della destinazione dev'essere esplicitato in modo chiaro ed inequivoco, non generico; occorre far risultare dall'atto quali sono le ragioni che hanno condotto a ritenere l'istituto di cui all'art. 2645-ter c.c. lo strumento migliore o comunque il più indicato. Deve in altri termini fornirsi una giustificazione solida che sorregga la segregazione patrimoniale e il relativo sacrificio delle aspettative dei creditori sul cespite vincolato.

In ultimo, si affronta un tema che non era ancora stato oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza: l'esecuzione del creditore sui beni oggetto di destinazione e l'estraneità del credito rispetto al fine di destinazione.

Il Tribunale afferma l'applicazione analogica dell'art. 170 c.c. al vincolo di destinazione, ritenendo le fattispecie omogenee. Diversi autori, al contrario, sottolineano che l'art. 2645-ter c.c. ha un tenore letterale decisamente diverso da quello dell'art. 170 c.c.: non ricorre l'espressione «debiti che il creditore conosceva essere stati contratti», per tanto si dovrebbe desumere che qui rilevi solo l'oggettivo legame tra credito e scopo di destinazione. In altre parole non si richiede una prova negativa (non essere stato a conoscenza dell'estraneità del credito rispetto allo scopo), ma una prova positiva (l'attinenza del debito rispetto allo scopo).

Seguendo l'opinione dottrinale, non potrebbero condividersi le conclusioni del giudice: sarebbe sufficiente dimostrare che il debito non è oggettivamente connesso allo scopo, senza che occorra interrogarsi circa la consapevolezza del creditore.

La decisione è orientata al caso concreto, dove l'interesse che sorregge il vincolo è simmetrico – se non identico - a quello espresso dall'art. 167 c.c.: di qui la ragione dell'applicazione analogica. Non credo però che tale valutazione sarebbe riproposta negli stessi termini nel caso in cui lo scopo della destinazione fosse lontano da quello della protezione familiare (tipico del fondo patrimoniale), stante il dibattito in dottrina.

Allo stesso modo, le riflessioni sull'ampiezza della nozione di “bisogni della famiglia” può valere solo se la destinazione è orientata a un interesse prettamente familiare e sovrapponibile a quello cristallizzato nelle norme sul fondo patrimoniale. Anche in quel ristretto ambito diversi autori ritengono, in contrasto con la sentenza in commento, che l'utilizzo di un istituto diverso (il vincolo di destinazione) dovrebbe comportare un'autonoma e dissimile valutazione sull'attinenza del debito rispetto al fine di destinazione.

In ultima analisi sul tema da ultimo trattato la giurisprudenza apre una nuova linea interpretativa, che si discosta dalle riflessioni più diffuse in dottrina, e istituisce un innovativo parallelo tra vincolo di destinazione e fondo patrimoniale. Fino all'intervento di nuovi arresti giurisprudenziali, l'interprete ‒ nella valutazione della fattispecie ‒ dovrà tener conto del contrasto qui esposto, ricordando che le conclusioni cui è giunto il Tribunale sono dirette alla risoluzione del caso concreto.

Nel merito, la genericità del fine di destinazione, la durata anomala ad esso impressa e la indiscutibile prossimità al fondo patrimoniale hanno condotto il giudice, coerentemente, a far prevalere l'interesse del creditore.

Guida all'approfondimento

- M. Bianca – M. D'errico – A. Donato – C. Priore, L'atto notarile di destinazione, Milano, 2006

- F. Gazzoni, Osservazioni sull'art. 2645 ter, in Giust. Civ. 2006, p.165 ss.;

- G. Gabrielli, Vincoli di destinazione importanti separazione patrimoniale e pubblicità nei registri immobiliari, in Riv. dir. civ., 2007, p. 321 ss.;

- R. Dicillo, Atti e vincoli di destinazione, in Dig. Disc. Priv. Agg., Torino, 2007;

- A.A. V.V., La trascrizione dell'atto negoziale di destinazione a cura di M. Bianca, Milano, 2007;

- CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, Studio Civilistico n. 357-2012/C, in www.notariato.it;

- A.A. V.V., Negozio di destinazione: percorsi verso un'espressione sicura dell'autonomia privata, Fondazione Italiana del Notariato - elibrary.fondazionenotariato.it.

- A. Di Sapio, Patrimoni segregati ed evoluzione normativa: dal fondo patrimoniale all'atto di destinazione ex art. 2645 ter, in Dir. fam. 2007, 1257

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