La c.d. falsità parziale nel delitto di calunnia

01 Settembre 2015

L'interrogativo da cui si intende prendere le mosse concerne la configurabilità del delitto di calunnia nelle ipotesi di falsità c.d. parziale; per “falsità parziale” si intendono sia i casi in cui l'incolpazione abbia ad oggetto più addebiti, dei quali alcuni siano falsi.
Abstract

L'interrogativo da cui si intende prendere le mosse concerne la configurabilità del delitto di calunnia nelle ipotesi di falsità c.d. parziale.

Per “falsità parziale” si intendono sia i casi in cui l'incolpazione abbia ad oggetto più addebiti, dei quali alcuni siano falsi (per essi è pacificamente configurabile la calunnia); sia le ipotesi in cui l'incolpazione abbia ad oggetto un fatto-reato realmente commesso dall'accusato, rispetto al quale tuttavia il dichiarante aggiunga elementi che ne aumentano la gravità o ne modificano la qualità: indicazione di un danno cagionato maggiore, di circostanze aggravanti inesistenti, di elementi che comportino una modificazione del titolo di reato (Pulitanò, voce Calunnia e autocalunnia, in Dig.disc.pen., II, 1988, p. 15).

Rispetto a tale tema, la dottrina e la giurisprudenza hanno prospettato soluzioni diverse in ordine alla configurabilità del delitto di calunnia.

Nozione di falsità parziale

Si parla di “falsità parziali”, pertanto, a proposito di dichiarazioni mendaci in grado di incidere sugli interessi protetti dalla norma, non solo sotto il profilo del travisamento della giustizia, ma anche dell'onore e della libertà dell'accusato, suscettibile di essere sottoposto ad un procedimento penale per un reato più grave - comportante conseguenza sanzionatorie più severe - ovvero alla sottoposizione a misure cautelari, in ragione della qualificazione mendace del fatto o della dichiarata esistenza di circostanze aggravanti.

A rigore non rientrerebbe nella nozione di falsità parziale l'ipotesi in cui il denunciante ometta di dichiarare l'esistenza di una causa di giustificazione. In tale caso, infatti, il soggetto accusato deve considerarsi “innocente” (diversamente dai casi di falsità parziale precedentemente descritti), in quanto l'ordinamento qualifica come “lecito”, in quanto giustificato, il suo comportamento (es. Tizio accusa Caio di avergli procurato delle lesioni, tacendo che ciò è avvenuto in reazione ad un'aggressione del primo).

La giurisprudenza ricomprende tuttavia anche questa ipotesi nel novero delle c.d. falsità parziali, disponendo come integri il delitto di calunnia la denuncia con la quale si rappresentino circostanze vere, astrattamente riconducibili ad una determinata figura criminosa, celando però consapevolmente la concorrenza di una causa di giustificazione (Cass. pen., Sez. VI, n. 1255/2013; la Corte ha così ritenuto configurabile il reato, nella denuncia contenente un'accusa verso persone intervistate da un'emittente televisiva di aver mentito con intenzioni diffamatorie, essendo invece il denunciante consapevole della verità dei fatti dichiarati).

Elaborazione in sede dottrinale di criteri di soluzione della questione della configurabilità del delitto di cui all'art. 368 c.p.

L'individuazione di un criterio che consenta di stabilire quando una persona possa essere qualificata come “innocente” e, dunque, sia configurabile la fattispecie di calunnia, in presenza di una diversità tra fatto oggetto di incolpazione e fatto realmente realizzato, vede soluzioni diverse, sia in sede dottrinale che giurisprudenziale.

La dottrina si divide tra coloro che propongono un criterio “formale” e coloro che propongono invece la soluzione dei casi problematici di falsità parziale ricorrendo ad un criterio “sostanziale” (Piffer, I delitti contro l'amministrazione della giustizia, Cedam, 2005, p. 238 s.). A tenore del primo, l'attribuzione di circostanze aggravanti non integrerebbe il delitto di calunnia, che invece ricorrerebbe quando l'attribuzione mendace abbia determinato il mutamento del titolo di reato. Tale criterio troverebbe legittimazione nella Relazione ministeriale al Codice Rocco, che esclude la configurabilità della calunnia nell'ipotesi di “attribuzione di circostanze aggravanti inesistenti di reato, che fosse stato effettivamente commesso”.

In senso critico rispetto all'accoglimento di tale parametro di valutazione della ricorrenza del delitto di cui all'art. 368 c.p., è stato osservato come la sua validità potrebbe dirsi condizionata alla restrizione dell'oggetto di tutela del reato di calunnia alla finalità di evitare procedimenti superflui, dal momento che comunque si dovrebbe procedere per il reato “minore”; ma laddove la ratio della previsione del reato di calunnia venisse incentrata sulla tutela dell'innocenza, a fronte di falsità idonee a comportare un rischio penale ingiustificato, allora qualsiasi elemento che rischi di produrre questo effetto sarà in grado di configurare il delitto di cui all'art. 368 c.p. (Pulitanò, voce Calunnia e autocalunnia, in Dig.disc.pen., II, 1988, p. 16).

Il criterio “sostanziale” consente di superare queste riserve, in quanto propone di configurare la calunnia solo nel caso in cui l'attribuzione di un fatto diverso da quello commesso, comporti conseguenze sanzionatorie significativamente diverse e più gravi. Rileveranno pertanto, sia l'esagerare l'entità del danno o altri indici di commisurazione della pena, che allegare circostanza aggravanti inesistenti o elementi specializzanti di un titolo di reato più grave, in quanto tutti elementi in grado di mettere in pericolo l'innocenza dell'incolpato (Pulitanò, voce Calunnia e autocalunnia, in Dig.disc.pen., II, 1988, p. 16).

Applicazioni in sede giurisprudenziale

Il criterio del “reato diverso e più grave”, rispetto a quello effettivamente commesso dalla persona falsamente incolpata, come parametro per valutare la configurabilità del delitto di calunnia, viene adottato dalla giurisprudenza, benché secondo modulazioni diverse e non sempre univoche.

In talune decisioni la “diversità del reato” e la “maggiore gravità” non vengono richieste congiuntamente, ravvisandosi nella solo diversità del titolo del reato il presupposto sufficiente per ritenere integrata la calunnia; si è così affermato come l'attribuzione del reato all'incolpato debba riguardare un reato diverso da quello effettivamente commesso, indipendentemente dalla diversa gravità. La Suprema Corte ha sostenuto la sussistenza del reato di calunnia anche quando il fatto oggetto della falsa incolpazione sia essenzialmente diverso da quello realmente accaduto, ovvero quando al denunciato sia attribuito un reato diverso per titolo e più grave (Cass. pen., Sez. VI, n. 2805/2006).

Si è tuttavia precisato come questa condizione non si realizzi allorché la diversità, non incidendo sull'essenza del fatto, comporti soltanto la configurazione di circostanze aggravanti che non ne alterino la gravità oggettiva (Cass. pen., Sez. VI, n. 2805/2006). Nella vicenda oggetto della decisione l'agente, nel denunciare un oltraggio effettivamente subito, aveva falsamente riferito di essere stato minacciato: la Corte ha negato che i profili di falsità accertati costituissero una effettiva, diversa, gravità del fatto realmente accaduto).

Sempre nel senso dell'esclusione della calunnia, ove i profili di falsità non incidano sul giudizio di sussistenza del fatto e sulla relativa qualificazione giuridica, anche se da essi possa derivare l'indebita contestazione di circostanze aggravanti, altra decisione della Suprema Corte (Cass. pen., Sez. VI, n. 25901/2003; nel caso oggetto della decisione il denunciante aveva riferito falsamente che le lesioni effettivamente subite erano state provocate da un coltello, del quale il denunciato non aveva in realtà fatto uso).

In altri casi, invero più rari, la giurisprudenza ha invece ritenuto configurabile il reato di calunnia a proposito della falsa attribuzione di circostanza diverse e più gravi di quelle realmente verificatesi (Cass. pen., Sez. VI, n. 1744/2002; Cass. pen., Sez. VI, n. 6522/1984),

Interessante l'ipotesi della “falsità parziale” realizzata sottacendo artatamente taluni elementi della fattispecie, così da far apparire come fatti illeciti o maggiormente lesivi di quanto essi siano effettivamente, comportamenti realmente tenuti dall'incolpato. Si precisa come debba trattarsi di una omissione narrativa tale da influire sul reato addebitato, nel senso che, in sua mancanza, il reato sarebbe escluso ovvero di specie diversa e meno grave di quello che appare nel racconto (Cass. pen., Sez. VI, n. 7722/2004; la Corte, ha escluso che ricorresse la condizione nel solo fatto che l'imputato – cui si addebitava di avere calunniosamente accusato alcuni agenti dell'arma dei carabinieri di averlo sottoposto a pestaggio, dopo averlo condotto a seguito di un controllo presso il loro comando - avesse taciuto di essersi trovati in stato di ubriachezza e di aver dato in escandescenze colpendo uno dei militari con un pugno).

In conclusione

Le considerazioni svolte consentono di individuare nella considerazione che si intende assegnare alla tutela della libertà e dell'onore del soggetto passivo, l'elemento in grado di condizionare, nei casi di c.d. falsità parziale, la configurabilità (o meno) del delitto di calunnia.

Tanto più la falsa incolpazione di elementi non ricorrenti nella condotta del soggetto passivo, rischierà di far correre ad esso quello che è stato definito un “rischio ingiustificato”, tanto più la considerazione della gravosità delle conseguenze che tali mendaci dichiarazioni rischiano di produrre in capo al soggetto passivo, imporranno una loro qualificazione nei termini descritti dall'art. 368 c.p., in quanto congrui rispetto alla sua ratio di tutela.

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