La Cassazione sul disconoscimento di paternità: prevale il favor filiationis o il favor veritatis?

Redazione Scientifica
27 Febbraio 2017

Il padre biologico chiede la nomina di un curatore speciale per intentare azione di disconoscimento di paternità del minore nato da una relazione extraconiugale tra una donna sposata e il richiedente. Il padre legale si oppone. Prevale il favor filiationis o il favor veritatis?

Il caso. La curatrice speciale di un minore, nominata dal Tribunale su richiesta del padre biologico del bambino, ha intentato azione di disconoscimento di paternità, in quanto il bimbo era nato durante il matrimonio tra la madre e il padre legale, ma era stato concepito nel corso di una relazione extraconiugale intrattenuta dalla donna con il padre biologico.

Il Tribunale, con sentenza definitiva, ha dichiarato che il minore non era figlio del padre legale e che, pertanto, quest'ultimo non era legittimato a chiedere che il bambino conservasse il suo cognome.

Avverso la sentenza con cui la Corte d'appello ha confermato la pronuncia di primo grado, il padre legale ha presentato ricorso per cassazione.

Favor filiationis o favor veritatis: quale prevale? Secondo il ricorrente, in particolare, al principio del favor veritatis (prevalenza della verità biologica su quella legale) non potrebbe essere riconosciuto un valore di importanza preminente, poiché l'art. 30, comma 4, Cost. secondo cui «la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità» ha demandato al legislatore ordinario il potere di privilegiare, nel rispetto degli altri valori di rango costituzionale, la paternità legale rispetto a quella naturale, fissando anche le condizioni e le modalità per farla valere e gli ha affidato la valutazione, in via generale, della soluzione più idonea per realizzare l'interesse del minore.

La Suprema Corte precisa, però, che tale interpretazione dell'art. 30 Cost. non può condurre a ritenere che al legislatore sia stato rimesso il potere di prevedere l'accertamento della verità biologica all'esito di valutazioni di opportunità effettuate in astratto e preventivamente. Non si può negare, infatti, la rilevanza del legame genetico sotto il profilo dell'identità personale la cui tutela rientra nell'ambito dei diritti fondamentali della persona riconosciuti dalla Costituzione. La stessa Corte costituzionale, in diverse pronunce, ha ritenuto che il principio del favor veritatis non si pone in contrasto con quello del favor minoris in quanto, al contrario, «la verità biologica della procreazione» costituisce una componente essenziale dell'interesse del minore medesimo traducendosi nell'esigenza di garanzia del diritto alla propria identità e «all'affermazione di un rapporto di filiazione veridico» (Corte cost. nn. 322/2011; 216/1997; 112/1997). Inoltre, il legislatore con la riforma del diritto di famiglia (l. n. 219/2012 e d.lgs. n. 154/2013) ha superato la tradizionale impostazione che riconosceva la preminenza del favor legitimitatis equiparando la filiazione “naturale” a quella “legittima” (Corte cost. n. 170/1991).

Secondo la Cassazione, è alla luce di questa evoluzione giurisprudenziale e normativa che deve essere letto l'art. 30, comma 3 e 4, Cost..

Solo il minore può decidere se mantenere il cognome del padre legale. Infine, i Giudici di legittimità ritengono che la Corte territoriale abbia correttamente negato al padre legale la legittimazione a richiedere la conservazione del proprio cognome da parte del minore a seguito dell'annotazione della sentenza di disconoscimento nell'atto di nascita. Solo il minore, infatti, può prendere una decisione in tal senso in considerazione della natura personalissima del diritto al nome.

La Suprema Corte rigetta, quindi, il ricorso.

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