La cooperazione colposa e il principio di affidamento nell'attività medica

Vittorio Nizza
02 Febbraio 2017

Con la sentenza in commento la Cassazione affronta due questioni rilevanti e tra loro connesse, la prima relativa alla configurabilità della cooperazione di persone nel reato colposo, la seconda relativa ai limiti del principio di affidamento in un ambito quale quello sanitario di necessaria cooperazione multidisciplinare per ...
Massima

Per la configurabilità della cooperazione colposa disciplinata dall'art. 113 c.p. è sufficiente la consapevolezza in capo all'agente della partecipazione di altri soggetti, indipendentemente dalla specifica conoscenza sia delle persone che operano sia delle specifiche condotte da ciascuna di esse poste in essere: è l'ipotesi che può verificarsi presso una struttura ospedaliera allorquando più sanitari, in successione, visitino il paziente. In proposito, ai fini della responsabilità del singolo operatore viene in rilievo il principio dell'affidamento, che peraltro non è invocabile quando il soggetto su cui grava l'obbligo di garanzia – e che invochi l'affidamento nell'altrui condotta – abbia posto in essere una condotta colposa, con efficienza causale nella determinazione dell'evento, unitamente alla condotta colposa di chi sia intervenuto successivamente. In tale evenienza, infatti, sussisterebbe la responsabilità anche del primo soggetto, a meno che possa affermarsi l'efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che tuttavia deve avere avuto caratteristiche di eccezionalità tali da far venir meno la situazione di pericolo originariamente provocata o tali da modificare la pregressa situazione, a tal punto da escludere la riconducibilità al precedente garante della scelta operata.

Il caso

Il procedimento in oggetto riguardava un'ipotesi di responsabilità medica per omicidio colposo per una complessa vicenda clinica che aveva visto coinvolti numerosi sanitari che avevano seguito la paziente presso la medesima struttura ospedaliera, paziente poi deceduta per un quadro conclamato di occlusione intestinale.

In particolare la signora si era recata al pronto soccorso lamentando forti dolori addominali. A seguito di accertamenti veniva riscontrata una situazione problematica all'addome e la pazienta veniva trasferita per ulteriori esami al competente reparto di chirurgia generale, centro trapianti fegato e pancreas, della medesima struttura ospedaliera. Veniva quindi sottoposta a nuovi esami diagnostici e visite specializzate e tutti i medici confermavano l'indicazione terapeutica del trattamento chirurgico trattandosi di conclamata occlusione intestinale. L'intervento chirurgico, però, veniva effettuato solo il giorno successivo quando ormai le condizioni della signora erano di grave emergenza, tanto che la stessa decedeva dopo nove giorni di ricovero presso il reparto di rianimazione.

I medici dell'ospedale che avevano seguito la vicenda clinica della signora venivano imputati per omicidio colposo in cooperazione tra loro ai sensi degli artt. 589 e 113 c.p. I sanitari venivano condannati in primo e secondo grado alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento dei danni a favore della parte civile costituita. Solamente uno dei medici coinvolti nella vicenda proponeva ricorso per Cassazione per carenza di motivazione della sentenza di secondo grado per la mancata o insufficiente individuazione dell'esatto ruolo del ricorrente nella vicenda.

La Corte di cassazione accoglieva il ricorso, annullando la sentenza impugnata con rinvio ad un'altra sezione della Corte d'appello.

La questione

La Corte di cassazione, nella sentenza in commento, affronta due questioni rilevanti e tra loro connesse, la prima relativa alla configurabilità della cooperazione di persone nel reato colposo, la seconda relativa ai limiti del principio di affidamento in un ambito quale quello sanitario di necessaria cooperazione multidisciplinare per il contestuale coinvolgimento di più medici.

Le soluzioni giuridiche

Il caso sottoposto all'attenzione della suprema Corte aveva visto coinvolti diversi sanitari del pronto soccorso e del reparto di chirurgia ove la paziente era stata ricoverata, visitata e sottoposta ad esami specifici. Si trattava, pertanto, di una situazione di necessario coinvolgimento integrato di più soggetti, ossia di professionisti con specialità e competenze differenziate che avevano seguito e dato il loro contributo all'interno della medesima vicenda sanitaria.

Osserva preliminarmente la Corte come nel caso di specie il tema di indagine non sia quello della colpa medica d'equipe, secondo il quale ciascun soggetto non solo deve rispettare i canoni di diligenza e prudenza connessi alle proprie mansioni ma anche valutare l'attività precedente e successiva svolta dai colleghi, pur se specialisti in altra disciplina, per valutarne la correttezza ed eventualmente intervenire in caso di errori evidenti e come tale rimediabili.

Nel caso di specie si verterebbe, invece, in un'ipotesi di cooperazione colposa. Tale istituto si configura con la semplice consapevolezza della partecipazione di altri soggetti, indipendentemente dalla specifica conoscenza delle persone coinvolte e delle loro condotte. In campo medico sarebbe ipotizzabile quando il sanitario intervenga essendo a conoscenza che la trattazione del paziente non è riservata soltanto a lui ma anche ad altri operatori della medesima struttura. Non rileverebbe, invece, la conoscenza delle specifiche persone coinvolte o della condotta posta in essere da ciascuno.

Tale situazione, afferma la Corte, si sarebbe verificata anche nel caso sottoposto all'attenzione dei giudici, ove la paziente era stata visitata, in successione, da più sanitari, tra cui il ricorrente, in quanto ricoverata presso la struttura ospedaliera. Ciascun medico, quindi, era consapevole del fatto che anche altri sanitari si sarebbero occupati della medesima paziente, o se ne erano già occupati.

Viene in rilievo a questo punto, sottolinea quindi la Corte, un altro aspetto, quello dell'invocabilità nel caso di specie del principio di affidamento. Sulla base di tale principio ciascun soggetto non sarebbe tenuto a regolare il proprio comportamento in funzione del rischio di condotte colpose altrui, ben potendo fare affidamento sulla circostanza che gli altri agiscano lecitamente, ossia osservando gli obblighi di diligenza su di loro incombenti

Il principio di affidamento, però, non è invocabile da chi, rivestendo una posizione di garanzia, abbia tenuto una condotta non rispettosa delle regole precauzionali con efficienza causale nella determinazione dell'evento unitamente alla condotta colposa di chi sia intervenuto successivamente. La responsabilità del primo soggetto potrebbe venir meno solo nel caso in cui la causa sopravvenuta, per le sue caratteristiche di eccezionalità, abbia fatto venir meno o abbia comunque modificato l'originaria situazione di pericolo. Per escludere la continuità delle posizioni di garanzia è necessario che il garante sopravvenuto abbia posto nel nulla le situazioni di pericolo create dal predecessore o eliminandole o modificandole in modo tale da non poter essere più attribuite al precedente garante.

Nel caso di specie i giudici avevano accolto il ricorso dell'imputato, annullando la sentenza con rinvio, poiché i giudici di merito non avevano ricostruito in maniera sufficiente i ruoli e le responsabilità di ciascun sanitario intervenuto. Il ruolo dell'imputato, secondo le emergenze probatorie, sarebbe stato marginale rispetto agli altri sanitari coinvolti ma non era stata individuata esattamente la condotta a lui imputabile, il suo apporto causale nella vicenda, facendo invece riferimento ad una sorta di colpa di organizzazione per una serie di negligenze riferibili in generale all'operato dei sanitari, che avevano determinato il decesso della paziente.

Osservazioni

La sentenza si incentra sulla problematica relativa alla cooperazione di più condotte colpose in un contesto come quello medico-sanitario ospedaliero dove il coinvolgimento integrato di più soggetti è legato ad esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio.

La cooperazione colposa si caratterizza dalla sussistenza di un collegamento delle volontà dei vari soggetti agenti, elemento che differenzia tale istituto dal mero concorso di cause indipendenti. Non occorre che vi sia un previo accordo tra i soggetti ma è sufficiente che vi sia la reciproca consapevolezza di contribuire all'azione od omissione altrui che sfoci nella produzione dell'evento non voluto.

Con riferimento in particolare all'attività medico-sanitaria la giurisprudenza, confermata anche dalla sentenza in commento, ritiene necessario accertare per ciascun concorrente la valenza concausale del suo concreto comportamento attivo od omissivo rispetto al verificarsi dell'evento ed anche la rimproverabilità di tale comportamento sul piano soggettivo.

Potrebbe porsi in un'ipotesi di cooperazione multidisciplinare come quella sanitaria, caratterizzata da una successione di posizioni di garanzia, un problema di affidamento. La giurisprudenza è però costante nell'affermare che non sia invocabile il principio di affidamento da parte del soggetto agente che a sua volta non abbia osservato una regola precauzionale e sul cui comportamento colposo si innesti la condotta colposa altrui.

Permane, quindi, la responsabilità anche del primo soggetto quanto la sua condotta colposa, unitamente a quelle poste in essere dai garanti successivi, abbia avuto una valenza causale nella determinazione dell'evento.

Il primo soggetto agente potrà andare esente da responsabilità solo quando la causa sopravvenuta, determinata dalla condotta colposa altrui che si innesta sulla prima, per la sua eccezionalità e imprevedibilità abbia un'efficacia esclusiva. La condotta sopravvenuta deve, cioè, aver fatto venir meno o modificato la situazione di pericolo originaria, così da escluderne la riconducibilità al primo garante.

La giurisprudenza più recente sembra orientata ad estendere l'interpretazione della valutazione del comportamento eccezionale in grado di determinare un effetto interruttivo del rapporto causale: vi rientrerebbe non solo ciò che eccezionale ma anche ciò che è eccentrico rispetto alla posizione di garanzia del soggetto agente, ciò che è esorbitante rispetto al rischio che è chiamato a gestire con la sua specifica posizione. Fondamentale diventerebbe pertanto la delimitazione del ruolo e del rischio da gestire da parte d ciascun sanitario che intervenga nella vicenda.

La suprema Corte nella sentenza in epigrafe sembrerebbe aderire a tale recente orientamento interpretativo poiché annulla la sentenza di appello proprio perché non sarebbero stati sufficientemente analizzati e ricostruiti i comportamenti dei singoli sanitari coinvolti nella vicenda e quindi il reale apporto causale delle loro specifiche condotte rispetto all'evento.

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