No al doppio cognome anche se il padre riconosce il figlio successivamente

Marta Rovacchi
27 Ottobre 2015

La questione dell'attribuzione del cognome nell'ipotesi del secondo riconoscimento ad opera del padre non ha subito, nell'evoluzione del quadro normativo, una sostanziale modifica, in quanto con il d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 è stato previsto che il figlio «può assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre».
Massima

La questione dell'attribuzione del cognome nell'ipotesi del secondo riconoscimento ad opera del padre non ha subito, nell'evoluzione del quadro normativo, una sostanziale modifica, in quanto con il d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 è stato previsto che il figlio «può assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre».

Il caso

A seguito del dissenso manifestato da una madre riguardo alla volontà da parte del padre di riconoscere la figlia minore, il Tribunale di Macerata, accogliendo il ricorso del padre, lo autorizzava al riconoscimento medesimo disponendo che la bimba assumesse il solo cognome paterno.

La madre adiva pertanto la Corte di Appello di Ancona avverso la predetta decisione, chiedendo che la bambina mantenesse il cognome della madre stessa, che per prima l'aveva riconosciuta, o, in alternativa, che il cognome paterno fosse aggiunto a quello materno.

Invero la Corte d'Appello respingeva il ricorso ritenendo che la scelta di attribuire alla minore il solo cognome paterno fosse stata adottata nell'interesse della minore, con riferimento alla insussistente attitudine identificatrice del cognome materno, tenuto conto della tenera età della figlia, nonché della implausibilità sociale del doppio cognome a fronte della maggiore plausibilità del solo patronimico.

Non si dava per vinta la madre che adiva, pertanto, la Corte di Cassazione che, con la sentenza in oggetto, affronta la questione in modo estremamente approfondito attraverso l'esame di diversi aspetti.

La questione

La Corte si è infatti trovata ad esaminare, da una parte, la relazione tra l'art. 262 c.c. e gli artt. 8 e 14 della CEDU, e dall'altra la legittimità o meno dell'imposizione ufficiosa del cognome paterno da parte del Giudice nel caso di riconoscimento successivo da parte del padre.

Infine, si è trattato di stabilire se l'attribuzione del patronimico, nel caso di specie, violasse o meno il valore costituzionale dell'eguaglianza tra uomo e donna, integrando, pertanto, una disparità di trattamento.

Le soluzioni giuridiche

L'analisi dei giudici della Suprema Corte parte dalla prospettazione della natura ufficiosa della scelta operata dal giudice di merito.

Secondo la ricorrente, infatti, quest'ultimo non avrebbe valutato adeguatamente l'interesse della minore.

A questo proposito la Cassazione, nel rilevare che i criteri di individuazione del cognome si pongono nell'esclusivo interesse del minore, ovvero della sua identità personale intesa come proiezione della sua personalità nel sociale, afferma anche che la scelta del Giudice non può essere condizionata né dal favor per il patronimico, né dall'esigenza di raggiungere un risultato equiparabile a quello delle regole che, in base a d.P.R. n. 396/2000, presiedono all'attribuzione del cognome al figlio legittimo o legittimato.

Ciò detto, osserva la Corte, la questione del cognome nel caso di minore riconosciuto successivamente dal padre non ha subito sostanziali modifiche, laddove si consideri che il d.lgs n. 154/2013 prevede che il figlio possa assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre.

La ratio della riforma che ha equiparato in figli, nati o meno nel matrimonio, è quella di garantire l'interesse del figlio a conservare il cognome originario se questo sia divenuto segno distintivo autonomo della sua personalità all'interno della società e della comunità in cui lo stesso è inserito.

Quindi, prescindendo da qualsivoglia automatismo, il compito del giudice sarà quello di individuare il best interest del figlio in relazione all'ambiente in cui questi è vissuto fino al momento del riconoscimento da parte del padre.

Nel fare ciò, osserva la Corte, il Giudice è dotato di ampio margine di discrezionalità.

L'esclusione del cognome materno, pertanto, non potrà essere disposta quando questo sia già elemento distintivo della personalità del minore nel contesto sociale, tanto che la sua eliminazione causerebbe un pregiudizio da ingiusta privazione.

Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto che, avendo la bambina solo 5 anni, non abbia ancora acquisito con il matronimico una definitiva e formata identità nei suoi rapporti sociali e personali, tanto da sconsigliare la scelta o l'aggiunta del cognome del padre.

Si premura infine la Corte di sottolineare un aspetto procedurale: l'ampia discrezionalità attribuita al giudice del merito nei termini sopra indicati, ovvero tenendo conto dell'esclusivo interesse del minore e della natura inviolabile del diritto al cognome, così come tutelato dall'art. 2 Cost., è incensurabile in Cassazione se adeguatamente motivata.

Osservazioni

La sentenza è molto interessante dal punto di vista ermeneutico in quanto interviene a chiarire alcuni punti rilevanti:

- il primo che precisa che la riforma della filiazione introdotta con il d. lgs. n. 154/2013 non ha toccato la questione del doppio cognome, vigendo, dunque, una ampia discrezionalità del giudice nell'attribuzione dello stesso;

- il secondo vincola comunque il potere del giudice al principio dell'interesse esclusivo del minore finalizzato alla promozione ed alla conservazione della sua identità personale quale diritto costituzionale;

- il terzo elimina, nella scelta del giudice, qualsiasi favoritismo nei confronti del patrominico;

- il quarto sancisce che il giudice non può togliere il cognome a una persona se questo rappresenta il segno distintivo della sua personalità all'interno della comunità in cui vive;

- il quinto ribadisce l'inammissibilità del ricorso in Cassazione di una tale decisione se adeguatamente motivata.

Ciò che lascia qualche perplessità in chi scrive, invece, è il merito della vicenda: ovvero, èlegittimo un dubbio circa il fatto che un minore, che ha vissuto 5 anni con il cognome materno, non sia davvero ancora con esso riconosciuto ed identificato sia da parte di sé stesso che nelle sue relazioni. Non solo: se la norma prevede che il figlio «può assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre», come mai nel caso di specie il Tribunale di Macerata non ha disposto il doppio cognome, proprio stante l'età della bambina che, seppur non grande, non era neppure infante?

Trattasi indubbiamente di un tema delicato di competenza di esperti psicologi dell'età evolutiva che sicuramente sarebbero in grado di avallare o smentire la tesi del giudice di merito.

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