Il mero possesso di denaro contante non vale ad integrare il reato di riciclaggio

01 Settembre 2016

La questione che viene risolta dalla Corte di cassazione nella pronuncia in commento inerisce ai presupposti per l'adozione di un sequestro probatorio, con riferimento al delitto di riciclaggio e, in particolare, ai requisiti necessari per poter sottoporre a cautela reale il denaro contante in possesso dell'indiziato di reato.
Massima

Il mero possesso di un'ingente somma di denaro non può giustificare ex se, in assenza di qualsiasi riscontro investigativo, l'elevazione di un'imputazione di riciclaggio senza che sia in alcun modo stata verificata l'esistenza del delitto presupposto, od anche solo l'esistenza di relazioni tra il ricorrente ed ambienti criminali, ovvero la precedente commissione di fatti di reato dai quali era derivato quel denaro, o l'avvenuto compimento di operazioni di investimento comunque di natura illecita a qualsiasi titolo.

Il caso

Il tribunale del riesame di Como rigettava la richiesta di riesame presentata dal prevenuto avverso due decreti di sequestro probatorio disposti dalla pubblica accusa, aventi ad oggetto ingenti somme di denaro contante, di cui l'indagato era stato trovato in possesso mentre faceva ingresso nello stato italiano, attraverso la frontiera di Brogeda.

Secondo il tribunale adito, l'indicazione del reato di riciclaggio era sufficiente per ritenere la sussistenza del fumus commissi delicti, non essendo necessaria una formale imputazione; mentre, con riguardo alle argomentazioni per l'adozione del provvedimento, non occorreva indicare le esigenze probatorie che imponevano il sequestro del denaro, dovendosi ritenere verosimilmente corpo del reato.

Inoltre, a sostegno della misura, il tribunale evidenziava che le esigenze investigative di ricostruzione delle operazioni eseguite dall'indagato, richiedevano il mantenimento del sequestro delle somme di denaro, dei telefoni cellulari nonché della documentazione varia sottoposta a vincolo.

L'indagato, per mezzo del proprio difensore, proponeva ricorso per cassazione presentando due motivi di ricorso.

Con il primo, deduceva l'insussistenza del fumus commissi delicti del delitto di riciclaggio poiché, da un lato, mancava qualsiasi riferimento al reato presupposto e, dall'altro, emergevano invece elementi probatori dai quali era possibile desumere che l'indagato, unitamente agli altri occupanti la vettura, fosse un gioielliere e, pertanto, portava con sé consistenti somme di denaro unicamente al fine di acquistare monili.

Il ricorrente lamentava, con il secondo motivo, la mancata esplicitazione delle esigenze probatorie sottese al sequestro, in violazione dei principi espressi dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 5876 udel 2004, secondo cui nell'adottare il provvedimento di sequestro l'autorità giudiziaria deve esplicitare le ragioni che impongono il vincolo nonché il tipo di contributo eziologico che lo stesso può fornire per l'accertamento dei fatti.

Concordemente, il procuratore generale chiedeva l'annullamento dell'impugnato provvedimento adducendo che alcuna motivazione era stata spesa con riguardo al sequestro, evidenziando, peraltro, come in merito al possesso di denaro era stata fornita un'idonea giustificazione, in alcun modo valutata dal Tribunale del Riesame.

Infine, rilevava che alcun argomento era stato indicato con riferimento all'esistenza del reato presupposto.

I giudici del Supremo Consesso ritenevano il ricorso fondato e meritevole di accoglimento.

La questione

La questione che viene risolta dalla Corte di cassazione nella pronuncia in commento inerisce ai presupposti per l'adozione di un sequestro probatorio, con riferimento al delitto di riciclaggio e, in particolare, ai requisiti necessari per poter sottoporre a cautela reale il denaro contante in possesso dell'indiziato di reato.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di legittimità, prima di addentrarsi nel tema oggetto del ricorso, affrontano due questioni preliminari.

In particolare, la Corte rileva come la giurisprudenza abbia già avuto modo di stabilire che il decreto di sequestro probatorio del corpo del reato deve essere necessariamente motivato con riferimento alla finalità perseguita per l'accertamento dei fatti, con l'ulteriore previsione che la motivazione che non può essere integrata dal tribunale del riesame (cfr., Cass. pen., Sez. III, 6 maggio 2014, n. 37187).

Inoltre, è stato altresì affermato che ai fini della legittimità del sequestro probatorio di somme di denaro collegate ad una fattispecie criminosa, non è necessaria la prova della pertinenzialità della cosa oggetto del vincolo o del corpo delreato, essendo sufficiente la mera possibilità della configurabilità di un rapporto tra le cose ed il reato, purché questa possibilità non sia astratta ed avulsa dalle caratteristiche del caso concreto (cfr., Cass. pen., Sez. VI, 2 aprile 2014, n. 33229).

Ebbene, secondo il supremo Consesso il tribunale del riesame di Como non avrebbe fatto corretto uso dei principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza in tema di sequestro probatorio.

Del resto, osserva la Corte, nel caso in esame correttamente il procuratore generale ha evidenziato come il reato presupposto del delitto di riciclaggio sia unicamente frutto di un'ipotesi accusatoria, carente di qualsiasi fondamento probatorio e basata solo sulla ingente quantità del contante posseduto dal prevenuto.

La Corte di cassazione critica tale impostazione, stabilendo che il mero possesso di somme di denaro, ancorché di ingente importo, non possa valere a giustificare, ex se, in assenza di alcun dato che corrobori l'ipotesi investigativa, la contestazione del reato di riciclaggio, in mancanza di una verifica in ordine all'esistenza di un delitto presupposto.

Pertanto, concludono i giudici aditi, in assenza di elementi che fondino la prova dell'esistenza di un delitto presupposto, di legami tra il prevenuto ed ambienti criminali, così come della commissione di precedenti reati dai quali può essere derivato il denaro o, infine, di operazioni di investimento di natura illecita aventi ad oggetto il denaro, non è possibile ipotizzare la fattispecie di riciclaggio e, di conseguenza, sottoporre a sequestro il denaro rinvenuto in possesso dell'indagato.

Tale conclusione, secondo la suprema Corte, appare ancor più fondata se si considera che nel caso in esame era stata fornita dal prevenuto un'idonea giustificazione che non era stata in alcun modo smentita da elementi di indagine di segno opposto.

Tanto premesso, la Corte rileva però che, se è vero che il mero possesso di denaro contante non possa assumere rilevanza ai fini di dell'elevazione di un'imputazione di riciclaggio, tale condotta, commessa all'atto dell'ingresso in Italia, comporta la violazione della normativa valutaria contenuta nel d.lgs. 195 del 2008, con conseguente applicabilità della misura amministrativa del sequestro.

Alla luce delle osservazioni sopra riportate, la Corte ha annullato senza rinvio l'impugnata ordinanza nonché i decreti di convalida dei sequestri probatori, disponendo la trasmissione degli atti all'Ufficio delle Dogane di Como competente ai fini dell'adozione dei provvedimenti di natura amministrativa ed ha mantenuto, pertanto, allo stato, il vincolo sui beni oggetto di sequestro.

Osservazione

La sentenza in evidenza esamina il già noto tema relativo ai presupposti per l'adozione del sequestro probatorio, in particolare relativamente al reato di riciclaggio, nonché ai requisiti della motivazione del provvedimento.

Il profilo della sentenza in commento, su cui preme soffermarsi maggiormente, s'incentra sull'accertamento, ai fini dell'adozione di un sequestro probatorio, del fumus commissi delicti del reato di riciclaggio.

In termini più generali, sul punto, occorre ricordare come la giurisprudenza di legittimità abbia già avuto modo di stabilire come non sia necessario verificare la sussistenza del fatto reato, essendo sufficiente accertare se il fatto contestato possa astrattamente configurare il reato ipotizzato; trattandosi sostanzialmente di effettuare un controllo sulla compatibilità tra fattispecie concreta e quella legale tipizzata, mediante una deliberazione prioritaria dell'antigiuridicità penale del fatto (cfr., Cass. pen., Sez. unite, 27 marzo 1992; cass. pen., Sez. unite, 23 febbraio 2000; Cass. pen., Sez. II, 14 febbraio 2007).

Così definito il perimetro di valutazione, la Corte di cassazione ha offerto un'ampia casistica in tema di sussistenza del fumus commissi delicti del reato di riciclaggio.

A titolo esemplificativo, la Suprema Corte ha ritenuto immune da vizi l'ordinanza del tribunale del riesame, impugnata dal ricorrente, che aveva correttamente desunto l'origine illecita dei beni sequestrati da una serie di elementi, quali il copioso numero di titoli di credito nella disponibilità degli indagati, l'elevato importo della somma di denaro, le modalità di custodia ed occultamento (nel pensile della cucina e nel guardaroba), l'assenza di qualsiasi forma di giustificazione in ordine a tale disponibilità nonché i tentativi degli indagati di ostacolare l'attività di perquisizione ed i successivi tentativi di fuga (cfr., Cass. pen., Sez. II, sent. 7 gennaio 2016, n. 5142).

Coerentemente, occorre osservare come i giudici di legittimità abbiano giudicato insindacabile la motivazione del tribunale del riesame che aveva individuato il fumus richiesto per la sussistenza del delitto di riciclaggio nel ritrovamento di fotocopie di titoli consegnati all'indagato per il pagamento del carburante, sulle quali erano apposte annotazioni a favore di terzi per ricevuta, dimostrative del fatto che gli assegni fossero stati cambiati in favore di altri soggetti (cfr., Cass. pen., Sez. II, 22 settembre 2015, n. 41070).

Del pari, il supremo Consesso dichiarava infondato il ricorso del prevenuto, il quale deduceva carenza di motivazione dell'ordinanza, evidenziando al contrario come il tribunale avesse compiutamente sottolineato l'anomalia dell'operazione finanziaria che aveva visto l'impiego di ingente denaro contante, anziché di un bonifico, in mancanza di qualsiasi ragione giustificativa, la circostanza che l'indagato era amministratore di una società in debito col fisco nonché il trasferimento della somma di denaro in Croazia prima del rientro in Italia (cfr., Cass. pen., Sez. II, 15 settembre 2015, n. 49958).

È stata, altresì, ritenuta penalmente rilevante, ai fini dell'adozione del sequestro, l'operazione di svuotamento della cassa di un gruppo societario ed il successivo trasferimento del denaro ad un soggetto, attraverso assegni circolari e bonifici, con l'incarico di reimpiegare le somme per finanziaria altra società (cfr., Cass. pen., Sez. II, 9 febbraio 2016, n. 6148).

Sotto altro profilo, è stato precisato dalla giurisprudenza che, pur non essendo necessario, con riguardo ai delitti presupposto, che questi siano specificamente individuati ed accertati, è però indispensabile che essi risultino almeno astrattamente configurabili, non essendo sufficiente supporre l'illegittima provenienza di quanto sequestrato sulla sola base dell'incompatibilità tra le movimentazioni bancarie e i profili finanziari dei prevenuti (cfr., Cass. pen., Sez. II, 26 febbraio 2014, n. 21548).

Allo stesso modo, il sequestro è stato dichiarato illegittimo in un caso in cui i titoli oggetto del vincolo erano provento di attività illecite da accertarsi, dovendo in tale ipotesi escludersi la sussistenza del fumus del delitto di riciclaggio, in assenza di qualsivoglia indicazione sul delitto presupposto (cfr., Cass. pen., Sez. II, 20 maggio 1997, n. 3394).

Giova segnalare, da ultimo, come su di un tema affatto dissimile è intervenuta la Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 3691 del 27 febbraio 2016, in ordine al delitto, di recente introduzione, di autoriciclaggio.

Merita ricordare come i giudici del supremo Consesso abbiano ritenuto sussistere il fumus commissi delicti del reato di auto riciclaggio a seguito del rinvenimento di una rilevante somma di denaro in contanti, ripartita e confezionata con modalità tali da implicare la loro pronta circolazione con suddivisione in mazzette di banconote di grosso taglio, in possesso di un soggetto i cui redditi non giustificavano in alcun modo tali disponibilità.

I giudici, nella pronuncia sopra richiamata, hanno osservato come il ritrovamento nell'auto del prevenuto proveniente dalla Svizzera, all'atto di ingresso nel territorio italiano, di un doppio fondo contenente banconote, fosse sufficiente ad elevare una imputazione di auto-riciclaggio, quantomeno sotto il profilo del tentativo, se valutato unitamente ad altri elementi probatori emersi nel corso delle indagini, e segnatamente la circostanza che lo stesso soggetto, mesi prima, era stato ispezionato in aeroporto e trovato in possesso di 180.000 euro in contanti, ed altrettanti contanti erano stati ritrovati presso l'abitazione in sede di perquisizione.

Tali elementi secondo la Corte di cassazione giustificavano la sussistenza del fumus commissi delicti e portavano a concludere, pertanto, per la legittimità del sequestro operato sui beni del prevenuto.

In buona sostanza, dunque, secondo il costante insegnamento del Supremo Consesso, solo attraverso una adeguata motivazione risulta possibile verificare che sia soddisfatta l'esigenza di bilanciamento tra il bisogno della collettività di conservazione degli elementi di prova, ai fini della repressione dei reati, ed il contrapposto diritto del singolo individuo alla protezione della proprietà e quindi alla libera disponibilità del bene, che trova riconoscimento non solo nell'art. 42 della nostra Carta costituzionale ma anche nell'art. 1 del primo protocollo addizionale della Carta Europea dei Diritti dell'Uomo.

Si comprende, dunque, la necessità, in base ad una interpretazione costituzionalmente, ma anche convenzionalmente, orientata, che il provvedimento di sequestro motivi puntualmente in ordine al fumus commissi deliciti, al nesso di pertinenzialità tra la cosa e il reato ed, infine, in ordine alle esigenze probatorie giustificatrici.

Appare, del resto, sin troppo evidente che in assenza di un'idonea motivazione, il vincolo di indisponibilità che il sequestro probatorio crea sulla cosa oggetto di apprensione, si traduce in un'illegittima e ingiustificata aggressione della proprietà altrui, come tale non ammissibile in un sistema che, a contrario, mira a tutelare questo diritto contro limitazioni non espressamente previste dall'ordinamento giuridico.

Guida all'approfondimento

AMODIO, Del sequestro in funzione probatoria al sequestro preventivo: nuove dimensioni della “coercizione reale” nella prassi e nella giurisprudenza, in Cass. pen., 1982, p. 1072;

MASSARI, La necessità ai fini dell'accertamento come presupposto del sequestro del corpo del reato, in Cass. pen., 2004, p. 1927;

MONTAGNA, I sequestri nel sistema delle cautele penali, Padova, 2004, p. 194;

TONINI, Manuale di procedura penale, Giuffrè, 2015, p. 272.

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