Fecondazione eterologa: no all'impugnazione del riconoscimento proposta dal terzo

Carla Narducci
31 Gennaio 2017

La questione in esame ha per oggetto l'ammissibilità o meno dell'azione proposta dal terzo ad accertare la mancanza di veridicità del riconoscimento di figli nati a seguito di inseminazione eterologa con il consenso di entrambi i genitori.
Massima

É inammissibile l'azione di impugnazione di riconoscimento per difetto di veridicità, da parte di chiunque vi abbia interesse, nei confronti di figli nati a seguito di inseminazione artificiale eterologa. Nell'attuale contesto normativo, legittimare «chiunque vi abbia interesse» ad un'azione che ha il suo unico presupposto nella difformità tra la verità risultante dalla dichiarazione di riconoscimento e la verità sostanziale ed obiettiva della filiazione, comporterebbe la negazione della legittimità della pratica stessa e l'esposizione del figlio nato da fecondazione eterologa all'inesorabile caducazione del suo status.

Il caso

Tre fratelli chiedono al Tribunale di Monza di accertare il difetto di veridicità del riconoscimento, effettuato da un loro altro fratello in relazione a due figli nati a seguito di inseminazione eterologa con il consenso dello stesso. Il Tribunale dichiara ammissibile l'azione proposta dagli attori, sull'assunto che l'art. 263 c.c. estende la legittimazione all'azione di impugnazione del riconoscimento a «chiunque vi abbia interesse» e che l'interesse, nel caso in esame, era ravvisabile nei vantati diritti successori.

Propongono appello i due figli nati da inseminazione eterologa. La Corte d'appello di Milano, in riforma della sentenza del Tribunale, dichiara inammissibile l'azione.

La questione

La questione in esame ha per oggetto l'ammissibilità o meno dell'azione proposta dal terzo, ad accertare la mancanza di veridicità del riconoscimento di figli nati a seguito di inseminazione eterologa con il consenso di entrambi i genitori

Le soluzioni giuridiche

Il quadro normativo dell'intera materia delle azioni di stato risulta profondamente cambiato a seguito dell'entrata in vigore della l. n. 219/2012 e del d.lgs. n. 154/2013, con l'attribuzione a tutti i figli dello stesso stato giuridico, indipendentemente dalla nascita nel o fuori dal matrimonio. Le modalità di acquisizione dello status filiationis si differenziano, peraltro, in maniera evidente: acquisizione automatica quando esiste un legame matrimoniale tra i genitori (per presunzione di paternità), negli altri casi attraverso un atto volontario affidato agli interessati e cioè il riconoscimento (art. 250 c.c.) o, in difetto, attraverso un accertamento giudiziale (art. 269 c.c.).

Diverse sono le modifiche attuate. Gli artt. 233 c.c. (nascita del figlio prima dei 180 giorni dalla celebrazione del matrimonio) e 235 c.c. (disconoscimento del figlio concepito durante il matrimonio) sono stati abrogati. Nel capo III del titolo VII (Dello stato di figlio) del libro I del codice civile sono confluite le azioni di disconoscimento, di contestazione e di reclamo dello stato di figlio. L'art. 243-bis c.c. ha semplificato la disciplina normativa dell'azione di disconoscimento della paternità, sotto il profilo della legittimazione e della prova, stabilendo che l'azione può essere proposta dal marito, dalla madre e dal figlio (e non da terzi). Chi la esercita è ammesso a provare che non sussiste il rapporto di filiazione contestato. La sola dichiarazione della madre, come in passato, non esclude la paternità. Viceversa, nell'impugnazione per difetto di veridicità dello status di figlio nato fuori dal matrimonio, il comma 1 dell'art. 263 c.c. – non modificato dalla riforma sulla filiazione che ha interessato però la parte rimanente della norma – prevede che «il riconoscimento può essere impugnato per difetto di veridicità dall'autore del riconoscimento, da colui che è stato riconosciuto e da chiunque vi abbia interesse». Nelle due più importanti azioni di “demolizione” di uno status non veritiero, pertanto, la legittimazione all'azione è regolamentata in modo diverso: nel disconoscimento della paternità (per i figli matrimoniali) sono parti del processo soltanto la madre, il marito ed il figlio, mentre nell'impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento del figlio (non matrimoniale) è attribuita legittimazione anche a chiunque vi abbia interesse. L'art. 263 c.c. nella nuova formulazione prevede che l'azione per impugnare un riconoscimento, non corrispondente alla realtà, sia imprescrittibile solo per il figlio, mentre per tutti gli altri legittimati viene introdotto un termine di decadenza di cinque anni, che decorre dall'annotazione del riconoscimento sull'atto di nascita.

Prima della riforma, la giurisprudenza aveva evidenziato l'esigenza di superare l'imprescrittibilità dell'azione (prevista dall'art. 263 ultimo comma c.c. ora modificato), specie quando essa era rivolta a conseguire finalità patrimoniali piuttosto che ad affermare la verità della procreazione; ad esempio affermando che il figlio riconosciuto da decenni era giustificato nel non sottoporsi ad esame del d.n.a., quando detta indagine fosse stata richiesta per ragioni ereditarie da un parente del padre naturale deceduto (Trib. Bologna, 18 febbraio 2010); oppure negando la possibilità di impugnativa a colui che aveva effettuato il riconoscimento in mala fede, assimilando l'impugnazione ad una revoca, che la legge espressamente vieta (art. 256 c.c.) (Trib. Roma 17 ottobre 2012). Tale ultima decisione, richiamando le successive evoluzioni giurisprudenziali e normative sia di diritto interno che di diritto internazionale e comunitario, si pone in contrasto con l'orientamento fino a quel momento dominante, da ultimo affermato dalla Cassazione con sentenza n. 5886/1991, ove si affermava l'irrilevanza dello stato soggettivo di chi avesse effettuato il riconoscimento, per l'affermata prevalenza del principio del favor veritatis in ordine agli stati personali e familiari.

L'evoluzione giurisprudenziale e normativa intervenuta ha inciso inoltre, in maniera preponderante, sulla tematica del disconoscimento e dell'impugnativa del riconoscimento del figlio nato da procreazione di tipo eterologo. La l. n. 40/2004, pur enunciando il divieto di fecondazione eterologa, ha trasformato in norma, nel disposto dell'art. 9, comma 1, la soluzione interpretativa adottata in precedenza dalla giurisprudenza della Cassazione (Cass. 16 marzo 1999, n. 2315), che aveva escluso che il marito, che avesse preventivamente acconsentito alla pratica di fecondazione eterologa, potesse successivamente esercitare l'azione di disconoscimento della paternità.

La pronuncia in commento ha tenuto altresì conto, ai fini della decisione, della sentenza della Corte cost., 10 giugno 2014, n. 162, con la quale la stessa ha dichiarato l'incostituzionalità degli artt. 4, comma 3, 9, commi 1 e 3 (limitatamente alle parole «in violazione del divieto di cui all'articolo 4, comma 3») e 12, comma 1, l. n. 40/2004, nei quali era vietata e sanzionata la realizzazione di interventi di fecondazione eterologa. La Corte ha quindi riconosciuto il diritto ad accedere alle tecniche di procreazione eterologa, nei casi in cui la fecondazione omologa risulti inefficace o non praticabile a causa della sterilità o dell'infertilità assoluta ed irreversibile della coppia.

La Corte Costituzionale perviene alla conclusione che, una volta eliminate dai commi 1 e 3 dell'art. 9 l. n. 40/2004, a seguito dell'accoglimento delle sollevate questioni, le parole «in violazione del divieto di cui all'articolo 4, comma 3» risulta confermata «sia l'inammissibilità dell'azione di disconoscimento della paternità (il richiamo dell'art. 235 c.c. a seguito delle modifiche realizzate dagli artt. 17 e 106 d.lgs. n. 154/2013 deve ritenersi ora riferito all'art. 243-bis c.c.) e dell'impugnazione ex art. 263 c.c. (nel testo novellato dall'art. 28 d.lgs. n. 154/2013), sia che la nascita da PMA di tipo eterologo non dà luogo all'istituzione di relazioni giuridiche parentali tra il donatore di gameti ed il nato, essendo, quindi, regolamentati i principali profili dello stato giuridico di quest'ultimo».

Le considerazioni che precedono conducono pertanto a ritenere la proposizione dell'azione di disconoscimento di paternità per difetto di veridicità ex art. 263 c.c. da parte di «chiunque vi abbia interesse», in tema di fecondazione eterologa, incoerente se non in contrasto anche con i principi ispiratori della stessa l. n. 40/2004, quando afferma all'art. 1 che le disposizioni che seguono sono poste «al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dall'infertilità umana».

Sembra ormai che nell'evoluzione del diritto positivo e della sua interpretazione giurisprudenziale e dottrinaria, il dato formale del rapporto familiare, basato in precedenza sul legame meramente biologico, assuma sempre meno rilievo, valorizzando la famiglia quale primaria comunità ove si realizza e si sviluppa la personalità dell'individuo e si fonda la sua identità (cfr. Trib. Roma, 5 ottobre 2012). La preoccupazione di garantire la certezza giuridica dei rapporti familiari e di proteggere gli interessi dei minori risulta preponderante rispetto al principio del favor veritatis anche nei confronti di un'eventuale azione di disconoscimento di paternità esercitata da colui che è venuto a sapere solamente oltre un anno dopo la nascita del figlio di non esserne il padre (art. 244 c.c.).

La problematicità della disciplina normativa in tema di filiazione da procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, consentita dal partner, pertanto, evidenzia la necessità della tutela del principio di indisponibilità degli status nel rapporto di filiazione, principio sul quale sono suscettibili di incidere le varie possibilità di fatto oggi offerte dalle tecniche applicate alla procreazione. L'evoluzione dei processi scientifici e la liceità, nei limiti indicati, della fecondazione eterologa, portano a ritenere che la disciplina del disconoscimento di paternità e dell'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità debbano essere considerate su un piano paritario ai fini della tutela dello status di figlio, al fine di evitare una disparità di trattamento tra colui nato fuori dal matrimonio con tecnica di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo e colui nato in costanza di matrimonio con analoga tecnica.

In questa prospettiva, l'interesse ad agire attribuito a terzi in tema di fecondazione eterologa, secondo quanto statuito dalla Corte d'appello di Milano, non può trovare accoglimento se fondata sul difetto di veridicità. Ammettere, in tali casi, l'esperibilità dell'azione di disconoscimento di paternità andrebbe, infatti, a ledere le prerogative del figlio che, in tal caso, sarebbe per sempre privato della figura paterna, considerato che nessun rapporto potrebbe essere instaurato con il padre biologico.

Osservazioni

La sentenza in commento evidenzia in maniera articolata le incongruenze della normativa vigente anche dopo la l. n. 219/2012 ed il d.lgs. n. 154/2013 ed a seguito dell'intervento della Corte costituzionale con la sentenza n. 162/2014. Pur equiparando lo status filiationis dal punto di vista dell'uguaglianza e parità di diritti conseguenti, esistono differenze notevoli, nel nostro sistema normativo, allorché si affrontano problematiche relative al disconoscimento di paternità, per la filiazione nata all'interno del matrimonio o all'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità di figlio concepito al di fuori dello stesso; tanto più se la procreazione è avvenuta a seguito di fecondazione eterologa.

Sulla base dell'orientamento della Corte d'appello di Milano, si dovrebbe pervenire ad una revisione del sistema delle impugnazioni, al fine di impedire a «chiunque vi abbia interesse» una legittimazione ad agire, nei confronti di una filiazione “naturale”. Si deve, infatti, giungere ad affermare una tutela degli interessi preminenti di natura morale e materiale dei figli, con una attenuazione del principio della prevalenza della verità biologica. La soluzione è del tutto condivisibile: nella fecondazione assistita di tipo eterologo, il rapporto di filiazione con colui che geneticamente non è padre si instaura a seguito della manifestazione del consenso all'intervento da parte della moglie, ovvero della compagna; sarebbe incoerente ammettere che soggetti terzi possano impugnare il riconoscimento per far caducare lo stato in nome di un favor veritatis che non può certo prevalere sul favor filiationis. I terzi, infatti, si troverebbero ad esercitare un diritto sostanzialmente potestativo, volto a eliminare uno status voluto dal soggetto che provvede al riconoscimento e vissuto dal soggetto riconosciuto come parte integrante della propria personalità.

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