Relazioni conflittuali: quando il bambino rifiuta un genitore. Anche, ma non solo, alienazione parentale
26 Luglio 2016
L'ottica di questo contributo non è quella di schierarsi a favore o meno dell'esistenza o della diffusione della PAS, ma di offrire un momento di riflessione in chiave critica a sostenitori, scettici o avversari, sul ruolo che questa categoria diagnostica sembra avere assunto nella dinamica conflittuale tra i genitori e nella dinamica processuale. Nonostante un'introduzione parziale del concetto di Alienazione Parentale nel Manuale Diagnostico DSM 5, a fronte di una totale assenza nel DSM IV, esso non viene specificatamente definito né “sindrome”, cioè come una costellazione di sintomi inquadrati e classificati in criteri diagnostici suffragati e condivisi dalla letteratura scientifica, come proposto dal modello di Gardner, né, come proposto da molti studiosi, in particolare Bernet (2008), come un Disordine Parentale (PAD Parental Alienation Disorder). E' stata inserita nella categoria “Problemi relazionali”, nell'ampia sezione “Altre condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica”. Questa classificazione implica sul piano concettuale che non possa essere considerata una patologia individuale, ma chiami in causa una dinamica relazionale che coinvolge anche il genitore alienato. Nella loro analisi delle motivazioni per cui l'Alienazione Parentale non sia stata inserita nel DSM 5 né nell'altro Manuale diagnostico internazionale ICD-11, Bernet e Baker (2013) indicano con chiarezza come possibili ragioni anche il fatto che, a fronte di un costrutto che non risulta così strutturato e supportato dalla ricerca, possa innescarsi sia una strumentalizzazione giudiziaria vista l'influenza che può avere sulle decisioni sulla custodia del bambino, sia una dialettica professionale dettata anche da contrasti di parerei tra esperti mossi da interesse economici. Camerini et al. (2014), facendo riferimento alla situazione italiana evidenziano come la mancata collocazione di questo costrutto come sindrome o disordine abbia sortito l'effetto di far perdere di valore e ridurre l'attenzione su questo fenomeno in alcuni tribunali. La categoria in cui è stato classificato il fenomeno della alienazione parentale, peraltro, è la stessa categoria in cui sono classificati sia diverse situazioni di dinamiche familiari, sia fenomeni molto gravi e ben noti alle aule dei tribunali come “abuso e trascuratezza” sui minori, sul coniuge e sul partner. E' evidente che sia quantomeno prudente accantonare la denominazione stretta di “PAS” introdotta da Gardner, in quanto vincolata alla categoria di “sindrome”, che non ha trovato consenso nella letteratura e in particolare nella nosografia ufficiale, tant'è che le denominazioni utilizzate sono ora più ampie, come “Alienazione parentale”, in generale. Il problema che operativamente ci si trova davanti, specie nel lavoro di CTU nei casi di separazione e divorzio è quello di avere dei criteri corretti da seguire per poter evidenziare l'esistenza di una “Alienazione parentale”. Spesso viene rilevata secondo i criteri indicati da Gardner, che descriveva dei requisiti diagnostici per assicurare che fosse una situazione di PAS, di cui il criterio primario era l'esistenza di una “campagna denigratoria” da parte del genitore alienante, non come situazione occasionale o recente, ma come una situazione sistematica, nonché otto criteri diagnostici, fortemente centrati sul comportamento e sulle argomentazioni del bambino. La letteratura ha poi elaborato diversi criteri diagnostici, più o meno articolati e specifici, ma sempre più orientati a considerare il fenomeno come familiare e non centrato su un singolo (Warshak, 2003). La valutazione della alienazione dovrebbe quindi, soprattutto in un'ottica di lettura sempre più familiare del fenomeno, evidenziare il ruolo del genitore alienato, e non solo quello attivo del genitore alienante, sul quale si è concentrata molta della letteratura, nonché analizzare in modo approfondito i vissuti e il ruolo del bambino. La diffusione del fenomeno dell'alienazione genitoriale, e più in generale della criticità e del rifiuto di un figlio di frequentare un genitore, sembra avere una crescete diffusione in Italia, sia nella realtà delle famiglie che nelle aule di tribunale, sia a livello di opinione pubblica che mass media. Una delle ipotesi che proponiamo, per capire queste crescenti centralità e attualità, è riflettere sull'effetto dell'introduzione di alcuni principi, entrati in vigore con la legge sull'affido condiviso, nella gestione della conflittualità e nella valutazione dei genitori, anche nell'ottica di garantire il “libero accesso” all'altro genitore. La legge sull'affido condiviso potrebbe avere legittimato una particolare attenzione e interesse, anche ai fini processuali, nell'individuare come “PAS”, o comunque come Alienazione parentale, anche mere criticità relazionali che non necessariamente rispondono pienamente ai criteri diagnostici. In tal senso sembra che particolarmente i due principi di tutela, bigenitorialità e libero accesso, possano avere esasperato i termini del conflitto, specie per avere forme di affidamento alternativo a quello congiunto introdotto, o condizioni di frequentazione più favorevoli per il genitore collocatario. Osserviamo come la conflittualità in tema di affidamento del minore sia sempre elevata. Era peraltro poco presumibile che un provvedimento legislativo potesse contenere o risolvere delle dinamiche così rilevanti e intense come quelle coniugali e genitoriali. In qualche modo la legge sull'affido condiviso ha spostato, e non risolto, la conflittualità tra le parti: si è passati dal contenzioso sulla modalità di affido, come era prevalentemente in precedenza e in qualche caso comunque rimane, a quello sul collocamento (da qui anche il proliferare di richieste di collocamento alternato o comunque di richieste di un affido esclusivo), sugli spazi di visita (per cui ci sono conflittualità esasperate per mezza giornata o un pernottamento in più o per un giorno di vacanza in più). La conflittualità è talmente intrinseca nel processo di separazione che la Cassazione si è pronunciata in modo esplicito (Cass. civ. n. 7477/2014) nell'indicare come essa non escluda l'applicazione dell'affido condiviso. Le parti, pertanto, devono fornire altri elementi per evidenziare che l'affido condiviso non possa essere applicato nel loro caso. Un elemento può essere proprio quello di sostenere l'esistenza di un processo di alienazione, oppure l'avanzare problematiche psicopatologiche in capo all'altro genitore, la cui eventuale incidenza o limitazione sulle competenze genitoriali dovrà essere oggetto di valutazione specifica. L'ipotesi di alienazione parentale, anche nei casi in cui essa non sussista realmente, si presta quindi come fattore particolarmente strategico nella dinamica processuale: è un argomento attuale, molto dibattuto, coinvolge direttamente il bambino, con immediato riferimento alla tutela dell'“interesse superiore del minore”, cioè a quel principio generale a cui i magistrati devono fare riferimento. Ostacolare il libero accesso all'altro genitore è un fattore di pregiudizio tale per cui c'è il rischio che il bambino perda la possibilità di vivere la bigenitorialità e, quindi, la frequentazione dell'altro genitore. Riteniamo che pur trattandosi solo di una potenziale anticamera di alienazione parentale, nel senso che l'ostacolo al libero accesso non porta automaticamente un bambino a non incontrare o a rifiutare l'altro genitore, certo ne costituisce una condizione di rischio. Il criterio di libero accesso è in genere indicato in modo esplicito nei quesiti al CTU come un aspetto da valutare. L'effettiva disponibilità e capacità di un genitore di garantire il libero accesso dovrebbe quindi essere oggetto di una indagine specifica e approfondita, nella quale siano evidenziati dei parametri di valutazione di questa capacità, parametri che non possono essere limitati a meri aspetti logistici o di rispetto/violazione delle regolamentazioni di visita. Valutare come un genitore sia capace di dare accesso all'altro in termini di visite ma anche in termini di tutela dell'immagine dell'altro, di possibilità per il bambino di poter parlare dell'altro genitore, ecc., è porre l'accento su fattori protettivi e preventivi di un'alienazione parentale.
L'alienazione parentale si presta come chiave di lettura delle criticità relazionali e permette a un genitore di spiegarsi i motivi per cui il figlio non lo voglia vedere o abbia resistenze nei suoi confronti, in termini protettivi, sia per se stesso che per il figlio. Da una parte, l'attribuzione della responsabilità all'altro genitore di essere l'architetto di questo rifiuto lo legittima a mettersi in una posizione di vittima passiva, in cui la sua immagine individuale e sociale è tutelata: anzi, in questo contesto culturale e sociale trova consensi e supporto. Anche il figlio e la relazione affettiva con lui viene tutelata, perché il figlio non viene considerato artefice e responsabile di questa situazione, ma percepito come una povera vittima, anche egli manovrato dal genitore alienante, come una sorta di marionetta in mano all'altro genitore. In questo modo le relazione e l'affetto tra genitore e figlio vengono tutelati nell'immaginario del genitore alienato, che in genere prova più delusione e compassione verso il figlio, mentre egli viene protetto dalla rabbia e dall'aggressività del genitore che viene direzionata verso l'altro genitore. Questa lettura delle responsabilità porta il genitore che viene rifiutato in una posizione comoda, ma impotente e statica, che rischia di diventare, proprio per la sua staticità, un alibi rispetto all'attivare altre risorse, altre modalità e processi di introspezione e riflessione: viene in genere inibito un processo autocritico di rivisitazione e riconoscimento della propria relazione precedente con il figlio e di eventuali criticità o carenze che possano esserci state. Come indicato dallo stesso Gardner (1992), i genitori alienati spesso sono quelli che già nella storia evolutiva del minore avevano un rapporto genitoriale con il figlio meno intenso sul piano affettivo ed empatico dell'altro genitore, presentavano magari degli elementi di criticità, seppur non in chiave psicopatologica. Si parla di quei genitori che erano già nello psichismo del minore più periferici, per assenza fisica o incostanza, per rigidità o passività. Genitori con queste caratteristiche individuali e relazionali sono poi gli stessi che in una situazione di criticità relazionale faticano nel mantenere o nel recuperare il rapporto, rapporto che è anche gravato dalla mancanza di solide basi. Nel lavoro di CTU, tra i vari criteri di valutazione della competenza genitoriale è necessario considerare proprio la capacità di autocritica, di riflessività, di responsabilizzazione e di mentalizzazione, criteri ben delineati da Fonagy e Target (2001). In altri termini, si può dire che in alcuni casi il considerarsi vittima di PAS può diventare una condizione protettiva per il genitore che si considera alienato, in quanto sposta l'attribuzione di responsabilità sull'altro genitore e tutela la propria immagine e il proprio ruolo genitoriale, e al tempo stesso tutela inoltre anche la propria immagine del figlio, che viene visto come passiva vittima dell'altro. Questa posizione, oltre ad avere un positivo riscontro e consenso nel contesto sociale, specie in un periodo di centralità del tema, porta a non mettersi in discussione e a non promuovere un miglioramento della propria competenza genitoriale. Il considerarsi vittima, in altre parole, rischia di limitare o sospendere quei processi di autocritica e di riflessività che al contrario sono alla base di un'adeguata competenza genitoriale. La mancata frequentazione diventa un problema sul piano clinico del bambino, non soltanto per la mancata relazione effettiva con l'altro genitore, ma anche per l'influenza che assume nel processo di introiezione della figura genitoriale, a seconda delle varie fasi dello sviluppo del minore. La figura genitoriale rifiutata oltre a essere una figura assente, può essere vissuta come passiva, perché non riesce a entrare nella situazione, o anche come molto aggressiva e minacciosa, nel momento in cui cerca di contrastare l'alienazione con azioni forti nei confronti del bambino o dell'altro genitore. Importanza della diagnosi differenziale
I comportamenti che vengono individuati come effettivamente escludenti la possibilità di formulare una diagnosi di alienazione sono quelli accertati di abuso e maltrattamento. Per gli altri comportamenti viene indicato nei criteri che debba essere verificata in qualche modo la razionalità, la congruenza, l'adeguatezza rispetto ai comportamenti del genitore alienato e della situazione (Warshak, 2003). Inoltre, deve essere verificata la convergenza o meno con le argomentazioni del genitore alienante, nel qual caso le motivazioni del bambino vengono ritenute usualmente come frutto di un indottrinamento del genitore alienante. Si ritiene importante sottolineare come la valutazione sulle competenze genitoriali richiesta dai tribunali nelle CTU, spesso esplicitata nei quesiti, ma comunque sempre in re ipsa in questa materia, sia una valutazione che riguarda non solo le caratteristiche di personalità delle parti in modo generale e asettico, ma debbano esser contestualizzate proprio sulle capacità genitoriali, sulla relazione con il figlio, sulla capacità di ascolto ed empatia con il figlio, sulla capacità di garantire la figura dell'altro. In un'ottica di competenza genitoriale, eventuali criticità specifiche vanno in ogni caso evidenziate, che si tratti o no di situazioni di alienazione parentale, in quanto un genitore non può essere giustificato, ad esempio, perché caratterialmente passivo o remissivo, in quanto queste caratteristiche palesano un problema sotto il profilo della genitorialità. Il rischio, come si è detto, potrebbe essere quello di utilizzare la categoria della PAS o alienazione parentale come una sorta di “protezione” del genitore più debole/passivo rispetto a strategie premeditate dell'altro partner e di incapacità del figlio di resistervi. E' chiaro che non si propone una lettura che porti a descrivere i genitori alienati come necessariamente passivi e fautori della loro alienazione e che ci sono esempi di genitori che fanno di tutto per non essere alienati e che avevano un positivo rapporto con i figli prima della separazione. Il CTU deve leggere le situazioni in una prospettiva falsificazionista, ovvero considerare anche altre ipotesi e altre condizioni che potrebbero giustificare tali effetti (mobbing genitoriale o situazioni antecedenti o oggettive di rifiuto del minore verso un genitore), perché le conseguenze di una PAS e le conseguenze di una effettiva o transitoria inadeguatezza genitoriale di fatto portano analoghe manifestazioni. Devono essere chiari ed espliciti metodo e criteri di valutazione con cui viene condotta la CTU e con cui vengono valutate le manifestazioni e i sintomi di criticità della relazione figli-genitori, ben tenendo presente i criteri indicati nella letteratura sulla alienazione parentale, ma anche che tali criteri sono un elenco di fattori che non sono di per sé diagnostici, tanto che non è stata classificata come sindrome o disturbo, proprio perché non si tratta di indicatori univoci. Debbono essere valutati attentamente alcuni fattori oggettivi e pregressi, come ad esempio: problemi psicopatologici del genitore alienato; fattori psicologici a rischio (immaturità, uno stile di vita lavorativo talmente intenso già da prima dall'avere contatti minimi con il figlio, o fattori di trascuratezza o elevata rigidità educativa); la natura e la qualità della relazione tra minore e genitore alienato prima della separazione; l'esistenza di fattori critici obiettivi che incidono sulla relazione (nuovi partner, altri figli da nuovo partner, trasferimenti, ecc.). Questi ultimi diventano rilevanti specie se sono stati gestiti in modo non adeguato nella comunicazione, nell'inserimento o nella intensità delle frequentazioni. Rispetto ai criteri di congruità indicati dalla letteratura, tra i comportamenti del genitore alienato e del minore, si ritiene che sia necessaria una valutazione che tenga conto di come nei figli possano esserci reazioni anche amplificate rispetto a comportamenti considerati dal genitore, o anche dagli esperti, non così rilevanti o comunque non tali da giustificare un distacco anche radicale. Le valenze simboliche che certi comportamenti possono avere per il figlio possono essere veramente profonde e autentiche (abbandono, delusione, incapacità di capire le motivazioni, rabbia, vissuto di essere secondario rispetto a scelte personali del genitore, specie se affettive, ecc.) e queste valenze soprattutto dagli esperti devono essere riconosciute, ascoltate, rispettate e poi affrontate per una rielaborazione, senza che finiscano nella banale equivalenza per cui un figlio che rifiuta un genitore è solo un figlio manipolato dall'altro. Proprio perché gli effetti del conflitto genitoriale possono portare ad azioni e conseguenze simili a quelle registrabili nelle reali situazioni di alienazione parentale è necessario seguire in modo preciso e obiettivo i criteri teorici ed operativi indicati in letteratura, al fine di poter discriminare le situazioni che potremmo definire di “pseudo-alienazione”, e che quindi rimandano a quelle situazioni in cui c'è una forte criticità nel legame genitore/figlio per effetto delle influenze dirette e/o indirette della conflittualità che solo superficialmente potrebbero delinearsi come PAS. L'ipotesi di PAS può ritenersi validata solo a seguito di specifici accertamenti tecnici clinici, motivazionali e relazionali.
In conclusione
Si ritiene che il dibattito non debba essere centrato in merito al fatto che la PAS esista o meno, quanto al rischio di un semplicistico o sbrigativo etichettamento di alienazione genitoriale o PAS di ogni rifiuto da parte del bambino a frequentare il genitore non collocatario, con le gravi conseguenze che questo comporta non solo dal punto di vista giudiziario ma anche, e forse soprattutto, dal punto vista clinico e terapeutico per il minore. Per questo è necessario discriminare e differenziare le situazioni che spesso si presentano come molto sovrapponibili o similari, per modalità ed effetti. Le criticità evidenziabili nei casi in cui un minore esprime un rifiuto nei confronti di un genitore non sono solo PAS, alienazione genitoriale in qualche modo architettata e agita da un genitore alienante, ma a volte possono rimandare a fattori o situazioni diverse, ben più gravi. Occorre pertanto che il CTU proceda sempre in un'ottica problematizzante al fine di tenere in considerazione non solo i fattori a sostegno dell'ipotesi di PAS, ma anche quelli a sostegno di altre cause alla base del rifiuto. E' importante, inoltre, promuovere soluzioni non solo in primo luogo tutelanti per il minore, ma anche responsabilizzanti per entrambi i genitori. Bernet W., Parental alienation disorder and DSM-V. The American Journal of Family Therapy; 36(5), 349-366, 2008 Bernet W., Baker A. J. L., Parental Alienation, DSM-5, and ICD-11: Response to Critics. Journal of the American Academy of Psychiatry and the Law Online, 41(1), 98-104, 2013 Fonagy P., Target M., Attaccamento e funzione riflessiva. Raffaello Cortina Editore, 2001 Gardner R. A., The parental alienation syndrome: A guide for mental health and legal professionals. Creative Therapeutics, 1992 Richard A. Warshak, Bringing Sense to Parental Alienation: A Look at the Disputes and the Evidence, 37 Fam. L.Q. 273, 273, 280, 2003 |