La mancata celebrazione del matrimonio in imminente pericolo di vita può comportare il risarcimento dei danni

Emanuela Ravot
27 Giugno 2017

Il Tribunale di Lecco si pronuncia sulle conseguenze derivanti dall'illegittimo diniego di celebrazione di matrimonio nelle circostanze in cui trova applicazione l'art. 101 c.c..
Massima

Quando la mancata celebrazione di un matrimonio in imminente pericolo di vita di uno degli sposi sia da ascrivere ad un contegno non legittimo del personale preposto all'ufficio di stato civile, in quanto improntato ad una colposamente non corretta interpretazione dell'art. 101 c.c., l'amministrazione comunale va condannata a risarcire i danni ingiusti derivanti da tale comportamento negligente (nella fattispecie, i danni subiti per perdita della pensione di reversibilità).

Il caso

La vicenda sottesa alla pronuncia in esame ha ad oggetto la richiesta di unirsi in matrimonio civile rivolta all'ufficio di un amministrazione comunale, da parte di una coppia, e precisamente da una donna, già convivente more uxorio con il partner e da un uomoaffetto da una patologia cardiaca che, a seguito di complicanze intervenute dopo un'operazione chirurgica, era ricoverato nel reparto di terapia intensiva cardiovascolare presso il locale ospedale. In un contesto di sopravvenuto grave stato fisico, emergeva la determinazione della coppia di contrarre il matrimonio con urgenza per l'”imminente pericolo di vita” di uno degli sposi, a norma dell'art. 101 c.c., in base a quanto previsto dall'ordinamento giuridico.

Scorrendo i fatti prospettati nella sentenza, si rileva come fossero stati all'uopo inviati al comune le copie dei documenti di identità dei richiedenti e di quattro testimoni, trattandosi di nozze fuori della casa comunale (art. 110 c.c.), nonché una certificazione medica attestante le condizioni di salute dello sposo, secondo quanto sollecitato dagli addetti all'ufficio competente, richiesta diretta a conoscere la gravità delle condizioni di salute dell'uomo e il reparto ove recarsi per la celebrazione. Nonostante la documentazione inviata, l'ufficio preposto, aveva a interpellare nuovamente gli sposi, a distanza di qualche ora dalla precedente comunicazione, insistendo per la riscontrata mancanza, a loro dire, nella documentazione medica ricevuta dall'ospedale, di espressa indicazione del “pericolo di morte imminente” dello sposo, in difetto della quale il comune, nella persona del segretario, non avrebbe potuto recarsi nella struttura sanitaria a celebrare il matrimonio. Nel frattempo, durante l'espletamento delle ulteriori richieste da ultimo formulate, le condizioni cliniche dell'uomo peggioravano, essendo il medesimo entrato in stato di coma ed ormai incapace di intendere e volere, sino alla morte sopravvenuta poco dopo.

Così tristemente conclusasi la vicenda, la donna evoca in giudizio l'amministrazione comunale per chiedere l'accertamento dell'illegittimo rifiuto alla celebrazione dell'unione matrimoniale e la condanna della medesima al risarcimento dei danni patiti, sia sotto il profilo personale e morale per non essersi potuta unire in matrimonio con il proprio compagno, padre dei propri figli, sia sotto il profilo patrimoniale per perdita della pensione di reversibilità del mancato sposo.

Il giudice, ritenendo in parte fondata la domanda, a seguito della ricostruzione dei fatti operata dall'attrice e accertata in base alla documentazione prodotta, esaustiva per l'espletamento dell'istruttoria della causa sottoposta al suo esame, dichiara l'illegittimità, ai sensi dell'art. 101 c.c., del rifiuto da parte dell'amministrazione comunale di celebrare il matrimonio in imminente pericolo di vita tra i nubendi e la condanna al risarcimento dei danni per la mancata corresponsione della pensione di reversibilità, nella somma quantificata e attualizzata secondo i parametri indicati nella sentenza, oltre agli interessi e alle spese di lite.

La questione

La questione in esame attiene specificamente all'analisi del dato normativo fornito dall'art. 101 c.c. e alle conseguenze derivanti dall'illegittimo diniego di celebrazione di matrimonio, nelle circostanze in cui l'articolo trova applicazione. La disposizione citata prevede infatti che, nel caso di imminente pericolo di vita di uno degli sposi, l'ufficiale dello stato civile del luogo può procedere alla celebrazione senza formalità, purché gli sposi prima giurino che non esistono tra loro impedimenti non suscettibili di dispensa; egli dichiara nell'atto di matrimonio “il modo con cui ha accertato l'imminente pericolo di vita”.

Le soluzione giuridiche

Come noto, la disposizione in esame, inserita nella sezione II («Delle formalità preliminari del matrimonio») del capo III («Del matrimonio celebrato davanti all'ufficiale dello stato civile») nel Titolo VI relativo al matrimonio, consente all'ufficiale di stato civile, innanzi alla circostanza sopra menzionata di imminente pericolo di vita di uno degli sposi, di omettere le fasi del sub procedimento preliminare alla celebrazione delle nozze, ovvero la fase della pubblicazione in luogo del giuramento dei nubendi circa l'insussistenza di impedimenti tra loro non suscettibili di dispensa. Per motivi di necessità e urgenza, si deroga pertanto all'ordinaria disciplina sulla competenza dell'ufficiale di stato civile, potendo il matrimonio essere celebrato dall'ufficiale del luogo in cui gli sposi si trovano, anche in via provvisoria o occasionalmente.

Il comma 2 della norma precisa che l'ufficiale medesimo deve enunciare nell'atto di matrimonio il modo in cui ha accertato il pericolo. Come si rileva nella sentenza in commento, l'insussistenza del pericolo di vita, quand'anche falsamente attestata, non comporta invalidità del matrimonio, ma mera irregolarità della celebrazione, con applicazione delle sanzioni di cui agli artt. 134 e 138 c.c., per omissione di pubblicazione. In proposito, si è osservato che il matrimonio celebrato a norma dell'art. 101 c.c., senza che sussista il predetto imminente pericolo di vita di uno degli sposi, è valido, salvo che non sia dichiarato nullo per una delle cause previste dalla legge(cfr. Cass., 24 gennaio 1967, n. 216). In fattispecie differente, si è evidenziato come risulti fondamentale il consenso delle parti (Cass., 20 giugno 2016, n. 15343, per una ipotesi di matrimonio celebrato all'estero, in forma telematica); anche considerata l'appartenenza dell'istituto del matrimonio, per sua natura, all'ordine dei rapporti interpersonali e pertanto l'importanza attribuita alla volontà di contrarre del nubendo che deve incontrarsi con la stessa volontà dell'altro nubendo, possibile se percepibile per il tramite della sua manifestazione esterna. Nella giurisprudenza di merito, si è altresì affermato, in tema di opposizioni al matrimonio di cui agli artt. 102 c.c. e ss., che il sistema relativo alle medesime attiene soltanto alla presenza di cause ostative e non di vizi formali derivanti da violazione delle norme di cui agli artt. 97-101 c.c., vizi che non possono incidere sulla validità del matrimonio (Trib. Roma, 4 giugno 1980, in Temi Rom., 1983, 126).

Il nostro ordinamento prevede, tra l'altro, nell'ipotesi in cui la situazione di imminente pericolo si verifichi a bordo di una nave o di un aeromobile in navigazione o comunque quando sia impossibile l'intervento della competente autorità della Repubblica o di quella consolare all'estero, che il matrimonio possa essere celebrato dal comandante: così dispongono gli artt. 204 e 834 cod. nav., con specifico riferimento alla celebrazione del matrimonio «nel caso e con le forme di cui all'art. 101 c.c.». L'atto di matrimonio, compilato dal comandante, deve essere annotato sul giornale di bordo e consegnato, insieme ad un estratto dal giornale, all'autorità portuale o aeroportuale al primo approdo o atterraggio, se avviene in Italia, ovvero all'autorità diplomatica o consolare, se avviene all'estero, affinché l'ufficiale dello stato civile del comune di residenza degli sposi possa procedere alla trascrizione dell'atto o dei processi verbali relativi a lui trasmessi (art. 65, d.P.R., 3 novembre 2000, n. 396, ma sul punto si v. infra).

Nella sentenza in esame, il giudice del Tribunale di Lecco si sofferma sulla documentazione richiesta dalla legge nei casi in questione ed, in particolare, su quanto previsto dall'ordinamento per la celebrazione del matrimonio in ipotesi di imminente pericolo di vita di uno dei nubendi, analizzando l'art. 101 c.c. e le norme correlate. L'ufficiale di stato civile, allertato dell'urgenza ed attivato per la celebrazione senza formalità, dovrà verificare l'imminenza del pericolo di vita, del quale pericolo dovrà enunciare il modo in cui avrà effettuato l'accertamento. Secondo l'interpretazione fornita anche nella pronuncia in commento, potrà sia consultare la documentazione medica, se facilmente intellegibile, sia acquisire informazioni dai medici, sia procedere per il tramite della diretta constatazione dello stato del nubendo. In ipotesi di falsa attestazione del pericolo de quo, il matrimonio rimane valido e l'irregolarità della celebrazione sarà sanzionata dagli artt. 134 e 138 c.c., di cui sopra (si v. la giurisprudenza citata). Potrebbe altresì capitare l'ipotesi prevista dall'art. 112 c.c.: l'ufficiale di stato civile, non convinto dell'esistenza del pericolo di vita, rifiuta la celebrazione, con conseguente necessità di certificarne i motivi in base ai quali egli ha ritenuto di disattendere la richiesta rivoltagli, in applicazione della disposizione normativa indicata; contro il certificato, che ha funzione di accertamento del rifiuto, i nubendi possono proporre ricorso al Tribunale (art. 112 cit., comma 3).

Sulla base dei fatti prospettati, secondo l'interpretazione delle norme fornita dal giudicante nel caso di specie, si osserva, nella sentenza, come l'ufficiale di stato civile e il segretario comunale, in possesso, oltre che dei documenti di identità necessari, anche di una attestazione medica della struttura sanitaria competente ove si indicava il ricovero del paziente in “prognosi riservata”, avrebbero dovuto recarsi prontamente presso il reparto ospedaliero; e ciò senza attendere ulteriori chiarimenti di carattere medico, e ritardare pertanto la celebrazione, compromessa poi a fronte del peggioramento e della definitiva perdita di coscienza del nubendo.

Anche l'argomentazione difensiva sviluppata dal comune, nel costituirsi in giudizio e resistere alla domanda attorea, fondata sull'affermazione della legittimità dell'operato del proprio personale, privo della competenza medica necessaria per capire se “prognosi riservata” equivalga verosimilmente a “imminente pericolo di vita”, requisito specificamente richiesto dall'art. 101 c.c., risulta, a parere del giudicante, poco riferibile alla fattispecie in esame. La circostanza che l'urgenza fosse stata palesata dagli sposi e segnalata all'ufficio comunale per il tramite della documentazione della struttura sanitaria di ricovero del paziente, con l'indicazione predetta di “prognosi riservata”, manifestava in se stessa, secondo il giudice, una situazione critica, per la difficoltà di individuare, in modo attendibile, i tempi di guarigione del paziente medesimo. In proposito, nella pronuncia del Tribunale di Lecco è presente il riferimento ai formulari dello stato civile, approntati dal ministero. Si tratta, in particolare, della formula n. 119 del formulario emanato dal Ministero dell'Interno (d.m. 5 aprile 2002, di approvazione delle formule per la redazione degli atti dello stato civile nel periodo antecedente l'informatizzazione degli archivi dello stato civile). Già ad una prima lettura della formula stessa, in relazione a quanto attinente alla richiesta di indicazione del modo con cui l'accertamento dell'imminente pericolo di vita è stato effettuato, viene in evidenza la possibilità diprodurre e/o acquisire e/o visionare documenti”, di cui sono prescritti la necessaria specificazione, nonchè, una volta vistati, gli inserimenti nel volume degli allegati all'apposito registro; con questo, pertanto, non richiedendo il formulario medesimo, inteso quale espressione di schemi rigorosi burocratici da seguire da parte del personale degli uffici comunali, una preventiva acquisizione di dichiarazioni medico-cliniche; circostanza questa che viene rilevata dal giudice, nel caso di specie.

Si tratta, in proposito, di una verifica che ha riguardo all'imminenza del pericolo di vita; in argomento, si nota come l'accertamento della capacità di agire, non spettante al medico, venga rimesso all'autorità giudiziaria, accertamento i cui effetti sono regolati dall'art. 421 c.c., a norma del quale l'interdizione e l'inabilitazione producono i loro effetti dal giorno della pubblicazione della sentenza, salvo il caso previsto dall'art. 416 c.c., per interdizione e inabilitazione di minore non emancipato nell'ultimo anno della sua minore età.

Alla luce delle considerazioni svolte in motivazione, il Tribunale condanna il comune a risarcire i danni ingiusti derivati dal comportamento non legittimo dei funzionari preposti, per diniego di celebrazione del matrimonio richiesto nell'imminenza del pericolo di vita di uno degli sposi, comportamento basato su una non corretta interpretazione della disposizione normativa di cui all'art. 101 c.c..

In particolare, nella fattispecie esaminata, il danno viene individuato nel mancato godimento delle somme derivanti da pensione indiretta o di reversibilità, pensione di regola spettante al coniuge superstite e ai figli, minorenni alla data della morte dei genitori. Dette somme vengono calcolate, per l'ipotesi in oggetto, in base alla normativa di settore, a seguito di una consulenza tecnica di ufficio, oltre che attualizzate, con tasso annuale temperato in via equitativa, in quanto importi incassati anticipatamente in un'unica soluzione, rispetto alle varie scadenze mensili degli ordinari ratei pensionistici.

Si rileva come, nella sentenza de quo, non venga invece liquidato il risarcimento del danno morale patito, sotto il profilo emotivo, psicologico, personale, a seguito del diniego di matrimonio, dall'attrice secondo gli assunti formulati nella propria richiesta in giudizio, in quanto richiesta, a parere del giudicante, solo sommariamente argomentata, oltre che tardivamente proposta in causa, con indicazione generica di “un profondo stato depressivo”, di un cambiamento nel proprio stile di vita e di “frequenti attacchi di panico”. La domanda risulta, per il giudice, non supportata da idonei mezzi di prova e documentazione medica atta a fornire il collegamento tra l'asserita sindrome depressiva e l'impossibilità di convolare a nozze con il compagno di vita e padre dei suoi figli, depressione ragionevolmente determinata invece dalla generale perdita del proprio caro, in un contesto delineato di convivenza more uxorio, protrattasi per vent'anni, in cui eventuali circostanze di fatto, da assumere in istruttoria, avrebbero potuto contribuire alla dimostrazione, da parte dell'attrice, di aver subito un danno morale per non essersi potuta sposare.

Osservazioni

Frequente è il generale riferimento alla recente evoluzione legislativa in materia familiare, per gli effetti e le conseguenze in ordine alle varie tematiche affrontate in tale ambito, nonché per le applicazioni che la giurisprudenza fornisce delle norme relative. Anche in questo caso, è lecito chiedersi se l'argomento trattato nel provvedimento del Tribunale di Lecco, possa considerarsi interessato dalle novità introdotte.

L'intervenuta l., 20 maggio 2016, n. 76, di regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e di disciplina delle convivenze, riguardante, oltre che le unioni civili, i contratti di convivenza, tra persone eterosessuali e omosessuali, offre spunti interessanti in questa direzione. L'art. 1, comma 36, l. n. 76/2016, definisce la convivenza di fatto quella «tra due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile», per l'accertamento della quale «si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica» (comma 37). Al riguardo, i diritti ex lege prescindono da qualsivoglia dichiarazione e registrazione nei registri anagrafici. Si pensi al diritto agli alimenti, in caso di cessazione della convivenza di fatto: il giudice può riconoscere al convivente il diritto di riceverli dall'altro convivente, per un periodo proporzionale alla durata della convivenza medesima, in presenza degli stessi presupposti e nella misura prevista dall'art. 438 c.c., venendosi così a determinare l'insorgenza automatica dell'obbligazione relativa, anche in capo a chi, convivendo, ha deciso di non assumere vincoli e obblighi (art. 1, comma 65, l.n.76/2016). È prevista altresì, nella legge, la facoltà di stipulare un vero e proprio “contratto di convivenza” (art. 1, comma 50, l.n.76/2016).

Questa disciplina, dettata legislativamente, incide su vari profili aventi rilevanza giuridica per i conviventi, riguardanti, ad esempio, i diritti della persona e riferiti agli stessi diritti spettanti al coniuge. È regolato, tra l'altro, il diritto al risarcimento del danno in caso di decesso del convivente, derivante da fatto illecito di un terzo, equiparando la convivenza di fatto al rapporto di coniugio ai fini del risarcimento del danno al superstite (art. 1, comma 49, l. n. 76/2016); e, al riguardo, già la giurisprudenza non aveva mancato di osservare come il diritto al risarcimento del danno conseguente alla morte di una persona in favore del convivente more uxorio di questa, vada riconosciuto a condizione che venga fornita, con qualsiasi mezzo, la prova dell'esistenza e della durata di una comunanza di vita e di affetti e di una vicendevole assistenza morale e materiale, cioè di una relazione di convivenza avente le stesse caratteristiche di quelle dal legislatore ritenute proprie del vincolo coniugale (cfr. Cass., 16 giugno 2014, n. 13654). È mancante, invece, la disciplina dei diritti successori, differentemente da quanto previsto in tema di unioni civili; nessun diritto spetta ex lege al convivente in caso di morte del partner.

In questo quadro generale, sommariamente descritto, si inserisce, a latere, la decisione annotata. L'amministrazione comunale, nella fattispecie esaminata, viene condannata al risarcimento del danno per la mancata corresponsione al superstite della pensione di reversibilità del convivente, una volta accertata l'illegittimità del rifiuto alla celebrazione del matrimonio in extremis, ritenendosi sussistenti i requisiti prescritti dalla legge in circostanze quali quelle specificamente individuate nella vicenda prospettata. Per quanto riguarda il risarcimento del danno morale, contribuisce a fornire una lettura ragionata della sentenza il prevalente orientamento giurisprudenziale, sviluppato intorno alla nozione di danno non patrimoniale e corroborato dalle pronunce di legittimità, anche recenti (tra queste, si v. Cass.,10 gennaio 2017, n. 238, che ribadisce quanto affermato, in ordine all'unitarietà della nozione di danno non patrimoniale e alla liquidazione del danno da perdita di persona cara, da Cass., S.U., 11 novembre 2008, n. 26972, in Danno e Resp., 2009, 1, 19, ove altresì il riferimento alla prova del danno che può aversi anche per presunzioni semplici, fermo restando però l'onere del danneggiato di fornire gli elementi di fatto dai quali desumere l'esistenza e l'entità del pregiudizio, trattandosi di danno-conseguenza che necessita, come tale, di specifica allegazione e prova; cfr. Cass., 8 maggio 2015, n. 9320; Cass. 17 dicembre 2015, n. 25351).

Per completezza espositiva, corre l'obbligo di segnalare, considerati i riflessi di carattere normativo sull'argomento trattato nella pronuncia, l'approvazione da parte del Consiglio dei ministri, nella seduta del 14 gennaio 2017 ed in esecuzione della delega in materia di unioni civili, dei tre decreti legislativi di attuazione dell'art. 1, comma 28, l., 20 maggio 2016, n. 76, quale atto conclusivo di un complesso percorso normativo. L'art. 1 della legge, che ha istituito l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli artt. 2 e 3 Cost. e reca, come si è detto, la disciplina delle convivenze di fatto, al comma 28 ha infatti delegato il Governo ad adottare i medesimi, entro sei mesi dall'entrata in vigore della stessa, nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi fissati. Tra i decreti legislativi approvati, oltre a quelli relativi alle disposizioni di modifica e riordino delle norme di diritto internazionale privato in materia e alle disposizioni di coordinamento in ambito penale, quel che in questa sede, per il tema trattato, occorre evidenziare è il decreto riguardante le disposizioni per l'adeguamento delle norme dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni alle previsioni della legge sulla regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso. In proposito, tra le norme medesime ivi contenute, è presente quella concernente la possibilità di celebrare, come per il matrimonio, anche l'unione civile in imminente pericolo di vita.

Pare opportuno premettere, considerato il collegamento dell'argomento al d.P.R. n. 396/2000, un breve cenno al d.P.R., 23 luglio 2016, n. 144. L'art. 10 ne disponeva l'applicazione fino all'entrata in vigore dei decreti legislativi previsti nell'art. 1, comma 28, l. n. 76/2016. Al proposito, emerge l'art. 2, riferito alle verifiche che, entro quindici giorni dalla presentazione della richiesta di unione civile, l'ufficiale dello stato civile deve effettuare, oltre alle acquisizioni d'ufficio di eventuali documenti necessari per provare l'inesistenza delle cause impeditive indicate nella legge; se è accertata l'insussistenza dei presupposti o la sussistenza di una causa impeditiva, egli ne dà a ciascuna delle parti, si legge, immediata comunicazione. In relazione all'argomento che ci occupa, si evidenzia in particolare l'art. 3, relativo allacostituzione dell'unione e la registrazione degli atti nell'archivio dello stato civile, il cui comma 7 prevede, nel caso di imminente pericolo di vita di una delle parti, che l'ufficiale dello stato civile riceva la dichiarazione di voler costituire un'unione civile anche in assenza di richiesta, previo giuramento delle parti stesse sulla sussistenza dei presupposti e sull'assenza di cause impeditive di cui all'art. 1, comma 4, l. 20 maggio 2016, n. 76. Sul punto, disponeva anche il d.m. 28 luglio 2016, emanato dal Ministero dell'Interno; in esso si delineava l'approvazione delle formule per gli adempimenti dello stato civile, di cui al d.P.C.M., 23 luglio 2016, n. 144, (Allegato«A» Formule per gli adempimenti degli ufficiali dello stato civile in materia di unioni civili tra persone dello stesso sesso), e specificamente la formula 8, Unione costituita in imminente pericolo di vita (art. 3, d.P.C.M., 23 luglio 2016, n. 144); prescrizioni analitiche riguardanti la possibilità di stipula dell'unione medesima in imminente pericolo di vita, in accostamento a quanto avviene per il matrimonio, sulla scorta di un generale progetto di adattamento del sistema dell'unione civile, connaturata sia pure da sue particolarità, all'istituto matrimoniale.

Il recente intervento normativo realizzato con l'emanazione del d.lgs., 19 gennaio 2017, n. 5, in vigore dall'11 febbraio 2017, modifica, tra gli altri, gli artt. 63, 65, 70, capo IV, d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396. In particolare nell'art. 65, sopra citato, al comma 1, viene inserito il riferimento all'unione civile costituita nell'imminente pericolo di vita di una delle parti, durante un viaggio marittimo o aereo, analogamente a quanto previsto per l'ipotesi di matrimonio celebrato in imminente pericolo di vita. L'art. 70-decies, di nuova introduzione, nel titolo inserito VIII-bis (Della richiesta e della costituzione dell'unione civile), disciplina la costituzione dell'unione civile, in ipotesi di imminente pericolo di vita di una delle parti: l'ufficiale di stato civile del luogo può procedere alla costituzione senza le verifiche di cui all'art.70-bis, comma 2, purché le parti prima giurino che non esistono tra loro impedimenti. Egli dichiara nell'atto di costituzione dell'unione il modo con cui ha accertato il pericolo e procede secondo le modalità di cui all'art. 70-novies, che riguarda la costituzione dell'unione civile fuori della casa comunale. L'art. 5, d.lgs. n. 5/2017 ha provveduto altresì ad apportare modifiche al R.d. 30 marzo 1942, n. 327 (codice della navigazione), ed in particolare, rispettivamente per l'ipotesi di comandante di nave marittima e di aeromobile, agli articoli, sopra citati: art. 204, ove nella rubrica dopo la parola «matrimonio» sono inserite «e unione civile» e al primo comma sono aggiunte, in fine le seguenti parole «e alla costituzione dell'unione civile nel caso di cui all'art. 65, d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, e con le forme dell'art. 70-decies del medesimo decreto»; e art. 834, comma 2, del quale anche, dopo le parole «atto di matrimonio» vengono inserite le seguenti: «e di costituzione dell'unione civile», in riferimento alle annotazioni, consegne dei relativi atti e processi verbali alle autorità competenti (di cui all'art. 836, anche esso modificato). Da ultimo, si osserva come i casi per cui si può procedere ai sensi dell'art. 70-decies riguardino, evidentemente, un pericolo nel ritardo che potrebbe pregiudicare la stessa realizzabilità dell'unione civile. Come già indicato, la disposizione rinvia per il procedimento alle modalità di cui all'art. 70-novies, relativo alla costituzione dell'unione civile fuori della casa comunale. Sembra quindi che ci si riferisca, per la costituzione stessa, alla necessità di trasferimento dell'ufficiale di stato civile e del segretario comunale, presso il luogo dove si trova la parte in imminente pericolo di vita, eventualità, si nota, non espressamente prevista per il matrimonio dall'art. 101 c.c..

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.