Promessa di matrimonioFonte: Cod. Civ. Articolo 79
18 Giugno 2015
Inquadramento
La promessa di matrimonio, disciplinata dagli artt. 79, 80 e 81 c.c., consiste nella dichiarazione non vincolante di voler contrarre matrimonio. Essa può essere espressa o tacita, bilaterale - e, in tal caso, si identifica nel c.d. fidanzamento ufficiale qualora sia resa pubblica nel contesto sociale di riferimento - oppure unilaterale. La promessa bilaterale si distingue altresì in semplice o solenne; quest'ultima, al ricorrere di determinati requisiti (vicendevolezza, capacità di agire dei promittenti, atto pubblico o scrittura privata o richiesta di pubblicazioni di matrimonio) è produttiva di una situazione di affidamento e fonte di responsabilità risarcitoria (art. 81 c.c.), mentre la promessa semplice, non soggetta ad alcun requisito di forma o di capacità dei promittenti, non produce alcun effetto giuridico diretto. La restituzione dei doni, prevista dall'art. 80 c.c., prescinde dalla qualifica della promessa di matrimonio ed è conseguenza della mancata celebrazione del matrimonio (Cass., sez. I, 2 maggio 1983, n. 3015).
Il carattere non vincolante della promessa di matrimonio è espressione del più ampio principio di ordine pubblico della libertà matrimoniale, consacrato negli artt. 2 e 29 Cost.; la libertà matrimoniale trova riconoscimento anche nelle norme dei trattati internazionali ed in particolare nell'art. 12 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (l. 4 agosto 1955, n. 848) e nell'art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (art. II-69 Cost. Europea). Se, per qualunque motivo, il matrimonio non è stato contratto, il promittente può domandare la restituzione dei “doni”, o c.d. doni - rectius, donazioni - prenuziali (art. 81 c.c.). La norma è mutuata dal costume che intende eliminare non tanto l'attribuzione patrimoniale quanto i segni di un rapporto rimasto incompiuto (Cass. 8 febbraio 1994, n. 1260). Le donazioni prenuziali si differenziano dalle donazioni obnuziali, previste dall'art. 785 c.c. in quanto le prime sono fatte “a causa della promessa” mentre le seconde sono le donazioni fatte “in riguardo di un determinato futuro matrimonio”, ovverosia al fine di contribuire ad un futuro menage familiare. La distinzione è importante poiché le donazioni prenuziali sono immediatamente efficaci e conservano tale efficacia se non se ne chieda la tempestiva restituzione, mentre le donazioni obnuziali sono sospensivamente condizionate alla celebrazione del matrimonio. Vanno distinti dai doni fatti “a causa del matrimonio” e quindi non soggiaciono alla disciplina di cui all'art. 80 c.c. anche: 1) i doni di immediato o rapido consumo (vestiario, alimentari, etc.) e che, al momento della domanda di restituzione, non esistono più; 2) i c.d. doni o liberalità d'uso, ovverosia quelli fatti durante il fidanzamento – ad esempio in costanza di compleanni, festività, ricorrenze – quando rappresentino una manifestazione d'affetto espressione di un costume pregresso derivante da rapporti di amicizia fra i nubendi o le loro famiglie (App. Genova 19 gennaio 1940; App. Venezia 12 marzo 1955; Trib. Trani 22 ottobre 1956; Pret. Napoli 16 luglio 1958); 3) le donazioni fra fidanzati altrimenti giustificate, come ad esempio la donazione c.d. rimuneratoria effettuata in riconoscenza alle cure prestate ad un parente infermo. La più recente giurisprudenza di legittimità considera i doni prenuziali come vere e proprie donazioni: detti doni devono seguire le regole di forma ordinarie, e, dunque, la forma libera per quelli caratterizzati dalla modicità, oppure la forma pubblica in relazione alle altre ipotesi. La modicità del valore deve essere inoltre apprezzata «oggettivamente, in relazione alla capacità economica del donante» (Cass. 8 febbraio 1994, n. 1260).
Orientamenti a confronto
Dubbi permangono sull'inclusione di fotografie e corrispondenza nel concetto di doni di cui all'art. 80 c.c.. Per quanto alcune Corti di merito abbiano avallato questa ricostruzione si ritiene che le problematiche circa l'uso e la divulgazione di immagini e filmati che ritraggono i fidanzati come pure le lettere scambiate fra loro siano da inquadrare, anziché nella disciplina della restituzione dei doni, all'interno della tutela dei diritti della personalità. L'art. 80 c.c. non prevede un obbligo automatico di restituzione da parte dell'altro nubendo, essendo necessaria la comunicazione della volontà di revoca del negozio effettuato “a causa della celebrazione del matrimonio”. Presupposto fondamentale dell'azione di restituzione disciplinata dalla norma esaminata è la presenza di una promessa di matrimonio; la promessa in questione è detta “semplice”, poichè non richiede alcun requisito di forma o capacità e può esser provata anche mediante prova testimoniale e prova scritta (es. lettere fra fidanzati). Altro elemento necessario è la mancata celebrazione del matrimonio: non rilevano, ai fini dell'accoglimento della domanda di restituzione, i motivi del rifiuto alla celebrazione nè quale dei nubendi abbia causato la rottura della promessa. Onere della prova
L'onere della prova ai fini della restituzione dei doni grava sul donante il quale deve dimostrare che i beni erano stati donati “a causa della promessa di matrimonio” e che il matrimonio stesso non è stato contratto; il donatario è tenuto alla restituzione dei beni in natura senza possibilità di sostituirne il controvalore se non nel caso in cui provi a sua volta la perdita o il perimento delle cose stesse (Cass. 31 luglio 1951, n. 2271; Cass. 4 dicembre 1952, n. 3115). Legittimazione e termini
L'azione di restituzione dei doni è esperibile entro un anno dal giorno in cui si è avuto il rifiuto di celebrare le nozze ovvero dalla morte di uno dei promittenti. La legittimazione attiva spetta al donante oppure, in caso di sua morte, ai suoi eredi, mentre la legittimazione passiva spetta al donatario ovvero ai suoi eredi. Il termine per esercitare detta azione è di decadenza – non di prescrizione (Cass. 15 febbraio 2005, n. 2974) – e la prova della tardiva proposizione incombe esclusivamente sul convenuto, non gravando invece alcun onere in capo all'attore sulla tempestività dell'azione. L'azione di restituzione è rinunciabile, ritenendosi ciò compatibile con la volontà di opporre l'eccezione di decandeza dall'azione di danni da mancato adempimento della promessa di matrimonio (Cass. 7 agosto 1952, n. 2586). Promessa solenne e risarcimento dei danni
La promessa di matrimonio è revocabile sino alla celebrazione ed incoercibile, ma la rottura di una promessa di matrimonio qualificata o c.d. solenne, disciplinata dall'art. 81 c.c., può comportare conseguenze risarcitorie qualora il rifiuto di contrarre matrimonio non sia accompagnato da un “giusto motivo” (v. infra). La promessa delineata dalla norma in esame deve essere: a) “vicendevole”, da intendersi come il chiaro, serio e preciso accordo tra i nubendi sull'intento di contrarre matrimonio, in modo da generare in ciascun nubendo nei confronti dell'altro l'affidamento tale da legittimare il compimento di spese e l'assunzione di obbligazioni; b) fatta da soggetti capaci, cioè maggiori d'età o minori emancipati ex art. 84 c.c.. Possono dunque validamente prestare la propria promessa matrimoniale - siccome pure contrarre matrimonio - sia gli interdetti legali, sia gli inabiliati, sia i beneficiari di amministrazione di sostegno, mentre restano esclusi gli intedetti per infermità di mente; c) “solenne”, vale a dire risultante dalla richiesta di pubblicazioni, oppure fatta per atto pubblico o scrittura privata autenticata. A tal ultimo riguardo la Suprema Corte, già in epoca risalente, ha chiarito che non è necessario che la promessa risulti da forma rigorosamente documentale, come unico atto, pubblico o privato, essendo sufficiente che risulti da uno o più scritti, anche non contestuali, da cui si evinca che anche l'altra parte ha, a sua volta, manifestato con la propria corrispondenza il proposito di contrarre matrimonio (Cass. 20 maggio 1955, n. 1480). Il giusto motivo di rifiuto
Per “giusto motivo” di rifiuto di contrarre matrimonio si intende una seria ed apprezzabile ragione di cui deve esser data precisa e rigorosa prova nel giudizio all'uopo instaurato. Nel silenzio della norma su cosa significhi “giusto motivo” e stante l'assenza di una casistica tipizzata, le Corti di merito investite dei casi hanno compiuto valutazioni equitative, piuttosto che definire dei criteri di ordine generale. Per individuare le ipotesi che possono essere considerate “giusto motivo” di rottura della promessa matrimoniale l'interprete può fare riferimento alle circostanze di cui all'art. 122 c.c., ovverosia ad alcune delle cause che determinano l'annullamento del matrimonio. Ad esempio, errore su malattie fisiche o psichiche, l'impotentia, sia essa relativa o assoluta, scoperta successivamente alla promessa di matrimonio, potendo presumersi in via generale che, viceversa, la promessa non vi sarebbe stata. Oltre alle cause che viziano il consenso ab origine e che appunto possono comportare l'annullamento del matrimonio, rilevano anche circostanze sopravvenute che, incrinando il rapporto, giustificano la revoca della promessa. Ad esempio, la persistente mancanza di una occupazione lavorativa, semprechè l'impegno di contrarre matrimonio sia stato subordinato al conseguimento di una occupazione stabile; mentre non può rinvenirsi giusto motivo di rifiuto nella circostanza che la donna abbia dimorato vari anni all'estero ed abbia ivi avuto un altro fidanzato, specie quando il rifiuto di sposare sia manifestato dall'uomo in modo gravemente offensivo, in presenza degli invitati, proprio nel giorno e nell'ora stabilita per il rito nuziale. La responsabilità derivante dalla rottura senza giusto motivo della promessa matrimoniale rappresenta uno dei molti esempi di assoluta singolarità del diritto di famiglia rispetto al diritto delle obbligazioni: essa è da considerarsi responsabilità ex lege, stanti le peculiarità rappresentate dai presupposti soggettivi ed oggettivi, al limite del danno risarcibile ed ai termini di prescrizione, come pure alla legittimazione attiva dei soggetti. È principio consolidato in giurisprudenza che il comportamento del nubendo promittente che si scioglie dalla promessa, essendo espressione di quel diritto personale fondamentale che è la libertà matrimoniale, anche se fatto senza “giusto motivo” non può mai - di per sé solo - essere qualificato in termini di antigiuridicità (Cass. 15 aprile 2010, n. 9052). Lo stesso legislatore non utilizza il termine “responsabilità”, suggerendo così che ci si trovi dinanzi a un rimedio, una “riparazione”, più che a una sanzione. Dato l'accostamento alla responsabilità “precontrattuale” ex art. 1337 c.c., le conseguenze risarcitorie di cui alla rottura della promessa disciplinata dall'art. 81 c.c. vengono anche qualificate come “responsabilità prematrimoniale”. Danno risarcibile
Il promittente deluso dalla rottura senza giusto motivo della promessa solenne di matrimonio, ovvero colui che rompe la promessa, giustificato dal comportamento colpevole dell'altro nubendo, può chiedere all'altra parte il risarcimento per «le spese fatte e le obbligazioni contratte a causa di quella promessa». L'art. 81 c.c. non prevede dunque la risarcibilità di ogni possibile conseguenza dannosa della rottura della promessa solenne, ma ne definisce in modo preciso l'oggetto. È necessario un nesso eziologico fra le spese fatte e/o le obbligazioni contratte e la promessa solenne. Ad esempio, la giurisprudenza ha considerato risarcibili le spese per i festeggiamenti del fidanzamento, le spese di prenotazione del viaggio di nozze e di preparazione della cerimoniza nuziale, di acquisto di beni o oggetti per la futura convivenza matrimoniale (Cass. 31 luglio 1951, n. 2271). Allo stesso tempo il giudice deve fondare il suo giudizio sui principi della compensatio lucri cum damno e del divieto di indebito arricchimento, per cui dalla determinazione del danno risarcibile va detratto l'ammontare del valore dei beni che siano ancora utilizzabili dal nubendo non inadempiente ovvero di quelli dai quali sia comunque ricavabile un'utilità economica. Ad esempio, dalle spese per l'acquisto di beni mobili come arredi ed oggetti per la casa acquistati in vista del matrimonio dovrà esser detratta l'utilità economica per il possibile riutilizzo da parte della nubenda, mentre costei ben potrà ottenere il ristoro del totale speso per l'acquisto dell'abito da sposa. Quanto alla risarcibilità dei danni ulteriori rispetto a quelli citati nell'art. 81 c.c., quali i danni morali o i danni derivanti dalla rinuncia ad un lavoro o ad un'opportunità lavorativa, mentre le Corti di merito oscillano tutt'oggi su tale possibilità, la Suprema Corte ha da tempo chiarito che sono risarcibili solo i danni in qualche modo derivanti dalla rottura della promessa purchè essi costituiscano spese e obbligazioni fatte a causa di quella promessa (Cass. 21 febbraio 1986, n. 539). Recentemente, sempre la Corte di Cassazione ha precisato che l'illecito in questione non è assoggettato ai principi generali in tema di responsabilità civile, contrattuale od extracontrattuale, né alla piena responsabilità risarcitoria che da tali principi consegue, poiché un tale regime potrebbe tradursi in una forma di indiretta pressione sul promittente nel senso dell'accettazione di un legame non voluto (Cass. 2 gennaio 2012, n. 9). Secondo l'impostazione consolidata, pertanto, l'art. 81 c.c. è fonte di risarcimento delle spese affrontate e delle obbligazioni contratte in vista del matrimonio, ma non della generale responsabilità aquiliana ai sensi art. 2043 c.c., e, ancor meno, dell'obbligo di risarcire il danno non patrimoniale. Oltre a delimitare l'oggetto del risarcimento, il legislatore si è preoccupato di temperare il quantum dello stesso, stabilendo che il danno è risarcibile “nei limiti in cui le spese e le obbligazioni corrispondono alla condizione” delle parti: il giudice investito della causa dovrà dunque compiere una valutazione di proporzionalità avendo a riferimento la situazione socio-economica dei nubendi e ciò al fine di evitare approfittamenti o speculazioni come pure al fine limitare l'affidamento tutelato. Onere della prova
Il nubendo che voglia chiedere il risarcimento delle spese fatte e delle obbligazioni contratte a causa della promessa matrimoniale deve dimostrare la presenza di una promessa c.d. solenne, la presenza di spese e obbligazioni e il nesso eziologico tra le stesse e il matrimonio Quanto all'onere probatorio circa l'esistenza del “giusto motivo”, la Suprema Corte ha ribadito recentemente l'orientamento consolidato dalle Corti di merito secondo il quale: individuando l'assenza di giustificato motivo quale fatto negativo costitutivo della pretesa dell'altra parte ("la promessa di matrimonio obbliga il promettente che senza giusto motivo ricusi di eseguirla a risarcire il danno cagionato all'altra parte ...") l'onere della prova del fatto positivo (dell'esistenza, cioè, di un giusto motivo) incombe ex art. 2697 c.c. sul recedente (Cass. 15 aprile 2010, n. 9052). Legittimazioni e termini
L'azione di risarcimento prevista dall'art. 81 c.c. è esperibile entro un anno dal giorno in cui si è avuto il rifiuto di celebrare le nozze: anche per l'azione di risarcimento, come per l'azione di restituzione ex art. 80 c.c., il termine di un anno è decadenziale, pertanto non rilevabile d'ufficio dal giudice. La legittimazione passiva appartiene al promittente che rifiuti di celebrare il matrimonio ovvero a colui che, con il proprio comportamento, abbia dato giusto motivo al rifiuto dell'altro. Quanto invece alla legittimazione attiva essa spetta senz'altro al fidanzato deluso. Alcune pronunce di merito hanno affrontato la questione della legittimazione attiva di eventuali terzi – parenti o genitori che abbiano affrontato direttamente le spese – all'azione di risarcimento; la maggioranza delle pronunce depone tuttavia a favore di un'interpretazione maggiormente restrittiva, tesi che si condivide stante il carattere personale dell'azione e nella totale assenza di appigli normativi per un'applicazione analogica, tenuto conto altresì della specialità della norma. Seduzione con promessa di matrimonio
La speciale tipologia di illecito civile creata dalla giurisprudenza, prevedeva, superando i limiti di cui all'art. 80 c.c., il risarcimento a favore della donna che avesse prestato il consenso ad una relazione sessuale sul presupposto esclusivo di una falsa promessa di matrimonio fatta dall'uomo con dolo o colpa (Cass. 24 gennaio 1972, n. 178; Cass. 11 marzo 1976, n. 846; Cass. 4 agosto 1985, n. 2521; Cass. 8 luglio 1993, n. 7493). Secondo questo orientamento, l'interesse leso sarebbe la “libertà sessuale” della donna la quale, in assenza dell'inganno, mai si sarebbe concessa (Cass. 20 dicembre 1954), mentre il danno risarcibile ex art. 2043 c.c. sarebbe riferibile alla vita da relazione, connesso alla “disistima sociale” ed alla “perdita di altre occasioni di matrimonio”. I legittimi dubbi sorti anche con riguardo all'inclusione del requisito della colpa, ritenuto sufficiente a integrare l'illecito in esame, ma che così declasserebbe il principio della libertà matrimoniale a ben poca cosa, fanno propendere per la considerazione che la traditio corporis ante nuptias, se pur ottenuta dolosamente o colposamente in quanto traditio propter nuptias, non pare produttiva di effetti differenti da quelli previsti ex art. 81 c.c.. |