Per la Cassazione il diritto di conoscere le proprie origini prevale sull’anonimato della madre defunta

Redazione Scientifica
26 Luglio 2016

La Corte di Cassazione autorizza una donna, adottata in tenera età, ad accedere alle informazioni relative all'identità della madre biologica, dopo che questa è deceduta e pertanto non è in grado di manifestare il consenso.

Il caso. M. R., nata da una donna che al momento del parto aveva chiesto di restare anonima ed adottata da altra famiglia, proponeva istanza al Tribunale per i minorenni per accedere ai dati relativi all'identità della madre. Il Tribunale per i minorenni accoglieva la richiesta; ottenuta la documentazione, l'autorità giudiziaria acquisiva peraltro anche la notizia del decesso della madre. Venivano, pertanto, respinte le richieste dell'istante a causa «dell'impossibilità di interpellare la madre sulla sua persistente volontà di mantenere l'anonimato». Anche la Corte d'Appello respingeva il reclamo. M.R., quindi, ricorre per cassazione.

Il diritto di conoscere le proprie origini. La Corte compie una panoramica sulle fonti internazionali e sovranazionali, affermando che «il diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche e alle circostanze della propria nascita trova sempre più ampio riconoscimento». Si cita la Corte CEDU, nel caso Godelli contro Italia, che, interpretando l'art. 8 CEDU, ha affermato che alla «realizzazione della personalità concorrono la conoscenza dei dati concernenti la propria identità di essere umano e l'interesse vitale […] di ottenere le informazioni necessarie per apprendere la verità su un aspetto importante dell'identità personale quale l'identità dei propri genitori». Un'altra sentenza della Corte EDU, Odièvre contro Francia, era intervenuta sul punto, affermando invece che tra il diritto all'identità e il diritto “all'oblio” della madre fosse necessario operare un bilanciamento. In questa seconda sentenza veniva posto come unico e assoluto limite la volontà della madre al mantenimento dell'anonimato. Tuttavia, in questo modo, sostennero i giudici che espressero la dissenting opinion, non si opererebbe nessuna ponderazione degli interessi; la decisione della madre si imporrebbe, infatti, al figlio ponendolo in «una condizione di sofferenza e condannandolo tutta la vita all'ignoranza sulle sue origini».

Bilanciamento di diritti fondamentali? La Corte di Cassazione sposa questa posizione, condivisa peraltro dalla dottrina, precisando che il richiamo al criterio del bilanciamento dei diritti fondamentali in gioco appare inefficace e per certi versi inappropriato. Nella specie, non vengono infatti a contrapporsi diritti fondamentali. Solo il momento della scelta della madre di rimanere anonima quando partorisce assurge al carattere di diritto fondamentale. In questo momento, infatti, rileva il suo diritto alla vita e quello del figlio. Dopo la nascita, però, non è più il diritto alla vita a essere in gioco, ma l'anonimato diventa strumentale a proteggere la scelta compiuta dalle conseguenze sociali. In questa prospettiva, è solo la madre a essere legittimata a revocare la sua decisione di rimanere anonima in relazione al venir meno «di quell'esigenza di protezione». D'altra parte, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 278/2013, dichiarando che è costituzionalmente illegittimo escludere la possibilità di autorizzare la personata adottata all'accesso delle informazioni, condanna, di fatto, la tendenza dell'ordinamento a cristallizzare una situazione che non dovrebbe esserlo. Il vulnus costituzionale risulterebbe dalla «irreversibilità del segreto», in contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost..

Sì all'accesso alle informazioni. Per tornare, infine, sul caso in esame, si afferma che la morte della madre provocherebbe quella situazione di cristallizzazione che il Giudice della Leggi ha voluto eliminare. Inoltre, «l'immobilizzazione della scelta per l'anonimato che verrebbe in tal modo a determinarsi post mortem verrebbe a realizzarsi in presenza dell'affievolimento, se non della scomparsa, di quelle ragioni di protezione, risalenti alla scelta di partorire in anonimo». Negare l'accesso all'identità della madre defunta risulterebbe quindi lesivo dell'unico diritto fondamentale rilevante, ossia il diritto del figlio a conoscere le proprie origini. Per questo il ricorso viene accolto e la Corte autorizza M.R. ad accedere alle informazioni relative all'identità della propria madre biologica.

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