Ammissibilità ed efficacia della contribuzione una tantum nel mantenimento della prole

Laura Cossar
28 Febbraio 2017

Il provvedimento in esame pone la duplice questione dell'ammissibilità e dell'eventuale efficacia estintiva di un accordo tra genitori che preveda la corresponsione, da parte di uno dei due ed in un'unica soluzione, del contributo di mantenimento per la prole minorenne o maggiorenne non economicamente autonoma.
Massima

É inammissibile e certamente non estintiva del credito, la clausola con la quale i genitori, in sede di separazione, convengano una forma di dazione una tantum da parte di uno in favore dell'altro, a copertura delle future esigenze dei figli minori, indi a titolo di loro mantenimento, in considerazione del carattere inderogabile del criterio di proporzionalità espresso dall'art. 316-bis c.c., nonché del principio generale di tutela dell'interesse della prole.

Il caso

Tizia e Caio, non coniugati, presentavano ricorso congiunto ex art. 337-ter c.c. chiedendo al Tribunale territorialmente competente di provvedere in conformità alle loro intese che prevedevano: i) l'affido condiviso dei due figli minori e la loro prevalente collocazione con il padre nella ex casa familiare; ii) la regolamentazione delle frequentazioni con la madre; iii) il versamento, da parte di Caio, della somma di 6.000 euro, pari al corrispettivo dei canoni di locazione che Tizia, in cerca di occupazione, avrebbe dovuto sostenere per il primo anno successivo all'uscita dalla ex casa familiare; ciò, anche per consentirle di garantire immediata continuità alla relazione con i figli e pronta ospitalità nei tempi di permanenza previsti presso di lei; iv) il versamento da parte di Tizio di un importo a titolo di una tantum e contributo nelle spese di mantenimento dei due figli minori che la madre, priva di reddito da lavoro, avrebbe dovuto affrontare e sostenere sino al raggiungimento della loro indipendenza economica. Il Collegio, ad esito della camera di consiglio, nulla opponeva in merito alla pattuizione relativa al contributo di Caio alle spese abitative di Tizia ma respingeva la domanda attinente la dazione una tantum disponendo la convocazione delle parti avanti a sé, allo scopo di individuare soluzioni differenti in merito alla compartecipazione paterna nelle spese di mantenimento dei figli.

La questione

Il provvedimento in esame pone la duplice questione dell'ammissibilità e dell'eventuale efficacia estintivadi un accordo tra genitori che preveda la corresponsione, da parte di uno dei due ed in un'unica soluzione, del contributo di mantenimento per la prole minorenne o maggiorenne non economicamente autonoma.

Le soluzioni giuridiche

Con la dazione in parola, i due genitori intendevano disciplinare in anticipo situazioni relative ad un periodo molto lungo, senza però considerare eventuali sopravvenienze relative a se stessi o ai figli minori. In quest'ottica, a parere del Collegio, la clausola - contenente una predeterminazione fissa di un importo - si prospettava quindi come potenzialmente lesiva dell'interesse dei minori perché inidonea a garantire il rispetto di proporzionalità negli oneri della prole e dunque ad assicurare che la partecipazione dei genitori fosse effettivamente modulata con riguardo alle capacità di entrambi, nel corso del tempo. Sotto il profilo dell'ammissibilità delle dazioni una tantum in favore della prole, la giurisprudenza di merito ha, in passato, oscillato tra declaratorie di inammissibilità (cfr. Trib. Catania, 1 dicembre 1990) e pronunce che si limitano a dichiararne la liceità - comunque condividendo l'assunto generale per cui rientrerebbe nella libera autonomia delle parti procedere in un'unica soluzione ad assolvere all'obbligo di mantenimento dei figli, ad esempio costituendo o trasferendo loro diritti reali (cfr. App. Milano, 6 maggio 1994, in Fam. dir., 1994, 667) - la dottrina si è divisa tra negazionisti e possibilisti. Per i primi (tra i molti, G. Basini, Contribuzione una tantum al mantenimento della prole, in Fam. Pers. e succ., 2005, 6, 498), un'eventuale pattuizione in tal senso articolata tra le parti dovrebbe considerarsi comunque come mai apposta; per i secondi sarebbe, invece, ammissibile, sulla scorta delle rafforzata autonomia negoziale delle parti cui all'art. 316-bis c.c., a mente del quale: «salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito»(tra gli altri, E. Quadri, Divorzio: verso quale riforma?, in Foro it., 1987, V, 70; A. Finocchiaro, Il divorzio, cit., 468 ss.; M. Dogliotti, Separazione e divorzio – Il dato normativo – I problemi interpretativi, Torino, 1998, 2). Il più recente indirizzo giurisprudenziale, non seguito dal Giudice pavese, tuttavia, è ormai orientato nel senso di dichiarare senz'altro leciti gli accordi tramite i quali i genitori prevedano l'adempimento dell'obbligazione di mantenimento della prole in un'unica soluzione, attribuendo ai figli, ad esempio, beni immobili ovvero beni mobili fruttiferi; ciò purché tali accordi appaiano rispondenti all'interesse della prole (cfr. Cass., 17 giugno 2004, n. 11342; Cass., 23 settembre 2013, n. 21736). Diversa la questione attinente all'efficacia estintiva degli accordi suddetti, siano essi costitutivi o traslativi di diritti o reali o semplicemente contemplativi una dazione in denaro in un'unica soluzione, da parte di uno o di entrambi i genitori.

La questione va inquadrata e risolta nell'ambito dell'unica norma esplicitamente riferibile alla fattispecie in esame e di natura senza dubbio inderogabile. Ci si riferisce all'art. 316-bis c.c., (già art. 148 stesso codice), a mente del quale nessun esito preclusivo potrebbe comunque collegarsi all'effettuazione di una prestazione una tantum, neppure in caso di espressa clausola al riguardo. Ciò significa, in altri termini, che l'eventuale dazione in un'unica soluzione, pur ammissibile, non potrà mai rappresentare un'ipotesi liberatoria per il soggetto che la esegue, potendo il relativo contributo essere rideterminato, ove non più rispondente ai criteri di cui all'art. 316-bis c.c..

Di conseguenza, il genitore (o il figlio, una volta maggiorenne ma non ancora autosufficiente) che abbia ricevuto la prestazione in un'unica soluzione, manterrà comunque integro il proprio diritto di chiedere una modifica delle condizioni della separazione o del divorzio o in generale dell'accordo separativo, con la finalità di far valere le eventuali sopravvenienze per effetto delle quali la prestazione ricevuta – vuoi periodicamente, vuoi una tantum – non dovesse più rispondere ai canoni di proporzionalità, già più volte citati.

Osservazioni

Con il provvedimento in commento il Tribunale di Pavia, in composizione collegiale, ha espresso alcune perplessità in ordine all'ammissibilità della clausola con la quale i due genitori avevano inteso regolamentare le modalità di contribuzione nel mantenimento della comune prole, all'indomani della loro separazione. Secondo il Collegio, infatti, detta clausola non appariva “condivisibile” in quanto potenzialmente pregiudizievole per i due minori, per contrarietà alla norma imperativa di cui all'art. 316-bis c.c..

Il Collegio, in realtà, in linea con il citato e più recente orientamento giurisprudenziale di merito e di legittimità, ben avrebbe potuto ritenere valida la pattuizione, sulla scorta di quell'autonomia negoziale che lo stesso art. 316-bis c.c. riconosce alle parti in tema di determinazione e contribuzione negli oneri di mantenimento della prole, esplicitando perplessità, se mai, solo in ordine alla sua validità temporale, avuto cioè riguardo alle situazioni sopravvenute e futuribili non preventivabili nemmeno dai medesimi genitori ed al verificarsi delle quali il genitore beneficiario del contributo una tantum sarebbe comunque legittimato ad eventualmente agire in giudizio per riportare la contribuzione ricevuta al criterio inderogabile della proporzionalità.

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