Riconoscimento in Italia di adozione internazionale resa dal giudice di uno Stato diverso da quello di residenza della coppia

29 Marzo 2017

La questione esaminata dalla Corte d'appello di Milano concerne il riconoscimento in Italia dell'adozione di un minore straniero effettuata in un Paese estero e pronunciata da un'autorità di uno Stato diverso rispetto a quello di residenza dei genitori adottivi.
Massima

In materia di adozione internazionale, non è necessario che vi sia coincidenza tra paese straniero, in cui la coppia genitoriale risiede da due anni, e quello in cui la competente autorità ha pronunciato l'adozione, e ciò nell'ottica di tutelare i cittadini italiani residenti all'estero per lavoro i quali, per ciò solo, non devono attenersi alla procedura di adozione stabilita in Italia, ma possono altresì attivare quella prevista dalla normativa locale.

Il caso

Due coniugi presentavano ricorso ai sensi dell'art. 36, comma 4, l. n. 184/1983 domandando al Tribunale per i minorenni di Milano il riconoscimento ad ogni effetto del provvedimento di adozione di un minore di origine etiope, pronunciato in loro favore dal Tribunale di Prima Istanza della Repubblica Democratica Federale dell'Etiopia.

I genitori riferivano di essere sposati dal 2005 e di essersi trasferiti nel 2007 nel regno del Bahrein e poi dal 2011 a Dubai. La moglie, cittadina italiana iscritta all'AIRE del Comune di Milano, residente negli Emirati Arabi, non aveva potuto ricorrere alla legislazione locale in materia di adozione. La normativa degli Emirati Arabi impedisce infatti agli stranieri non musulmani di adottare minori in stato di abbandono sul proprio territorio nazionale, consentendo tuttavia di adottarli all'estero, di fare ingresso con il minore nello Stato e di trascrivere nel registro di Stato Civile il certificato di nascita ed il provvedimento di adozione.

Il Tribunale di Milano rigettava l'istanza, rilevando in motivazione che «il riconoscimento in Italia dell'adozione pronunciata dalla competente autorità di un paese straniero a istanza di cittadini italiani resta subordinato alla sussistenza del requisito della residenza biennale anteriore all'adozione».

Avverso questo decreto proponevano reclamo i genitori evidenziando che il giudice di primo grado ha interpretato erroneamente in via restrittiva l'art. 36, comma 4, l. n. 184/1983, sostenendo che il paese straniero di residenza abituale degli adottanti dovesse coincidere con il paese che pronuncia l'adozione. Inoltre, i ricorrenti esponevano che l'efficacia della sentenza straniera in Italia sarebbe dovuta derivare dall'art. 41, comma 1, l. n. 218/1995, che è norma di carattere generale la quale prevede il riconoscimento automatico dei provvedimenti stranieri conformi all'ordine pubblico. I ricorrenti lamentavano altresì che il Tribunale italiano non ha dichiarato l'efficacia dell'adozione «stante l'impossibilità di affidamento preadottivo del minore, il quale si trova a risiedere in uno Stato che non conosce e non disciplina l'istituto dell'adozione». Rilevavano inoltre i genitori adottivi che al minore è stato impedito l'acquisto della cittadinanza italiana, nonostante la discendenza adottiva materna, ledendo in tal modo i suoi diritti fondamentali universalmente riconosciuti dagli artt. 7 e 8 Convenzione di New York del 1989 e che il minore si troverebbe pertanto «nella pregiudizievole impossibilità di uscire dal territorio degli Emirati Arabi Uniti ed è al contempo privo della garanzia di potervi continuare a risiedervi». I ricorrenti lamentavano poi la violazione dell'art. 8 CEDU poiché sarebbe stato impedito all'adottato minorenne di vedersi riconoscere lo status di figlio.

La Corte d'appello di Milano ha accolto il reclamo dei genitori, condividendo le argomentazioni poste a sostegno dell'impugnazione. La Corte ha infatti precisato che non è necessario che vi sia coincidenza tra paese straniero, nel quale la coppia genitoriale risiede da due anni, ed il paese la cui competente autorità pronunci l'adozione. Ad avviso della Corte d'appello, infatti, la ratio della norma risiede nella «necessità di tutelare i cittadini italiani residenti all'estero per lavoro» i quali, proprio per questo motivo, non sono tenuti ad attenersi alla procedura di adozione stabilita in Italia, potendo attivare quella prevista dalla normativa locale.

La questione

La questione in esame è la seguente: può essere riconosciuta in Italia l'adozione di un minore straniero effettuata in un Paese estero e pronunciata da un'autorità di uno Stato diverso rispetto a quello di residenza dei genitori adottivi?

Le soluzioni giuridiche

Secondo l'art. 36, comma 4, l. n. 184/1983, l'adozione pronunciata dalla competente autorità di uno Stato straniero ad istanza di cittadini italiani – i quali dimostrino al momento della pronuncia di aver soggiornato continuativamente nello stesso e di avervi avuto la residenza da almeno due anni (per un'applicazione di tali presupposti, cfr. Cass., 18 marzo 2006, n. 6078) – viene riconosciuta ad ogni effetto in Italia con provvedimento del Tribunale per i minorenni, a condizione che l'adozione stessa sia conforme ai principi della Convenzione.

Conseguentemente, i coniugi, che siano cittadini italiani, residenti in uno Stato estero i quali vogliano procedere con un'adozione internazionale, possono seguire due strade, a seconda dei casi.

In particolare, se i coniugi risiedono nello Stato estero da meno di due anni, sono tenuti a seguire la procedura stabilita dalla normativa italiana, vale a dire: presentare al Tribunale per i minorenni italiano del luogo di loro ultima residenza in Italia l'istanza per essere dichiarati idonei all'adozione internazionale; saranno poi svolti gli accertamenti da parte dei servizi territoriali italiani del luogo di ultima residenza dei coniugi o, a seconda delle procedure adottate dai singoli tribunali minorili, dalle autorità consolari del luogo di residenza attuale degli adottanti, oppure da servizi pubblici od organismi privati dello Stato di residenza, previa autorizzazione del Tribunale italiano; una volta ottenuto il decreto di idoneità all'adozione internazionale, i coniugi dovranno conferire incarico ad uno degli enti italiani autorizzati e la procedura si svolgerà secondo le fasi ordinarie, fino al rilascio dell'autorizzazione all'ingresso in Italia del minore ed alla trascrizione del provvedimento straniero di adozione nei registri dello stato civile italiano, previo ordine del competente tribunale minorile.

Qualora invece i coniugi aspiranti all'adozione risiedano nello Stato estero da oltre due anni e con carattere di stabilità, possono scegliere se seguire la procedura stabilita dalla normativa italiana, di cui sopra si è dato sommariamente atto, oppure seguire la normativa del Paese di residenza. In quest'ultimo caso, gli aspiranti genitori potranno attivare la procedura sulla base delle previsioni normative locali e ciò anche per i requisiti relativi all'idoneità. Una volta ottenuta l'adozione secondo la legge dello Stato di residenza abituale, gli adottanti sono tenuti a domandare al tribunale per i minorenni italiano territorialmente competente il riconoscimento del provvedimento estero di adozione, ciò a cui segue – previa verifica della conformità del provvedimento di adozione straniero ai principi della Convenzione de l'Aja del 29 maggio 1993 – la trascrizione dello stesso provvedimento nei registri dello Stato Civile italiano.

L'ordinanza in commento contribuisce a fare chiarezza sulla seconda procedura sopra delineata, interpretando a tal fine l'art. 36, comma 4, l. n. 184/1983.

In particolare, la decisione in commento svolge il compito di chiarire la ratio della citata norma, che è costituita dalla «necessità di tutelare i cittadini italiani residenti all'estero per lavoro» i quali, proprio per questo motivo, non devono attenersi alla procedura di adozione stabilita in Italia, bensì, se lo desiderano, possono attivare la procedura prevista dalla normativa locale del loro Paese di residenza. A tale fine, precisa la Corte d'appello di Milano con ciò utilizzando un'interpretazione estensiva della norma, non è necessaria la coincidenza tra il luogo di residenza della coppia e quello dell'autorità che pronuncia l'adozione.

Osservazioni

L'ordinanza qui annotata affronta il tema del riconoscimento in Italia di una pronuncia di adozione internazionale di minore emessa da un'autorità straniera.

La particolarità del caso è costituita dal fatto che i genitori adottanti non hanno la residenza nel Paese nel quale è stata pronunciata l'adozione. In particolare, i genitori, cittadini italiani iscritti all'AIRE e residenti negli Emirati Arabi, hanno adottato mediante adozione internazionale un minore di nazionalità etiope ed il provvedimento adozionale è stato pronunciato dal Tribunale di Prima Istanza della Repubblica Democratica dell'Etiopia.

A seguito dell'adozione non vi è stato alcun problema per l'ingresso del minore negli Emirati Arabi, stante il riconoscimento della possibilità, per l'ordinamento giuridico di tale Paese, di far ingresso nello Stato insieme al minore straniero adottato e di trascrivere il provvedimento di adozione ed il certificato di nascita nei registri di Stato Civile.

La problematica è sorta al momento dell'istanza avanzata dai genitori del minore e volta al riconoscimento di tale adozione internazionale nello Stato italiano. Infatti, la normativa specifica applicabile al caso di specie è l'art. 36, comma 4, l. n. 184/1983 il quale fa però riferimento a due requisiti: si deve trattare di coppie che «dimostrino al momento della pronuncia di aver soggiornato continuativamente nello stesso (n.d.r.: Paese straniero) e di avervi avuto la residenza da almeno due anni».

Parrebbe dunque una normativa dalle maglie assai ristrette e di difficile interpretazione estensiva.

La Corte d'appello di Milano, però, partendo dalla ratio della norma in esame (la necessità di tutelare i cittadini italiani residenti all'estero per motivi di lavoro), ne ha fornito un'interpretazione – ad avviso di chi scrive del tutto condivisibile (a condizione che in ciascun caso concreto venga valutato che non sussista contrasto tra la pronuncia straniera di adozione e norme imperative o di ordine pubblico italiani) – orientata al superiore interesse del minore, sancendo, ai fini del riconoscimento degli effetti del provvedimento di adozione straniero, la non necessità di coincidenza tra il luogo di residenza della coppia e quello dell'autorità che pronuncia l'adozione. Ciò anche in quanto l'art. 41, comma 1, l. n. 218/1995, prevede il riconoscimento automatico dei provvedimenti stranieri conformi all'ordine pubblico.

É utile infine ricordare che finché la sentenza straniera di adozione non viene trascritta nel nostro Paese, il minore adottato in uno Stato straniero non può ricevere il visto d'ingresso in Italia.

Guida all'approfondimento

M. Dogliotti, A. Figone, F. Mazza Galanti, Codice dei minori, Torino, 2009, 485 ss.
M. Dogliotti, F. Astiggiano, Le adozioni, a cura di M. Dogliotti, Giuffrè, 2014, 159 ss.

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