Falso in bilancio: le Sezioni unite confermano la penale rilevanza del falso valutativo

01 Luglio 2016

Le Sezioni unite della suprema Corte, con l'importante sentenza n. 22474/2016, hanno confermato, risolvendo un contrasto giurisprudenziale interno alla quinta Sezione penale, il rilievo penale del cosiddetto falso valutativo. La decisione, oltre a risolvere il problema di cui sopra e ad affermare un preciso principio di diritto, offre una motivazione estremamente puntuale e precisa, certamente utile, se non indispensabile, per ribadire quali siano i corretti criteri di interpretazione delle norme giuridiche valorizzando il rapporto tra l'interpretazione letterale della norma e quella logico-sistematica.
Abstract

Le Sezioni unite della suprema Corte, con l'importante sentenza n. 22474/2016, hanno confermato, risolvendo un contrasto giurisprudenziale interno alla quinta Sezione penale, il rilievo penale del cosiddetto falso valutativo.

La decisione, oltre a risolvere il problema di cui sopra e ad affermare un preciso principio di diritto, offre una motivazione estremamente puntuale e precisa, certamente utile, se non indispensabile, per ribadire quali siano i corretti criteri di interpretazione delle norme giuridiche valorizzando il rapporto tra l'interpretazione letterale della norma e quella logico-sistematica.

Proprio in virtù di una interpretazione che non si risolva in una semplice analisi lessicale è possibile, stando a quanto deciso dalle Sezioni unite, ritenere che il nuovo falso in bilancio sia integrato allorquando siano esposti oppure vengano omessi fatti oggetto di valutazione laddove quest'ultima si discosti consapevolmente dai criteri di valutazione normativamente fissati tanto da indurre in errore i destinatari delle comunicazioni stesse.

Il principio di diritto affermato dalle Sezioni unite

Con la sentenza in commento le Sezioni unite penali hanno affermato che, pur dopo le modifiche apportate dalla legge 69 del 2015, (anche) in tema di false comunicazioni sociali, il falso valutativo mantiene il suo rilievo penale (con la legge 27 maggio 2015, n. 69, sono stati modificati gli artt. 2621 c.c., che disciplina le false comunicazioni sociali e art.2622 c.c. che disciplina le false comunicazioni sociali delle società quotate, mentre sono stati introdotti ex novo gli artt. 2621-bisc.c. che disciplina i fatti di lieve entità e 2621-ter c.c. riguardante la non punibilità per particolari tenuità).

Più precisamente le Sezioni unite, dopo un percorso argomentativo molto puntuale e preciso, hanno enunciato il seguente principio di diritto: Sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di “valutazione”, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l'agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni.

Il principale problema interpretativo sorto a seguito della riforma del falso in bilancio ha quindi trovato una soluzione che pare definitiva.

Difficile pensare, almeno in questo momento, che il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite possa essere sovvertito in un futuro prossimo (cfr., CARACCIOLI, il quale ritiene, alla luce della sentenza in commento, concluso il dibattito sulla complessa problematica inerente la natura delle valutazioni anche se precisa che probabilmente, rispetto a casi concreti di complessa catalogazione, non mancheranno pareri discordi in dottrina e forse anche in giurisprudenza).

La questione rimessa dalla quinta sezione penale

Come noto (anzi sarebbe più opportuno dire arcinoto) la quinta Sezione penale, con ordinanza del 4 marzo 2016, n. 9186 ebbe a rimettere alle Sezioni unite il seguente quesito: Se, in tema di false comunicazioni sociali, la modifica con cui l'art. 9 della legge 27 maggio 2015, n. 69, che ha eliminato, nell'art. 2621 cod. civ., l'inciso ancorché oggetto di valutazioni, abbia determinato un effetto parzialmente abrogativo della fattispecie ovvero se tale effetto non si sia verificato (cfr., per un attento commento all'ordinanza, MUCCIARELLI, Oltre un discusso...).

In effetti tutti (o quasi) i commentatori della novella di cui trattasi si erano confrontati sulla rilevanza, sotto il profilo penale, dell'intervenuta abrogazione dell'inciso sopra ricordato ancorché oggetto di valutazioni: espressione quest'ultima che, nel precedente testo normativo dell'art. 2621 c.c., seguiva immediatamente la descrizione della condotta concernente l'esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero (cfr., MUCCIARELLI, Le “nuove”..; PERINI; LANZI; SANTORIELLO; nonché GAMBARDELLA autore quest'ultimo che ben aveva evidenziato l'ineludibile rilevanza penale della valutazione di bilancio).

Interessante notare come l'ordinanza della quinta Sezione con la quale si è rimessa la questione alle Sezioni unite, evidenzia, in maniera molto puntuale, le contrapposizioni giurisprudenziali che hanno dato luogo al contrasto (peraltro interno alla medesima quinta Sezione).

L'orientamento abrogazionista. Da un lato vengono evidenziate le decisioni n. 33774/2015 e n. 6916/2016 nelle quali, come peraltro ben indicato anche nella sentenza delle Sezioni unite in commento (si confronti pag. 8 della decisione), si valorizza innanzi tutto il dato testuale della nuova disposizione normativa confrontato con il precedente testo di legge e con quello dell'art. 2638 c.c.

Più precisamente, entrambe le decisioni assumono che la scomparsa dell'inciso, già più volte richiamato, ancorché oggetto di valutazioni, appare estremamente significativa anche in considerazione del fatto che il Legislatore ha mantenuto fermo l'inciso nel successivo art. 2638 c.c., manifestando quindi uno specifico intento finalizzato ad escludere la rilevanza penale delle valutazioni nell'ipotesi del falso in bilancio e non anche nel reato di ostacolo all'esercizio delle funzioni pubbliche di vigilanza.

Peraltro, secondo questo orientamento, un ulteriore elemento utilizzabile a conforto dell'abrogazione deriverebbe dalla parallela lettura della vecchia normativa, cosiddetta manette agli evasori, in tema di frode fiscale per utilizzazione di documenti attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero, fattispecie delittuosa prevista dall'art. 4, comma 1, lett. f), della legge 516/1982 così come modificata dal d.l. 83/1991, convertito, con modificazioni, nella legge 154/1991 (cfr., sulla struttura e sulle caratteristiche del reato: D'AVIRRO; DELL'ANNO-TITO; IMPERATO; TRAVERSI).

Non è un caso infatti che nella struttura di quel reato tributario, ormai abrogato a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. 74/2000, a sua volta successivamente modificato dal d.lgs. 158/2015, l'inserimento dell'espressione fatti materiali non corrispondenti al vero rispondeva all'intento, peraltro pacificamente ammesso, di evitare conseguenze penali derivanti da valutazioni.

Il richiamo alla vecchia ipotesi di frode fiscale è senz'altro suggestivo anche se, come vedremo poco oltre, le Sezioni unite affronteranno la questione risolvendola in maniera adeguata e stabilendo che l'accostamento ha perso, da tempo, ogni significato.

Giova ricordare, per comprendere appieno il rapporto tra falso in bilancio e vecchia frode fiscale, che all'epoca in cui l'art. 4, comma 1, lett. f), d.l. 429/1982, conv. l. 516/1982 era in vigore, non vi era dubbio che per la sussistenza del reato non fosse sufficiente la mera omissione in dichiarazione di componenti positivi o la semplice esposizione di componenti negativi fittizi, in quanto l'infedeltà dichiarativa (o per meglio dire la frode dichiarativa) doveva essere attuata utilizzando documenti attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero con esclusione, tuttavia, delle valutazioni.

Un ulteriore argomento utilizzato dalla tesi abrogazionista è quello indicato, specificamente, nella sentenza n. 6916/2016 laddove si osserva che l'aggettivo materiali, riferito ai fatti non rispondenti al vero, oggetto delle false comunicazioni sociali non deve essere inteso come antitetico al termine immateriali.

In realtà, l'aggettivo sottintende un'accezione riconducibile al fatto oggettivo e cioè ad un dato che, come tale, è estraneo al risultato valutativo.

Quindi si utilizza un argomento che, come correttamente riportato nelle analisi compiute dalle Sezioni unite, può sintetizzarsi nel modo seguente: la materialità e la rilevanza dei fatti, a meno di non voler ritenere la precisazione normativa del tutto superflua, devono necessariamente stare a significare concetti diversi e non sinonimi impropri di talché, sempre secondo questo orientamento, la soppressione dell'inciso più volte ricordato ha finito per ridurre l'estensione incriminatrice della norma alle appostazioni contabili che attingono da fatti economici materiali, con esclusione di quelle prodotte da valutazione.

Argomento quest'ultimo che le Sezioni unite, dopo un'attenta analisi, ritengono, come sarà chiarito poco oltre, non condivisibile ed errato.

L'orientamento a conferma del falso valutativo. La punibilità delle valutazioni estimative è affermata, in maniera inequivocabile, dalla sentenza n. 890/2015 sempre della quinta Sezione penale (cfr. il pregevole commento alla suddetta decisione di MASULLO; D'AVIRRO, Falso in bilancio…; MUCCIARELLI, Falso in bilancio e valutazioni…).

La sentenza n. 890/2015, come si evidenzia peraltro nell'ordinanza di rimessione alle Sezioni unite, si interpone, dal punto di vista temporale, tra le due sentenze n. 3374/2015 e n. 6916/2016 che, come visto poc'anzi, esprimevano l'orientamento contrario.

La decisione in questione predilige, come può facilmente intuirsi dalla lettura della motivazione, un criterio ermeneutico di tipo storico-sistematico: criterio quest'ultimo che porta a ritenere la soppressione dell'inciso più volte ricordato priva di conseguenze posto che, già nelle precedenti versioni della norma incriminatrice, era da considerarsi non essenziale, in quanto espressione finalizzata soltanto a meglio descrivere la condotta del reato.

È il caso di evidenziare che la sentenza n. 890/2015 offre una motivazione del deciso ampia ed estremamente significativa.

Ai fini del presente commento giova ricordare, tra gli aspetti più significativi della decisione, che la ricostruzione delle finalità storicamente riconosciute al c.d. falso in bilancio è davvero puntuale e assai approfondita.

Non è un caso che la quinta Sezione abbia offerto non soltanto una panoramica storica ma anche precise indicazioni sul concetto tecnico di materialità e sui criteri cui deve ispirarsi la concretizzazione nell'inserimento del dato in bilancio con riguardo agli orientamenti degli economisti anglosassoni e con riguardo altresì ai principi derivanti dalla IV Direttiva Cee sul bilancio d'esercizio e della VII Direttiva Cee sul bilancio consolidato.

Interessante notare, infine, come la decisione n. 890/2015 affronti il profilo della comparazione tra il nuovo art. 2621 e l'art. 2638 c.c.: si tratta, secondo quanto osservato, di fattispecie non comparabili in virtù della diversa natura delle disposizioni (tesi quest'ultima, come vedremo, ampiamente ripresa dalle Sezioni unite che forniscono tuttavia un'analisi più approfondita del rapporto tra le suddette disposizioni, offrendo elementi di chiarificazione tali da rappresentare un passaggio decisivo della decisione).

Il percorso argomentativo delle Sezioni unite. Il criterio della veridicità (e completezza) espositiva

Le Sezioni unite, dopo aver brevemente analizzato gli aspetti più significativi delle sentenze per così dire abrogazioniste e quelli della sentenza n. 890/2015, si concentrano, allo scopo di affrontare in maniera sistematica la problematica posta al loro esame, sulla stratificazione normativa che, nel corso degli anni, ha connotato la fattispecie del falso in bilancio concentrando l'attenzione soprattutto sulla formula utilizzata per descrivere l'oggetto della condotta di falsificazione.

I giudici delle Sezioni unite, ripercorrendo un ragionamento già operato dai giudici della quinta Sezione nella sentenza, più volte citata, n. 890/2015, evidenziano immediatamente quanto segue:

  • nel codice di commercio del 1882 (Zanardelli) era utilizzata l'espressione fatti falsi;
  • il Legislatore del 1942 preferì indicare la falsità con l'espressione fatti non rispondenti al vero (per cogliere l'essenza dell'espressione, le Sezioni unite indicano espressamente il litote, ovverosia quella figura retorica che consiste nell'affermare la negazione di un'espressione di senso contrario);
  • il d.lgs. 61/2002 sostituì l'espressione di cui sopra con la seguente: fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni (espressione, quest'ultima, adottata anche nella formulazione del delitto di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza di cui all'art. 2638 c.c.);
  • infine, la legge 69/2015 ha preferito l'espressione fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero, eliminando l'inciso ancorché oggetto di valutazioni ed aggiungendo l'aggettivo rilevanti all'espressione fatti materiali.

Non v'è dubbio peraltro, stando al ragionamento delle Sezioni unite, che l'ultimo intervento legislativo ha la dichiarata finalità di ripristinare una significativa risposta sanzionatoria ai fatti di falsità in bilancio.

Affermazione quest'ultima certamente condivisibile non foss'altro perché il Legislatore del 2015 ha ritenuto non adeguato (o non più adeguato) l'assetto repressivo introdotto dal d.lgs. 61/2002 che, accanto ad un ipotesi delittuosa di falso in bilancio (art. 2622 c.c.), ebbe ad introdurre anche una figura contravvenzionale (art. 2621 c.c.) con la ovvia conseguenza di un'abbreviazione, non di poco conto, del termine di prescrizione e caratterizzata dalla procedibilità a querela (procedibilità a querela prevista anche per l'ipotesi delittuosa dell'art. 2622, comma 1, c.c. in relazione alle società non quotate).

Orbene, è evidente il ripensamento della materia avvenuto lo scorso anno.

Prova ne sia che le stesse Sezioni unite mettono ben in evidenza anche un ulteriore aspetto significativo della riforma operata con la legge 69/2015: normativa quest'ultima con la quale il Legislatore ha perseguito il fine dichiarato del ripristino della c.d. trasparenza societaria (il richiamo alla trasparenza societaria, come vedremo poco oltre, rappresenta un momento estremamente significativo della decisione in commento poiché è un passaggio importante del percorso argomentativo).

Obiettivo perseguito eliminando la precedente bipartizione tra contravvenzione di pericolo (art. 2621 nella versione precedente) e delitto di danno (art. 2622) e sostituendo con la previsione di una fattispecie generale delittuosa (di pericolo) per le società non quotate (art. 2621) e con la introduzione di una ipotesi speciale (sempre delittuosa), concernente le false comunicazioni sociali delle società quotate, punita più severamente (art. 2622 cod. civ.)

L'intervento di riforma è inoltre caratterizzato, come noto e come giustamente ribadito dai giudici delle Sezioni unite, dalla previsione di una ipotesi per così dire minore di falso in bilancio ed anche di un caso di irrilevanza penale (artt. 2621-bis e 2621-ter c.c.).

Più precisamente i giudici delle Sezioni unite riassumono gli aspetti rilevanti della riforma che riguardano:

  • la condotta punibile (aspetto quest'ultimo di fondamentale importanza anche per risolvere il quesito che era stato posto);
  • l'elemento psicologico necessario a sostenere la condotta;
  • il ripristino della procedibilità d'ufficio (eccezion fatta per le falsità minori realizzate in società che non superano i limiti indicati dal secondo comma dell'art. 1 del r.d. 267/1942 le quali, ai sensi dell'art. 2621-bis, comma 2, c.c., rimangono procedibili a querela);
  • l'eliminazione delle soglie di rilevanza;
  • l'inasprimento della risposta sanzionatoria (con la conseguente applicabilità di misure cautelari, sia coercitive che interdittive, nonché l'adottabilità di mezzi di ricerca della prova particolarmente penetranti, quali, ad esempio, le intercettazioni telefoniche ed ambientali).

Nella sentenza in commento, subito dopo le considerazioni sopra indicate, vi è un ulteriore passaggio senz'altro significativo che riguarda la condotta del reato.

Alla luce della riforma, infatti, secondo le Sezioni unite, la condotta tipica del falso in bilancio risulta essere quella di colui il quale (amministratore, direttore generale, dirigente preposto alla redazione dei documenti societari, sindaco o liquidatore) nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico previste dalla legge, espone fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero, ovvero omette fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore.

Si tenga altresì presente che i fatti materiali (senza ulteriore specificazione) costituiscono l'oggetto della sola condotta (commissiva) di esposizione contemplata dall'art. 2622 c.c.

Viceversa, i fatti materiali rilevanti costituiscono l'oggetto tipico dell'omessa esposizione nello stesso art. 2622 c.c. e, secondo le Sezioni unite, rappresentano anche l'oggetto della condotta tipica, sia nella forma commissiva, sia nella forma omissiva, nell'art. 2621 c.c.

Può dirsi allora, secondo quanto affermato dalle Sezioni unite in merito al criterio di veridicità, che la ratio della nuova norma è proprio quella di tutelare la veridicità e la completezza (che della prima costituisce un imprescindibile presupposto) dell'informazione societaria, avendo sempre come riferimento le potenziali ripercussioni negative delle falsità sulle sfere patrimoniali della società, dei soci, dei creditori e del pubblico.

(Segue). La tutela penale della trasparenza societaria: l'imprescindibile considerazione del momento valutativo

Un ulteriore, significativo, passaggio della decisione in commento può senz'altro individuarsi nella convinzione dei giudici delle Sezioni unite di doversi concentrare non tanto sul dato letterale della norma (anche con riferimento all'analisi comparativa tra testo vigente e quello precedente), quanto piuttosto sull'analisi sistematica dell'intera materia societaria in tema di bilancio e del sottosistema delle norme penali poste a tutela della corretta redazione del predetto documento.

La decisione in commento ritiene infatti che tutte le sentenze della quinta Sezione sopra riportate (e quindi a prescindere dall'orientamento seguito) nonché quella ulteriore, sempre della quinta Sezione, n. 12793/2016, depositata dopo l'ordinanza di rimessione, concentrino la loro attenzione sul dato testuale della norma enfatizzando tale strumento ermeneutico posto che l'interpretazione letterale è un passaggio funzionale verso la completa ed esaustiva cognizione del comando legislativo.

Non v'è dubbio, si legge ancora nella motivazione della sentenza in commento, che grazie alla visione organica, unitaria e coerente della materia societaria che interessa il bilancio nonché delle norme penali a presidio della correttezza di quest'ultimo, si coglie un dato non contestabile e cioè che la tutela penale è da individuarsi nella trasparenza societaria .

Particolare rilievo, continuano i giudici delle Sezioni unite, assumono gli articoli da 2423 a 2427 del codice civile che, come noto, contengono disposizioni sulla redazione del bilancio, sui principi, sulla struttura dello stato patrimoniale, del conto economico, sui criteri di valutazione e sul contenuto della nota integrativa (cfr., sul modello di bilancio disciplinato dal codice civile, SOSTERO-FERRARESE-MANCIN-MARCON; nonché, anche per l'individuazione di casi pratici inerenti fatti materiali o valutazioni DEZZANI).

Orbene, dalla lettura delle norme richiamate appare evidente che il Legislatore, oltre a farsi carico di indicare la struttura e il contenuto del bilancio, detta anche i criteri di redazione dello stesso.

Non solo: il Legislatore, ed è questo l'aspetto più interessante per la soluzione del quesito, impone canoni di valutazione e indica quale debba essere il contenuto della nota integrativa.

Ne discende che il bilancio, in tutte le sue componenti (stato patrimoniale, conto economico, rendiconto finanziario, nota integrativa), secondo le Sezioni unite è un documento dal contenuto essenzialmente valutativo; un documento in cui confluiscono dati certi (ad esempio, il costo di acquisto di un bene), dati stimati (ad esempio il prezzo di mercato di una merce) e dati congetturali (ad esempio le quote di ammortamento).

Il bilancio è dunque un documento la cui lettura presuppone una preparazione che consenta di apprezzare i criteri (sia legali, che tecnici) vigenti per la redazione.

È impensabile che il redattore di un bilancio non compia valutazioni che peraltro sono guidate dai criteri di redazione del bilancio.

Non è forse vero che attraverso questo strumento si forniscono notizie sulla consistenza e sulle prospettive dell'azienda a garanzia dei soggetti immediatamente interessati (cioè i soci e i creditori) e anche a tutela dei futuri e ipotetici soggetti che potrebbero entrare in contatto con l'azienda medesima?

Ebbene, i destinatari dell'informazione debbono essere posti in grado di effettuare la loro valutazione del bilancio e tale operazione non sarebbe possibile (ovvero sarebbe molto aleatoria) se non esistessero criteri obbligatori per eseguirla.

Criteri esistenti, come già detto, nella normativa nazionale (art. 2423 ss. c.c.) nonché nella normativa europea (IV Direttiva Cee sul bilancio di esercizio, VII Direttiva Cee su quello consolidato).

Quanto sopra riportato è più che sufficiente ad evidenziare come la decisione di cui trattasi ritenga, in buona sostanza, che tutta la normativa civilistica presuppone, o addirittura prescrive, il momento valutativo nella redazione del bilancio.

Anzi, proprio dalla suddetta normativa si evincono i criteri che delineano un vero e proprio metodo convenzionale di valutazione e ciò, secondo i giudici delle Sezioni unite, trova conferma dall'esistenza di voci quali:

  • ammortamenti;
  • svalutazione;
  • crediti;
  • partecipazione;
  • costi di sviluppo.

Ne consegue che sterilizzare (questo è l'esatto termine citato nella sentenza) il bilancio con riferimento al contenuto valutativo, significherebbe negarne la funzione e stravolgerne la natura.

(Segue). L'erronea contrapposizione tra “fatti materiali” e “valutazioni”

Una volta effettuato il suddetto chiarimento le Sezioni unite affrontano un altro punto decisivo per risolvere il quesito ritenendo errata l'interpretazione che intende contrapporre i fatti materiali, da esporsi in bilancio, alle valutazioni, che pure nel bilancio compaiono.

Ciò per la ragione che un bilancio non contiene fatti ma, più precisamente, il racconto di tali fatti.

Vale a dire, così come si legge testualmente nella decisione, che: un fatto, per quanto ‘materiale', deve comunque, per trovare collocazione in un bilancio, essere ‘raccontato' in unità monetarie e, dunque, valutato (o se si vuole apprezzato). Solo ciò che è già espresso in euro (la giacenza di cassa, il saldo di un conto corrente bancario) non necessita di tale conversione, non occorrendo omologare ciò che corrisponde alla unità di misura prevista dal legislatore.

Ed è proprio questo aspetto che viene utilizzato per criticare la tesi abrogazionista secondo la quale materiale sarebbe sinonimo di oggettivo e quindi di a-valutativo.

Così certamente non è per le Sezioni unite che, oltre al ragionamento sopra indicato, richiamano, anche su questo specifico passaggio della sentenza, l'invariato (e già menzionato in precedenza) art. 2638 c.c., norma che disciplina l'ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza.

Quest'ultima disposizione prevede esplicitamente che la condotta del soggetto attivo riguardi l'esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria e da ciò discende, secondo le Sezioni unite, che per il nostro Legislatore un fatto materiale ben può essere (anzi, quasi certamente sempre è) oggetto di valutazione in sede di bilancio.

D'altra parte le Sezioni unite non mancano di rilevare come, già sotto la vigenza della precedente normativa, la stessa suprema Corte mai ebbe a dubitare della valenza meramente concessiva del sintagma ancorché oggetto di valutazioni.

Tant'è vero che il reato previsto dall'art. 2638 c.c. si ritenne sussistente anche nel caso in cui la falsità fosse contenuta in giudizi estimativi delle poste di bilancio (e a tal proposito viene ricordata espressamente la sentenza n. 44702 del 28 settembre 2005 della quinta Sezione penale).

Proprio la circostanza che la disposizione di cui sopra è rimasta invariata, porta le Sezioni unite a ritenere che o la cancellazione dell'espressione ancorché oggetto di valutazioni dal testo dell'art. 2621 c.c. sia considerata tamquam non esset anche nell'art. 2638 c.c. ma non si vede come ciò sia possibile, ovvero, considerata la natura meramente concessiva/specificativa del sintagma e dunque la sua superfluità, la scomparsa delle ricordate quattro parole dal testo dell'art. 2621 c.c. non comporta una diversa configurazione della norma incriminatrice rispetto al passato.

Relativamente a questo aspetto, poche altre parole sono spese dalle Sezioni unite per ricordare innanzi tutto che la giurisprudenza antecedente alla riforma del 2015 era costante nel ritenere la sostanziale superfluità dell'inciso più volte ricordato.

Anche il parallelo con la normativa fiscale viene ad essere risolto agevolmente in quanto le Sezioni unite ritengono che l'accostamento tra il profilo delle valutazioni e la normativa fiscale ha perso, ormai da moltissimo tempo, ogni significato tenuto conto che già quando entrò in vigore la riforma del falso in bilancio, introdotta con il d.lgs. 61/2002, la frode fiscale prevista dall'art. 4, comma 1, lett. f), d.l. 429/1982 della cosiddetta manette agli evasori, era stata abrogata ed era comunque entrato in vigore l'art. 7, comma 2, del d.lgs. 74/2000 (tale ultima norma è stata a sua volta abrogata dall'art. 14 del d.lgs. 158/2015 anche se alcune disposizioni della stessa sono state inserite nei commi 1-bis e 1-ter dell'art. 4 del d.lgs. 74/2000 che punisce l'infedeltà dichiarativa; cfr., sugli effetti dell'abrogazione di cui trattasi, intervenuta con la recente riforma penale tributaria, GAMBOGI).

Del resto, si legge ancora in motivazione, laddove risulti chiaro che la soppressione dell'inciso in questione è irrilevante, diventa automaticamente priva di ogni rilievo l'altra e diversa questione riguardante il significato da attribuire alla materialità del fatto: espressione atecnica che non può essere intesa come antitetica alla soggettività delle valutazioni.

Conseguentemente nel bilancio vanno esposti tutti quei fatti passibili di traduzione in termini contabili e monetari e dunque gli elementi di composizione del patrimonio aziendale come valutati dal redattore di bilancio secondo parametri, legali e scientifici, che l'agente deve rispettare.

(Segue). L'atto valutativo: liceità dell'apprezzamento discrezionale laddove siano rispettati i parametri legislativi dati

A parere dello scrivente vi è un ulteriore significativo aspetto del percorso argomentativo delle Sezioni unite che merita di essere evidenziato.

Il profilo infatti è estremamente importante, forse il più importante aspetto per comprendere gli effetti della decisione.

Più precisamente le Sezioni unite, dopo aver richiamato un'importante decisione della Sezione feriale, la n. 39843/2015, in tema di falso ideologico in atto pubblico ed in particolare di provvedimenti urbanistici di tipo abilitativo con riferimento all'omessa indicazione della reale consistenza delle opere e della loro incidenza sulla realtà territoriale, precisano, in maniera inequivocabile, che l'atto valutativo comporta necessariamente un apprezzamento discrezionale ma, nel caso dei bilanci così come nella materia urbanistica, si tratta di una discrezionalità tecnica.

Prova ne sia, per quanto attiene al bilancio, che le scienze contabilistiche, secondo le Sezioni unite, appartengono al novero delle discipline a ridotto margine di opinabilità.

Pertanto la valutazione dei fatti oggetto di falso investe la loro materialità.

Ma è ancor più importante notare come la gran parte delle attività valutative sia ricollegabile a parametri stabiliti per legge.

Con l'ovvia conseguenza che la redazione del bilancio è attività sindacabile anche con riferimento al momento valutativo: le valutazioni, come detto, non sono sempre libere ma spesso sono vincolate normativamente e/o tecnicamente.

(Segue). Il concetto di rilevanza: pericolosità conseguente alla falsificazione

Ultimo argomento affrontato prima di arrivare all'enunciazione del principio di diritto già riportato in precedenza è quello relativo alla definizione del concetto di rilevanza ai fini del falso in bilancio.

L'origine del suddetto concetto è desumibile dalla normativa comunitaria dalla quale discende che l'informazione è rilevante quando l'omissione o l'errata indicazione della medesima potrebbe ragionevolmente influenzare le decisioni prese sulla base del bilancio d'impresa (sul punto specifico le Sezioni unite richiamano, condividendone il contenuto, la sentenza n. 890/2015 della quinta Sezione; cfr., su questo aspetto specifico, DEZZANI nonché MUCCIARELLI,Falso in bilancio …).

È interessante notare come, per le Sezioni unite, il requisito risulta aver sostituito il previgente parametro dell'idoneità ad indurre in errore i destinatari (oltre alle soglie percentuali di punibilità) in relazione alla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società.

Ma a ben vedere, sostengono le Sezioni unite, l'idoneità ad indurre in errore altro non è che il riflesso soggettivo della rilevanza dell'alterazione dei dati di bilancio e si risolve nell'efficacia decettiva o fuorviante dell'informazione omessa o falsa.

Insomma, non v'è dubbio che il falso deve essere tale da alterare in misura apprezzabile il quadro d'insieme e deve influire sulla capacità di determinazione dei soci, dei creditori o del pubblico.

La rilevanza, sotto questo profilo, altro non è che la pericolosità conseguente alla falsificazione.

Il che conferma che il reato di false comunicazioni sociali rientra tra quelli di pericolo (concreto).

(Segue). L'apprezzamento ex ante circa la potenziale decettività dell'informazione falsa

Non mancano infine le Sezioni unite di rilevare che l'eliminazione di ogni riferimento a soglie percentuali di rilevanza, caratterizzanti il precedente falso in bilancio, sta a significare che la nuova normativa affida al Giudice la valutazione concreta dell'incidenza della falsa appostazione o della arbitraria preterizione della medesima.

Più precisamente, anzi testualmente, si legge nella motivazione che dovrà il Giudice operare una valutazione di causalità ex ante, vale adire che dovrà valutare la potenzialità decettiva dell'informazione falsa contenuta nel bilancio e, in ultima analisi, dovrà esprimere un giudizio prognostico sull'idoneità degli artifizi e raggiri contenuti nel predetto documento contabile, nell'ottica di una potenziale induzione in errore in incertam personam. Tale rilevanza, proprio perché non più ancorata a soglie numeriche predeterminate, ma apprezzata dal giudicante in relazione alle scelte che i destinatari dell'informazione ‘soci, creditori, potenziali investitori' potrebbero effettuare, connota la falsità di cui agli artt. 2621, 2621 bis e 2622 c.c.

È evidente peraltro che le potenzialità ingannatorie ben possono derivare, oltre che dalle esposizioni in bilancio di un bene inesistente, o dall'omissione del bene esistente, dalla falsa valutazione del bene stesso, allorché sia presente nel patrimonio sociale.

L'alterazione del dato non deve incidere necessariamente sul versante quantitativo, potendo benissimo avere attitudine ingannatoria ed efficacia fuorviante nei confronti del lettore del bilancio anche il cosiddetto falso qualitativo.

In conclusione

Piaccia o non piaccia il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite, certo è che siamo in presenza, come notato correttamente da altro autore, di una decisione davvero pregevole (cfr., PIVA)

La sentenza infatti offre molteplici spunti per far comprendere al lettore come l'interpretazione di una norma non possa essere relegata alla sola analisi del testo.

Soccorrono infatti, per comprendere appieno la volontà legislativa, l'interpretazione letterale, prima di tutto, e anche, non meno importanti, quella teleologica e quella logica-sistematica.

Le Sezioni unite chiariscono, innanzi tutto, proprio questo aspetto e non mancano anche di valutare il rapporto tra le varie interpretazioni consegnando quindi al lettore una sentenza completa ed esaustiva in ogni sua parte.

È innegabile d'altra parte che la legge n. 69/2015 abbia modificato in maniera molto significativa le fattispecie di false comunicazioni sociali previste dagli artt. 2621 e 2622 c.c., con una netta inversione di tendenza rispetto alle scelte operate, nel 2002, dal Legislatore.

Non era quindi difficile prevedere che proprio questo, così netto, cambio di orientamento rispetto al passato avrebbe creato qualche problematica per l'esatta individuazione della portata applicativa del nuovo art. 2621 c.c. (è bene peraltro chiarire che, come si desume dal contributo di altro autore, proprio l'importanza della modifica legislativa, crea non soltanto il problema applicativo di cui sopra, ma anche altri, per esempio quello relativo all'esatta valenza da attribuire alle disposizioni di favore contenute negli artt. 2621-bis e 2621-ter c.c. MUCCIARELLI, Le “nuove” false…)

Né potevano esservi molti dubbi sul fatto che il vero problema riguardasse la soppressione, negli artt. 2621 e 2622 c.c., delle parole più volte ricordate e soprattutto se tale scelta comportasse o meno una vera e propria abolitio criminis.

Peraltro, come ricordato da altri, neppure i lavori preparatori alla riforma offrivano elementi di certezza se è vero, com'è vero, che nella seduta 18 marzo 2015 della Commissione Giustizia al Senato perfino lo stesso relatore della legge alla domanda Se la nozione di fatti non rispondenti al vero comprenda anche le valutazioni di stima peritale rispose che sarà opera dell'interpretazione giurisprudenziale stabilire se le valutazioni debbano essere considerate ai fini della sussistenza del requisito della non rispondenza al vero (cfr., sul punto, D'ALESSANDRO).

Insomma il contrasto giurisprudenziale, peraltro tutto interno alla quinta Sezione, di cui si è ampiamente parlato in precedenza, era uno scenario immaginabile.

Semmai deve rilevarsi come la soluzione alla quale si è giunti da parte delle Sezioni unite era in qualche modo già indicata nell'interessante relazione, in tema di false comunicazioni sociali, dell'Ufficio del Massimario della Suprema Corte di cassazione datata 15 ottobre 2015.

Non è un caso infatti che nel suddetto documento (cfr., pag. 15 e pag. 16) si affrontino due argomenti importanti: innanzi tutto la valenza della eliminazione del sintagma ancorché oggetto di valutazioni; in secondo luogo la mancata modifica dell'art. 2638 c.c.

Rispetto alla prima delle due questioni sopra indicate l'Ufficio del Massimario offriva, già nell'autunno dello scorso anno, interessanti osservazioni e precisamente:

  • che l'espressione di cui trattasi sin dalla sua introduzione fu ritenuta frutto di una superfetazione che nulla aggiunge e nulla toglie ai fatti di cui al previgente art. 2621, n. 1, c.c. e che, soprattutto, nelle nuove fattispecie (cioè quelle post riforma del 2002) la locuzione fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni finisce col risultare equivalente all'espressione fatti non rispondenti al vero;
  • che la non decisività del sintagma sopra richiamato traeva origine dal valore attribuibile alla congiunzione ‘ancorché' verosimilmente impiegata dal legislatore (quello del 2002) per espungere le valutazioni dalla fattispecie delle false comunicazioni sociali tanto che già nell'immediatezza di quella riforma la dottrina si era impegnata a spiegare che in realtà così non era e che anzi l'uso delle espressioni fatti materiali e ancorché oggetto di valutazioni aveva semmai la funzione di esplicitare la punibilità di quest'ultime;
  • che il vecchio art. 2621 c.c. (cioè quello ante riforma 2002) e quello contenuto nella riforma stessa dicevano sostanzialmente le stesse cose;
  • che per attribuire alla mera non riproduzione della formula ancorché oggetto di valutazioni il significato della irrilevanza penale delle valutazioni bisognerebbe dare per certa una condizione ulteriore e cioè che all'espressione fosse effettivamente attribuibile, in maniera univoca e certa, tale significato: condizione questa che in realtà non esiste.

Proprio per questi motivi l'Ufficio del Massimario ha ritenuto che la tesi abrogazionista (la quale nell'ottobre 2015, com'è noto, si era già manifestata) esprimesse una soluzione interpretativa assai azzardata e non condivisibile.

Interessante anche il modo con il quale l'Ufficio del Massimario ha affrontato il rapporto tra l'art. 2621 c.c. e l'art. 2638 c.c.

In particolare vengono richiamati due precedenti della quinta Sezione penale (la sentenza n. 44702/2005 e la sentenza n. 49362/2012) dalle quali si può desumere che la suprema Corte ebbe a ritenere che l'espressione fatti materiali ancorché oggetto di valutazioni fosse da considerarsi coincidente con quella di fatti non corrispondenti al vero cioè sostanzialmente coincidente con il testo originario dell'art. 2621 c.c.

Difficile quindi muovere critiche alla sentenza in commento anche perché oltre agli aspetti sopra indicati (quelli cioè già trattati dal Massimario) la decisione, come si è visto in precedenza, è caratterizzata da un percorso argomentativo estremamente puntuale e molto approfondito.

A parere di chi scrive va colto infine un aspetto importante che riguarda proprio la necessità di ragionare in termini di stretto rapporto tra la disciplina civilistica del bilancio e la normativa penale che punisce la falsità del medesimo.

La constatazione pare banale ma in realtà così non è.

È' proprio dalla lettura delle norme del codice civile, e segnatamente di alcuni articoli dedicati al bilancio e cioè dall'art. 2423 al 2427 c.c., che si comprende come laddove si ritenesse non più rilevante dal punto di vista penale la falsa valutazione, finiremmo per ottenere una vera e propria crisi di sistema.

Si pensi soprattutto all'art. 2426 c.c. che offre criteri di valutazione che devono essere osservati.

Norma quest'ultima che non può essere interpretata se non nel senso di obbligare il redattore del bilancio ad offrire, laddove si debbano valutare tutta una serie di situazioni (dalle immobilizzazioni, ai costi di impianto e di ampliamento, ai costi di ricerca e di sviluppo, alla valutazione delle rimanenze e dei crediti), informazioni corrette e soprattutto coerenti con i criteri non derogabili previsti dal Legislatore.

Negare la rilevanza penale della falsa valutazione significherebbe, proprio come evidenziato nella decisione in commento, sterilizzare il bilancio con riferimento agli aspetti valutativi, finendo quindi per stravolgerne la natura e soprattutto negare la funzione (sempre finalizzata a dare una corretta e leale rappresentazione dell'andamento societario e delle consistenze patrimoniali al lettore).

A ciò si aggiunga che, proprio nella sentenza in commento, si da atto che il cosiddetto falso valutativo è ben delineato dalla giurisprudenza di legittimità tanto che i suoi confini ed il suo contenuto sono ben tracciati.

È certamente possibile ipotizzare la falsità di enunciati valutativi tanto in tema di falso ideologico (ex art. 479 c.p.), quanto in tema di falsa perizia (ex art. 373 c.p.).

Analoghe statuizioni, ricordano le Sezioni Unite, erano già state enunciate anche in tema di false comunicazioni sociali e precisamente con la sentenza 8984/00 della stessa Quinta Sezione (cfr., Cass. pen., Sez. V, 18 maggio 2000, n. 8984, in Cass. pen., 2001, 3173).

È quindi innegabile che la valutazione, laddove sia correlata al rispetto di criteri vincolanti e predeterminati dal Legislatore, diventi rappresentazione della realtà assai vicino alla descrizione sebbene l'ambito del suo apprezzamento possa essere variabile, così come sempre la quinta Sezione penale ebbe a stabilire con l'ormai lontana sentenza n. 3552/1999 (cfr., Cass. Pen., Sez. V, 18 marzo 1999, in Cass. pen., fasc. 9, 2000, 2265, con nota di ANGELINI).

Ciò conferma, a parere di chi scrive, la condivisibile scelta delle Sezioni unite e del resto come può negarsi che sia falsa (e quindi penalmente rilevante) quella valutazione che contraddica criteri di determinazione o si discosti in maniera evidente da parametri legali certi traendo in inganno i destinatari del bilancio stesso?

Rispondere in maniera negativa significherebbe disconoscere il principio cardine della tutela penale e cioè quello di garantire la trasparenza societaria.

Guida all'approfondimento

CARACCIOLI, La persistente punibilità delle “valutazioni” nel falso in bilancio, in Il Fisco, n. 26, 2016, 2551 ss.;

D'ALESSANDRO,La riforma delle false comunicazioni sociali al vaglio del Giudice di legittimità: davvero penalmente rilevanti le dichiarazioni mendaci?, in Giur. it., 2015, 2213;

D'AVIRRO, La nuova ipotesi di frode fiscale (lettera f art. 4 legge 516/1982), in Riv. Trim. Dir. Pen. Econ., 1991, 881-909;

D'AVIRRO, Falso in bilancio e valutazioni: disorientamenti giurisprudenziali, in questa rivista

DELL'ANNO-TITO, I reati tributari in materia di imposte dirette ed iva, Milano, 1992, 562-598;

DEZZANI,Il falso in bilancio comprende anche le valutazioni (o stime), in Il Fisco, n. 26/2016, 2558 e 2559

GAMBARDELLA, Il “ritorno” del delitto di false comunicazioni sociali: tra fatti materiali rilevanti, fatti di lieve entità e fatti di particolare entità, in Cass. pen., 5, 2015, 1723 ss.;

GAMBOGI, La riforma dei reati tributari, Milano, 2016, 149 SS.;

IMPERATO, I componenti ‘valutativi' del reddito e la frode fiscale, in Il Fisco, n. 41/1991, 6757-6766;

LANZI, Quello strano scoop del falso in bilancio che ritorna reato, in Guida al Diritto, n. 26, 2015, pag. 12; MASULLO, Oltre il dato normativo: la ragionevole punibilità delle false valutazioni, in Cass. pen., n. 4/2016, 1429 ss.;

MUCCIARELLI, Falso in bilancio e valutazioni: la legalità restaurata dalla Cassazione, in Dir. pen. cont.

MUCCIARELLI, Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, in Dir. pen. cont.;

MUCCIARELLI, Oltre un discusso “ancorché” le Sezioni Unite della Corte di Cassazione e la legalità dell'interpretazione: qualche nota, in Dir. pen. cont.;

PERINI, I ‘fatti materiali non rispondenti al vero': harakiri del futuribile “falso in bilancio”!', in Dir. pen. cont.; SANTORIELLO, Rilevanza penale della valutazione di bilancio. Poche parole per riportare ordine in un dibattito isterico, in Arch. Pen., 2, 2015, 1 ss.;

PIVA,Le Sezioni Unite sulle valutazioni: dai finti ai veri problemi delle nuove false comunicazioni sociali, in Dir. pen. cont.;

SOSTERO-FERRARESE-MANCIN-MARCON, L'analisi economica-finanziaria di bilancio, 129 ss., Milano, 2016;

TRAVERSI, La frode fiscale dopo i contrasti giurisprudenziali e nella legge n. 154/1991. Quali nuove applicazioni concrete?, in Il Fisco, 29/1992, 7137-7138 e 7199-7202.

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