Il convivente non può chiedere gli alimenti nel giudizio ex art. 337-bis c.c.

31 Agosto 2017

Il Tribunale di Milano stabilisce che è inammissibile la domanda di assegno alimentare formulata dal convivente all'interno del giudizio ex art. 337-bis c.c..
Massima

È inammissibile la domanda di assegno alimentare, ai sensi dell'art. 1, comma 65, l. n. 76/2016, formulata da uno dei due genitori all'interno di un giudizio ex art. 337-bis c.c.. Tra la domanda alimentare - da formularsi secondo le regole del giudizio ordinario, ex art. 163 ss.c.p.c..- e quella ex art. 337-bis c.c. – sottoposta al regime dei procedimenti in camera di consiglio, ex art. 38, disp. att., c.c. - non sussiste un vincolo di connessione forte tale da permettere l'applicazione dell'art. 40, comma 3, c.p.c..

Il caso

Tizia deposita ricorso al Tribunale di Milano con cui chiede di pronunciarsi cumulativamente sulle domande inerenti l'esercizio della responsabilità genitoriale, ai sensi dell'art. 337-bis c.c., e sulla domanda di assegno alimentare per sé, ai sensi dell'art. 1, comma 65, l. n. 76/2016. Nel proprio ricorso Tizia non indica la data in cui sarebbe cessata la convivenza con Caio, ma chiede che il Tribunale si pronunzi, anche prima dell'instaurazione del contraddittorio, circa l'ammissibilità, nel giudizio ex art. 337-bis c.c., della domanda alimentare. Il Tribunale, con decreto emesso inaudita altera parte, dichiara l'inammissibilità della domanda di alimenti e dispone la prosecuzione del giudizio per le questioni genitoriali.

La questione

Nel provvedimento in commento, il Tribunale di Milano affronta, per la prima volta, tre questioni: a) su istanza della parte, se la domanda alimentare possa essere promossa nel giudizio avente ad oggetto le questioni “genitoriali”, così da poter trattarsi nel simultaneus processus domande sottoposte a riti differenti tra di loro connesse; b) ex officio, se lo stato di bisogno, che giustifica la domanda alimentare, debba necessariamente sussistere al momento della cessazione della convivenza e in dipendenza da essa; c) sempre ex officio, se la pretesa alimentare possa essere avanzata anche per le convivenze cessate prima dell'entrata in vigore della legge.

Le soluzioni giuridiche

Con ineccepibile motivazione il Tribunale di Milano ha dichiarato l'inammissibilità della domanda alimentare secondo il seguente percorso logico argomentativo:

  • la domanda di assegno alimentare ex art. 1, comma 65, l. n. 76/2016 rientra nell'ambito delle controversie regolate «dalle norme di diritto sostanziale di cui agli artt. 433 ss. c.c. e dalla norme processuali di cui agli art. 163 ss. c.p.c.» mentre «la controversia avente ad oggetto il conflitto genitoriale in caso di figli nati fuori dal matrimonio è regolata dalle norme di diritto sostanziale di cui agli artt. 337-bis ss. c.c. e dalle norme di diritto processuale di cu all'art. 38, disp. att., c.c.»;
  • le domande da trattarsi con differenti riti (quello ordinario la domanda alimentare, quello speciale del procedimento in camera di consiglio la domanda “genitoriale”) possono essere cumulate all'interno del medesimo giudizio, con applicazione delle norme del giudizio ordinario, solo nelle ipotesi di connessione qualificate, ai sensi dell'art. 40 c.p.c.;
  • applicando i principi espressi dalla giurisprudenza in materia di separazione e divorzio (Cass., 24 dicembre 2014, n. 27386; Cass., 8 settembre 2014, n. 18870; Cass., 29 gennaio 2010, n. 2155), per il Tribunale, la sottoposizione delle due domande a differenti riti, ne impedisce la trattazione cumulata, vertendosi al di fuori delle ipotesi di cui agli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c. che a sua volta giustificherebbe il simultaneus processus ex art. 40 c.p.c.; peraltro il Tribunale correttamente ha osservato che l'esigenza di «consentire al Giudice del conflitto genitoriale di pervenire velocemente a misure regolative definitive» verrebbe frustrata nell'ipotesi di trattazione simultanea della domanda “genitoriale” e di quella “alimentare”, dovendosi in quel caso - si aggiunge - applicare il rito ordinario con notevole allungamento dei tempi, soprattutto ove si dovesse procedere anche all'istruzione, presumibilmente più complessa, della domanda alimentare.

Con la decisione in commento, poi, il Tribunale solleva ex officio la «questione relativa alla ammissibilità della domanda per difetto di diritto d'azione».

Sin dall'entrata in vigore della l. n. 76/2016 l'ambigua formulazione del comma 65 aveva indotto i primi commentatori a chiedersi se sussistesse o meno un collegamento, quantomeno sotto il profilo temporale, tra stato di bisogno e cessazione della convivenza. In particolare ci si chiedeva se lo stato di bisogno, ragione costitutiva della pretesa alimentare, dovesse insorgere in dipendenza della cessazione della convivenza oppure no. Il Tribunale di Milano propende per la soluzione affermativa, considerato che «il diritto alimentare, infatti, nella convivenza di mero fatto sorge nel momento in cui si verifica lo stato di bisogno e coincide, dunque, con la cessazione del legame».

Con la decisione de qua il Tribunale, a scanso di equivoci, chiarisce altresì che la domanda di alimenti potrà essere avanzata solo ed esclusivamente per le convivenze cessate dopo l'entrata in vigore della legge, giacchè «se la convivenza ha avuto termine prima del 5 giugno 2016, un diritto sostanziale di alimenti nemmeno è previsto dalle legge vigente ratione temporis».

Osservazioni

Il provvedimento in commento è pregevole perché fissa alcuni punti fermi in merito all'ampia discussione che si era aperta all'entrata in vigore della l. n. 76/2016. Come noto, infatti, il cambiamento radicale tra il testo approdato alla Camera (che prevedeva per il convivente il diritto all'assegno di mantenimento ai sensi dell'art. 156 c.c.) e quello poi approvato (che ha introdotto il diverso assegno alimentare, ex art. 433 c.p.c.) aveva fatto sorgere più di un dubbio in merito ai confini, sostanziali e processuali, del nuovo istituto.

Le risposte date dal Tribunale di Milano sono più che condivisibili. Nell'attuale impianto normativo, infatti, la trattazione cumulata della domanda alimentare e di quelle “genitoriali” non solo non è tecnicamente possibile, ostandovi l'art. 40 c.p.c., ma, come correttamente osservato, ove ammessa, si risolverebbe nella produzione di un ingiustificato ritardo nell'individuazione del regime regolativo della responsabilità genitoriale.

L'unico dubbio che potrebbe porsi è quella del modello decisorio applicato dal Tribunale che ha deciso, nel caso in questione, prima dell'instaurazione del contraddittorio, prescindendo dunque dall'eccezione della parte contro cui la domanda è stata proposta. Nel caso de quo, però, è stata la stessa parte ricorrente a sollevare l'eccezione, chiedendo appunto al Giudice di pronunziarsi immediatamente sull'ammissibilità della domanda alimentare nell'ambito del giudizio ex art. 337-bis c.c., superandosi così la questione del regime della rilevabilità (su istanza di parte o d'ufficio) dell'eccezione.

A parere di chi scrive, poi, vi è un altro elemento che impedisce la trattazione simultanea delle due domande: il profilo soggettivo. L'art. 1, comma 65, l. n. 76/2016, infatti, si compone di due parti: nella prima si riconosce il diritto del convivente all'assegno alimentare, da porsi a carico dell'altro, in caso di cessazione della convivenza per «un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell'art. 438, comma 2, c.c.». Nella seconda si precisa che «ai fini della determinazione dell'ordine degli obbligati..... l'obbligo alimentare di cui al presente comma è adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle». L'inserimento dell'inciso «di cui al presente comma» comporta che l'obbligo alimentare in capo al convivente è distinto (perché lo stato di bisogno deve sussistere al momento della cessazione della convivenza e perché l'assegno alimentare ha durata limitata nel tempo) da quello spettante agli altri parenti indicati nell'art. 433 c.c. ma non è insensibile alle vicende che riguardano quest'ultimo. L'ex convivente è sì obbligato, per un periodo di tempo limitato, alla prestazione alimentare ma solo dopo il coniuge (ove si ammettesse che la libertà di stato non sia requisito costitutivo della convivenza di fatto ex comma 36, cfr. A. Simeone, La burocrazia ucciderà la Cirinnà?, www.ilFamiliarista.it) i figli, i genitori, i generi, le nuore e le suocere. Di certo si potrà discutere se il coniuge e i suoceri possano essere considerati ancora obbligati dopo che l'alimentando ha instaurato una convivenza more uxorio, seppure poi cessata, ma resta invece indubbio che figli, genitori, generi e nuore siano tenuti alla prestazione alimentare con preferenza rispetto al convivente, non incidendo sul loro rapporto con l'alimentando, la presenza di un (ormai ex) convivente.

Tutto ciò, sotto il profilo processuale, comporta l'impossibilità di una trattazione simultanea della domanda di alimenti e di quelle “genitoriali” che, altrimenti, presupporrebbe l'intervento nel giudizio di una serie infinita di soggetti, con compromissione dell'esigenza di fornire, celermente, la regolamentazione definitiva sulle questioni che riguardano i figli minori.

Altro è diverso problema è quello dei rapporti tra il giudizio “alimentare” e quello “genitoriale”. È infatti indubbio che il provvedimento del primo giudizio necessariamente verrà influenzato dal provvedimento emesso nel secondo giudizio: l'eventuale assegnazione della casa familiare al convivente debole (che sia contemporaneamente collocatario della prole) e il riconoscimento di un assegno perequativo (destinato a soddisfare le esigenze del mènage domestico, con ripercussioni favorevoli al convivente economicamente debole) infatti potrebbero escludere lo stato di bisogno del convivente o, comunque sia, ridurlo così da doversi ridurre anche l'eventuale ammontare dell'assegno alimentare. È dunque probabile che venga esplorata la possibilità di sospendere il giudizio ex art. 433 c.p.c./art. 1, comma 65, l. n. 76/2016, in attesa della definizione del giudizio ex art. 337-bis c.c./38, disp. att., c.c..

Particolarmente interessante, e pienamente condivisibile, è la delineazione dei requisiti essenziali della domanda alimentare: lo stato di bisogno che causa l'intervento (invero sussidiario, secondo l'ordine di cui all'art. 433 c.c.) deve essere connesso alla cessazione della convivenza e dunque sussistere in quel momento.

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