Depenalizzazione e domanda della parte civile: qual è la regola di giudizio?

01 Aprile 2016

La differente disciplina transitoria prevista dai decreti legislativi n. 7/2016 e 8/2016 e i possibili contrasti che potrebbero derivarne, autorizza la rimessione alle Sezioni unite della seguente questione: se, a seguito dell'abrogazione dell'art. 594 c.p. ad opera dell'art. 1 d.lgs. 7/2016, debbano essere revocate le statuizioni civili eventualmente adottate con la sentenza di condanna non definitiva per il reato di ingiuria pronunziata prima dell'entrata in vigore del suddetto decreto.
Massima

La differente disciplina transitoria prevista dai decreti legislativi n. 7/2016 e 8/2016, e i possibili contrasti che potrebbero derivarne, autorizza la rimessione alle Sezioni unite della seguente questione: se, a seguito dell'abrogazione dell'art. 594 c.p. ad opera dell'art. 1 d.lgs. 15 gennaio 2016 n. 7, debbano essere revocate le statuizioni civili eventualmente adottate con la sentenza di condanna non definitiva per il reato di ingiuria pronunziata prima dell'entrata in vigore del suddetto decreto.

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Il caso

La Corte d'appello di Salerno ha confermato la condanna degli imputati, pronunciata anche agli effetti civili, per vari titoli di reato: violenza privata, lesioni volontarie, occupazioni abusiva di immobili e ingiurie.

Gli imputati ricorrono per la Cassazione della sentenza articolando diverse doglianze.

La Sezione V penale, alla quale il ricorso è assegnato, ritiene preliminarmente di rimettere i ricorsi alle Sezioni unite ai sensi dell'art. 618 c.p.p. perché le stesse si esprimano sul seguente quesito: se, a seguito dell'abrogazione dell'art. 594 c.p. ad opera dell'art. 1 d. lgs. 15 gennaio 2016 n. 7, debbano essere revocate le statuizioni civili eventualmente adottate con la sentenza di condanna non definitiva per il reato di ingiuria pronunziata prima dell'entrata in vigore del suddetto decreto.

Sennonché, il primo Presidente della Corte di cassazione, ha restituito il fascicolo alla Sezione sul rilievo che, allo stato, non sussiste alcun contrasto giurisprudenziale, prospettandosi solo che la stessa possa dar luogo a contrasti interpretativi. Nel provvedimento di restituzione si pone in rilievo che ai fini della decisione a Sezioni unite rileva l'esistenza di un orientamento giurisprudenziale di legittimità dal quale il collegio mostri di volere discostarsi non essendo dunque sufficiente la mera eventualità di futuri ipotetici contrasti.

La decisione del primo Presidente pare orientata alla formazione di un “formante giurisprudenziale” sezionale, rinviando ad un secondo (eventuale) momento la soluzione di contrasti interpretativi.

Tuttavia, la rimessione alle Sezioni unite, segnalata nel provvedimento in commento dalla V Sezione penale, avrebbe consentito di fornire un arresto interpretativo ad una questione che non appare affatto scontata. Vediamo perché.

Le questioni

Gli effetti (in generale). Com'è noto l'art. 1 del d. lgs. 15 gennaio 2016 n. 7 ha disposto l'abrogazione, tra gli altri, del reato di ingiuria (art. 594 c.p.).

A seguito della intervenuta abolitio criminis nei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della norma dev'essere pronunciata sentenza ai sensi dell'art. 129 c.p.p. con immediata declaratoria perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

Si pone, tuttavia, il problema di verificare gli effetti della declaratoria di annullamento delle statuizioni penali su quelle civili pronunciate nei gradi di merito precedenti.

I termini della questione non involgono, all'evidenza, le pronunce definitive: per esse, come da consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la revoca degli effetti penali della sentenza per abrogazione del reato sarà ininfluente quanto alle statuizioni di natura civile. Quest'ultime, pertanto, continueranno a mantenere i loro effetti, sicché il giudice dell'esecuzione provvederà alla revoca dei soli capi penali della sentenza ferme restando le statuizioni civili, che sono insensibili agli effetti retroattivi dell'art. 2 c.p. e rimangono disciplinate dai principi generali previsti dalle disposizioni sulla legge in generale (art. 11).

Diverso è invece il caso in cui la statuizione penale non sia passata in giudicato e intervenga, nelle more, l'abolitio criminis, proprio come nel caso in esame. In tale evenienza, ferma restando la pronuncia di non doversi procedere ex art. 129 c.p.p. per quanto attiene alle statuizioni penali, rimarrà preclusa la decisione sugli effetti civili della condanna. Infatti, a norma dell'art. 538 c.p.p. la domanda sulle restituzioni e il risarcimento del danno presuppone la pronuncia della sentenza (penale) di condanna, sicché mancando questa non è possibile statuire sugli effetti civili. E ciò vale anche nel giudizio di impugnazione.

Del resto, la libera scelta di azionare la pretesa civilistica nella sede penale ha come effetto – compatibile coi principi costituzionali – che la pretesa della lite minore rimanga “servente” rispetto all'azione penale e sia assoggettata ai principi ed alle regole processuali che la disciplinano.

Gli effetti nella depenalizzazione dei decreti n. 7 e n. 8 del 2016 abolitio criminis e statuizioni civili. Il d. lgs. 7/2016 non s'è però limitato alla mera abrogazione del reato (tra gli altri) di ingiuria (art. 1 d. lgs. 7/2016) ma ne ha “recuperato” la disvalenza in una nuova “veste”: la sanzione pecuniaria civile (art. 4 d. lgs. 7/2016).

Appare dunque problematico affermare che l'intervento legislativo sia abrogativo tout court in quanto il nuovo illecito, da un lato, si pone in rapporto di continuità con quello penale abrogato e, dall'altro, ne “ricalca” la condotta sanzionata.

A ciò si aggiunga che la (nuova) sanzione pecuniaria civile s'atteggia a genere diverso rispetto a quella risarcitoria domandata dal danneggiato e le due sanzioni concorrono tra loro esattamente come avveniva, prima della depenalizzazione, tra sanzione penale e sanzione civile.

Conforta l'assunto la destinazione dei proventi delle sanzioni irrogate, che ne qualifica il carattere afflittivo e la venatura pubblicistica, risultando apparentemente irrilevante ai fini qualificatori che la loro applicazione rimanga inscindibilmente connessa all'iniziativa del danneggiato (ord. in commento).

Ciò posto, il problema si pone con riferimento alla normativa transitoria prevista dai decreti legislativi (il 7 e l'8) del 2016.

Il d.lgs 7/2016, quello che ha abrogato l'art. 594 c.p., dispone all'art. 12 che le disposizioni relative alle sanzioni pecuniarie civili del presente decreto si applicano anche ai fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso, salvo che il procedimento penale sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili”, mentre all'art. 8 d.lgs. cit. dispone che le sanzioni pecuniarie civili sono applicate dal giudice competente a conoscere dell'azione di risarcimento del danno.

Dal tenore delle due norme sembrerebbe che in caso di giudizio pendente in grado di appello, fermo l'obbligo di pronunciare ai sensi dell'art. 129 c.p.p. quanto alla statuizione penale, il giudice di appello, per effetto della normativa transitoria, sia competente a conoscere delle sanzioni pecuniari civili, che può dunque irrogare senza il “limite” della condanna ex art. 538 c.p.p. sul riconoscimento della domanda di risarcimento del danno.

Tuttavia, a complicare il quadro concorre la diversa disciplina transitoria disposta dal d. lgs. 8/2016 che, diversamente, all'art. 9 comma 3 dispone: se l'azione penale è stata esercitata, il giudice pronuncia, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., sentenza inappellabile perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, disponendo la trasmissione degli atti a norma del comma 1. Quando è stata pronunciata sentenza di condanna, il giudice dell'impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, decide sull'impugnazione ai soli effetti civili delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.

Questa disposizione all'evidenza riecheggia i contenuti dell'art. 578 c.p.p., cioè quella norma che impone al giudice di appello e di legittimità di decidere sull'impugnazione delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili anche nel caso in cui debba pronunciarsi l'estinzione del reato per amnistia o prescrizione.

È dunque evidente la differenza nella disciplina transitoria prevista nei due decreti legislativi (il disposto dell'art. 9 comma 3, previsto dal d.lgs. 8/2016, non è stato riprodotto nel d.lgs. 7/2016).

Le soluzioni giuridiche

A fronte di tale diversità, una lettura fedele del dato normativo dovrebbe impedire interpretazioni analogiche (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit), che tuttavia si ritengono possibili per almeno due ordini di motivi.

Il primo: l'art. 8 del d. lgs. 7/2016 prevede la competenza ad applicare le sanzioni pecuniarie civili in capo al giudice competente a conoscere del risarcimento del danno (nel caso di specie il giudice di appello).

Il secondo: se è vero che la decisione sulla lite minore (civile), sembrerebbe formalmente preclusa dalla impossibilità di pronunciare la sentenza di condanna ex art. 538 c.p.p. (soluzione quest'ultima ritenuta conforme alla Costituzione dalla recente sentenza n. 12/2016 Corte cost.), è pur vero che i due decreti legislativi debbano essere letti in maniera combinata. Sotto questo profilo, come è stato osservato, può farsi luogo all'interpretazione analogica per effetto della “insensibilità” delle statuizioni civilistiche alle vicende della re-giudicanda penale (art. 9 comma 3 d. legs 8/2016, art. 12 d. lgs. 7/2016 e art. 578 c.p.p.), sul rilievo che l'ingiuria continua a mantenere una sua area di disvalenza in tutto e per tutto conforme al reato (già) abrogato, essendo variato il solo effetto punitivo: da sanzione penale a sanzione pecuniaria civile.

Osservazioni

Il passo in avanti della V Sezione della Corte di cassazione è stato bloccato dal provvedimento restitutorio del primo Presidente.

L'ordinanza della Sezione, tuttavia, ha il merito di mettere in evidenza come il differente regime transitorio dei due decreti legislativi possa costituire una lacuna involontaria oppure che il legislatore abbia addirittura ritenuto superfluo provvedervi. Del resto, si osserva, per effetto del principio di insensibilità delle statuizioni civili alla vicenda del giudicato penale, nulla esclude che si possa fare luogo all'interpretazione analogica (ex artt. 9 comma 3 d. lgs. 8/2016, artt. 8 e 12 d. lgs. 7/2016, e art. 578 c.p.p.), tanto più che l'ingiuria rimane in un “limbo di disvalenza” sanzionata in continuità col tipo di illecito abrogato.

In questo senso si è, medio tempore, orientata la seconda Sezione penale della Corte di Cassazione che con una recente sentenza (deposito del 15 marzo 2016, ud. 8 marzo 2016) ha ritenuto legittima la pronuncia del giudice dell'impugnazione che, in un caso di danneggiamento semplice (art. 635 c.p.), abbia pronunciato per l'intervenuta abolitio criminis e contestualmente deciso in ordine alle statuizioni civili.

Non è difficile ipotizzare che la questione s'evolva in un incidente di legittimità costituzionale che ponga l'accento sulle ragioni di economia processuale (art. 111 Cost.) e sul pregiudizio per il danneggiato (artt. 24 e 3 Cost.), costretto a riproporre l'azione riparatoria in sede civile. L'unico limite a questo approccio, allo stato, è però rappresentato dal principio ribadito in una recente pronuncia della Consulta (sent. 12/2016): «l'assetto generale del nuovo processo penale è ispirato all'idea della separazione dei giudizi, penale e civile», essendo «prevalente, nel disegno del codice, l'esigenza di speditezza e di sollecita definizione del processo penale, rispetto all'interesse del soggetto danneggiato di esperire la propria azione nel processo medesimo».

Sebbene nel caso della depenalizzazione non rilevino le situazioni di speditezza processuale, pare preclusivo di ogni possibile censura di legittimità costituzionale della normativa in esame il rilievo che la decisione sulle questioni civili e condanna dell'imputato riflette il carattere accessorio e subordinato dell'azione civile proposta nel processo penale rispetto agli obiettivi propri dell'azione penale: obiettivi che si focalizzano nell'accertamento della responsabilità penale dell'imputato, sicché il “passaggio” dovrebbe essere quello per la “cruna di un ago”: una sentenza additiva che ammetta la condanna, in assenza di condanna ex art. 538 c.p.p..

Va però osservato che la pronuncia della Consulta è intervenuta in un caso di incapacità d'intendere e di volere dell'imputato al momento della commissione del fatto, mentre nel caso della depenalizzazione la sopravvenienza è rappresentata dalla “novità legislativa”, sicché l'accento posto dalla Consulta alla libera e consapevole scelta della parte civile è, nel caso della depenalizzazione, “frustata” dalla modificazione delle regole del gioco, cioè dalla prevedibilità del giudizio.

La soluzione interpretativa analogica - con riferimento agli artt. 9 comma 3 d. lgs. 8/2016, artt. 8 e 12 d. lgs. 7/2016, e art. 578 c.p.p. - ci pare la più percorribile.

Conforta nella soluzione prospettata la recente pronuncia di legittimità su un altro titolo di reato depenalizzato (l'art. 485 c.p.).

Decidendo sul ricorso del responsabile civile, la Corte di cassazione (Cass. pen., Sez. V sent. n. 7124 del 9 febbraio 2016, il Relatore è il Dr. Luca Pistorelli, cioè lo stesso relatore dell'ordinanza in commento) ha affermato che l'eventuale revoca della sentenza di condanna per abolitio criminis … non comporta il venir meno della natura di illecito civile del medesimo fatto con la conseguenza che le statuizioni civili derivanti dal reato continuano a costituire fonte di obbligazione se costituenti anche illecito civile, sicché se vi è stata costituzione di parte civile, con conseguente condanna al risarcimento dei danni a carico dell'imputato o del responsabile civile, questa statuizione resta ferma.

In altri termini, le statuizioni civili pronunciate nei gradi di merito, in casi simili, sopravvivono all'intervenuta abrogazione della rilevanza penale del fatto.

Guida all'approfondimento

CARBONI, Depenalizzazione e illeciti con sanzioni pecuniarie civili: la disciplina di diritto intertemporale

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