Il concorso tra il delitto di trasferimento di valori e quello di autoriciclaggio

02 Marzo 2017

La provenienza illecita del bene è un elemento costitutivo del reato di cui all'art. 12-quinquies d.l. 306/1992? Oppure, la sussistenza di un reato presupposto rileva solo per il delitto di riciclaggio?
Massima

Il reato di trasferimento fraudolento di valori, di cui all'art. 12-quinquies d.l. 306 del 1992 (conv. legge 356 del 1992), concorre con quello di autoriciclaggio, in quanto la condotta incriminata da quest'ultimo illecito non implica che l'autore di essa ponga in essere anche un'intestazione fittizia ad un terzo dei cespiti provenienti dal reato presupposto.

Il caso

La Corte di appello condannava gli imputati per il reato di cui all'art. 12-quinquies della d.l. 306 del 1992 perché, nella qualità di avvocati, incaricati di recuperare il credito di oltre 16 milioni di euro che un ordine religioso vantava nei confronti dell'Usl per la gestione di un ospedale, con la complicità di due prelati e del direttore di un istituto di credito, dopo essersi appropriati della parte più cospicua della somma, attribuivano fittiziamente il denaro alle loro madri ed alla madre di una terza persona al fine di agevolare la commissione del successivo reato di riciclaggio.

Con il ricorso per cassazione le difese hanno dedotto che il reato presupposto da cui proveniva il denaro oggetto di intestazione fittizia non sarebbe stato quello di appropriazione indebita come ritenuto in sentenza, bensì un illecito tributario, compiuto con il concorso dei preposti all'ente medesimo i quali intendevano creare un “fondo nero”, eludendo l'imposizione fiscale.

I difensori hanno anche dedotto l'insussistenza del dolo del reato di trasferimento fraudolento di valori, perché l'intestazione delle somme era avvenuta per mezzo di operazioni bancarie completamente “tracciabili” sul piano informatico e, quindi, inidonee ad ostacolare l'identificazione della provenienza illecita delle somme.

Secondo le difese, inoltre, l'intestazione fittizia di somme di denaro rientrerebbe nell'area operativa del reato di autoriciclaggio, all'epoca dei fatti non punibile, piuttosto che nel paradigma della fattispecie di cui all'art. 12-quinquies del d.l. 306/1992. In ogni caso, poiché il giudice di merito aveva indicato l'appropriazione indebita come reato presupposto, avrebbe dovuto applicare la pena prevista per l'ipotesi attenuata di autoriciclaggio, contemplata dall'art. 648-ter.1, comma 2, c.p., perché più favorevole rispetto a quella del trasferimento fraudolento di valori.

La fissazione della data di consumazione del reato, con riferimento all'ultima operazione bancaria accertata, infine, sarebbe stata errata. Detta operazione, infatti, consisteva nel disinvestimento di poste attive della madre di uno degli imputati, con successiva attribuzione delle somme al figlio e, dunque, in una sorta di “annullamento dell'intestazione fittizia”, inidonea ad integrare il delitto.

La questione

L'impugnazione di una condanna per il reato di trasferimento fraudolento di valori al fine di agevolare la commissione di un delitto di riciclaggio ha condotto la suprema Corte ad affrontare alcune rilevanti anche in tema di riciclaggio e di autoriciclaggio.

La provenienza illecita del bene è un elemento costitutivo del reato di cui all'art. 12-quinquies della legge citata? Oppure, la sussistenza di un reato presupposto rileva solo per il delitto di riciclaggio?

Nei casi in cui l'oggetto dell'intestazione fittizia è costituito da denaro e la condotta consiste nel suo deposito in un istituto di credito, la “tracciabilità informatica” delle operazioni bancarie permette di escludere la sussistenza del dolo del reato di trasferimento fraudolento di valori?

Questi temi anticipano quello più delicato: dopo l'introduzione nell'ordinamento del delitto di autoriciclaggio, quale è il rapporto che deve ravvisarsi tra questa fattispecie e quella di trasferimento illecito di valori?

Le soluzioni giuridiche

Il delitto di trasferimento fraudolento di valori, previsto dall'art. 12-quinquiesdel decreto legge 306 del 1992 convertito nella legge n. 356 del 1992, è una fattispecie a forma libera che si concretizza con l'attribuzione fittizia della titolarità o della disponibilità di denaro, di beni o di altra utilità realizzata in qualsiasi forma. Il fatto-reato consiste nella creazione di una situazione di apparenza giuridica della titolarità o disponibilità del bene. L'azione deve essere determinata dal fine di eludere misure di prevenzione patrimoniale o di contrabbando ovvero da quello di agevolare la commissione di reati relativi alla circolazione di mezzi economici di illecita provenienza (Cass. pen., n. 38733/2004).

Sotto il profilo soggettivo, dunque, è necessario ravvisare il dolo specifico (Cass. pen., n. 34667/2016), che può sussistere anche nella condotta di chi non sia ancora sottoposto a misura di prevenzione e pure prima che il relativo procedimento sia iniziato, nelle ipotesi in cui l'agente si prospetti l'eventualità del suo inizio e si determini al trasferimento fittizio del bene per timore di perderne la titolarità (Cass. pen., n. 13083/2014).

Quando la condotta è finalizzata ad agevolare la circolazione di mezzi economici di illecita provenienza però, per poter ritenere che il trasferimento fraudolento del valore sia stato posto in essere allo scopo di facilitarne la ricettazione, il riciclaggio o il reimpiego in attività economiche, occorre che sussista un reato presupposto.

In questo caso, la precisa qualificazione del reato da cui proviene il bene oggetto di intestazione fittizia non assume alcun particolare significato. Rileva la Corte, infatti, che il delitto presupposto del riciclaggio non deve essere giudizialmente accertato. Anzi la prova della sua sussistenza può scaturire anche da elementi logici (Cass. pen., n. 28715/2013), dovendo riconoscersi una fluidità nella valutazione del giudice circa l'esatta qualificazione giuridica del reato presupposto.

L'eventuale mutamento della qualificazione giuridica di detto delitto presupposto, comunque, non lederebbe alcuna garanzia difensiva, quando è oggetto della prospettazione dalla stessa difesa.

Nel caso di specie, comunque, l'individuazione del reato presupposto di appropriazione indebita del denaro dell'ente religioso è stata reputata corretta, mentre è stata giudicata vaga la diversa ricostruzione della vicenda sostenuta dalle difese.

La Corte, poi, ha ritenuto infondato il motivo di ricorso volto a valorizzare la tracciabilità informatica delle operazioni bancarie per escludere la sussistenza del dolo del reato di intestazione fittizia. Sebbene consistenti in operazioni bancarie, le attività realizzate erano idonee ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del denaro. Gli imputati, infatti, hanno agito con il concorso del direttore di un'agenzia di un istituto di credito che, nel compiere le diverse operazioni, ha violato la normativa antiriciclaggio, giungendo finanche a omettere la registrazione di tali operazioni nei registri informatici. Le “irregolarità bancarie”, in mancanza di segnalazione, sono state scoperte solo a distanza di diversi anni dalle prime operazioni, in conseguenza dell'ispezione di altro servizio della banca, a dimostrazione del fatto […] che le condotte illecite avevano raggiunto il loro intento dissimulatorio ed anche della difficoltà occorsa per il loro svelamento.

È stato reputato infondato anche il motivo volto a sostenere la non punibilità dell'intestazione fittizia di somme di denaro che, secondo le difese, non sarebbe sussumibile nel paradigma della fattispecie di cui all'art. 12-quinquies del d.l. 306/1992, rientrando piuttosto nell'area operativa del reato di autoriciclaggio, all'epoca dei fatti non punibile. Al riguardo, è stato rilevato che i fatti di autoriciclaggio, anche prima dell'introduzione nell'ordinamento del reato di cui all'art. 648-ter.1 c.p. erano punibili, sussistendone i relativi presupposti, ai sensi dell'art. 12-quinquies (Cass. pen., Sez. unite, n. 25191/2014, Iavarazzo).

In ogni caso, secondo la Corte, il reato di intestazione fraudolenta di valori concorre con quello di autoriciclaggio. La condotta punita da tale reato, infatti, non implica che l'autore di essa ponga in essere anche un trasferimento fittizio ad un terzo dei cespiti provenienti dal reato presupposto. Quest'ulteriore fatto, che comporta la partecipazione di un terzo in funzione di prestanome dell'autore del reato presupposto, è incriminato dal reato di cui all'art. 12-quinquies. L'intestazione fittizia, proprio in quanto coinvolge un terzo soggetto, non può neanche ricomprendersi tra quelle altre operazioni, idonee ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa dei beni, indicate nella norma di cui all'art. 648-ter.1 c.p. e riferibili al solo soggetto agente od a chi si muova per lui senza aver ricevuto autonoma investitura formale.

Le due violazioni della legge penale, inoltre, avvengono anche in momenti cronologicamente distinti: l'autore del reato presupposto compie prima l'operazione di interposizione fittizia che, poi, darà luogo a quella di autoriciclaggio, senza la quale la condotta sarebbe punibile solo per il reato di cui all'art. 12-quinquies.

Quanto al termine di prescrizione del reato, infine, esso decorre dall'ultima operazione illecita di trasferimento del denaro. Secondo la Corte, tale ultima azione ben può essere identificata nel trasferimento del controvalore di una polizza assicurativa sul conto corrente della madre di uno degli imputati che, lungi dall'essere come sostenuto dalla difesa una sorta di annullamento dell'intestazione fittizia, era in realtà l'ennesima operazione di tal genere.

Osservazioni

Secondo l'indirizzo giurisprudenziale consolidato, la provenienza illecita del bene non è un elemento costitutivo del reato di trasferimento fraudolento di valori. Il reato previsto dall'art. 12-quinquies d.l. 306/1992, infatti, si distingue da quello di riciclaggio perché, mentre in quest'ultima fattispecie è necessario che i beni su cui vengano poste in essere le condotte incriminate siano provenienza di delitto, nell'altra si persegue solo l'obiettivo di evitare manovre dei potenziali assoggettabili a misure di prevenzione, volte a non far figurare la loro disponibilità di beni o altre utilità, a prescindere dalla provenienza di questi da delitto (così Cass. pen., n. 13448/2016). La ratio del delitto è ispirata a sventare le manovre dei potenziali assoggettabili a tale tipo di misure volte a non far figurare la loro disponibilità di beni o altre utilità, a prescindere dalla provenienza di questi da delitto, che, se provata, può integrare altri reati (così Cass. pen. n. 39837/2013). Anzi la giurisprudenza ha precisato che la provenienza illecita del bene costituisce l'elemento specializzante del delitto di riciclaggio rispetto a quello di trasferimento fraudolento di valori (Cass.n. 18496/2012).

L'orientamento giurisprudenziale illustrato, invero, si attaglia perfettamente all'ipotesi in cui l'attribuzione fittizia della titolarità o della disponibilità di denaro o di altre utilità è protesa ad eludere le norme in materia di misure di prevenzione patrimoniali. In questi casi, può avere ad oggetto anche beni non provenienti da delitto (Cass. pen., n. 13448/2016).

Nella pronuncia in esame, invece, la suprema Corte si sofferma sull'origine delittuosa del bene, perché il trasferimento del bene non era stato finalizzato ad eludere l'applicazione di una misura di prevenzione ma ad agevolare la circolazione di mezzi economici di illecita provenienza. In tale ipotesi, l'origine illecita dei beni oggetto di intestazione fittizia è necessaria, permettendo di distinguere le situazioni in cui è posto in essere un negozio simulato o fiduciario con mero rilievo civilistico, da quelle punite dalla norma penale. Le condotte penalmente rilevanti, infatti, sono delimitate dal dolo specifico di facilitare, per mezzo dell'intestazione fittizia, la ricettazione, il riciclaggio o il reimpiego in attività economiche. In particolare, è necessario che il terzo “prestanome” abbia consapevolezza di tale provenienza illecita perché possa riscontrarsi il dolo richiesto dalla fattispecie (mentre, ovviamente, è scontato che l'autore del reato presupposto che intesta il bene proveniente dal crimine ad un terzo abbia consapevolezza dell'origine di tale bene). Al contrario, la totale inconsapevolezza da parte del terzo della provenienza illecita del bene (al pari della totale inconsapevolezza che la persona titolare sia sottoponibile a misura di prevenzione, cfr. Cass. pen., n. 3043/2016) deve condurre ad escludere la sussistenza del dolo specifico ed a ricondurre l'atto di trasferimento nell'ambito dei negozi simulati con esclusivo rilievo civilistico.

Secondo l'indirizzo giurisprudenziale consolidato, peraltro, ai fini della punibilità del riciclaggio non è necessario l'accertamento giudiziale, né l'esatta individuazione del reato da cui proviene il bene di origine delittuosae neppure l'identificazione della persona offesa, essendo sufficiente la prova logica della sussistenza di tale illecito (Cass. pen., n. 20188/2015), le cui modalità di commissione possono essere delineate per sommi capi (Cass. pen., n. 546/2011).

La sentenza in esame ha esteso questa regola anche al reato di intestazione fraudolenta finalizzata ad agevolare il riciclaggio o l'autoriciclaggio dei beni provenienti da delitto rispetto al quale deve essere modulata nel senso che il mancato accertamento giudiziale del reato presupposto o la sua inesatta individuazione non vale ad escludere il dolo specifico del trasferimento fittizio del bene proveniente da tale illecito.

Va segnalato che la medesima regola è applicabile anche alla nuova fattispecie di autoriciclaggio, rispetto alla quale, peraltro, è suscettiva di conseguenze rilevanti. È ragionevole ritenere che, dimostrata la commissione da parte dell'imputato del reato presupposto – ancorché non accertato giudizialmente e tratteggiato in modo impreciso – e l'impiego di valori in attività economiche o finanziarie, debba ritenersi provato il delitto. Spetterà semmai alla difesa dimostrare che l'investimento è stato compiuto con denaro o beni “puliti”, venendosi così a determinare una situazione che, secondo un opinione dottrinale, realizza un'inversione dell'onere della prova.

Essendo volto a far affermare la sussistenza di un reato tributario in luogo di quello di appropriazione indebita, una delle questioni poste dalle difese sembra sottendere un tema classico. Il riciclaggio ha ad oggetto denaro, beni o altre utilità provenienti da delitti. Nella maggior parte dei reati tributari, il reo non ottiene una somma di denaro come provento, ma consegue un risparmio di spesa, non versando l'imposta dovuta. Proprio la mancanza di un arricchimento diretto ha indotto a dubitare della possibilità di individuare nel reato fiscale il presupposto per il riciclaggio.

Il tema si ripropone per l'autoriciclaggio, la cui area operativa di elezione è stata individuata proprio nell'impiego in attività economiche o finanziarie degli importi non versati all'erario a titolo di imposte. Anche alla nuova fattispecie, tuttavia, va esteso l'indirizzo giurisprudenziale incline a ritenere che ogni delitto doloso, anche le frodi fiscali, possano essere presupposto del riciclaggio (e dunque ora anche dell'autoriciclaggio, perché il risparmio di spesa ottenuto evitando di pagare le imposte produce un'utilità che può essere oggetto del delitto (Cass. pen., n. 6061/2012). La nozione di utilità è tanto ampia da ricomprendere tutto ciò che abbia un valore economicamente apprezzabile e, dunque, non solo quegli elementi che incrementano il patrimonio dell'agente nonché, secondo un discutibile orientamento giurisprudenziale, anche i vantaggi riflessi rappresentati dalle sanzioni eventualmente dovute (Cass. pen., n. 11836/2012).

Su questo tema, nondimeno, una conferma dell'orientamento giurisprudenziale è stata fornita dal legislatore nell'ambito della procedura di regolarizzazione dei capitali posseduti all'estero, la c.d. voluntary disclosure.

In particolare, l'art. 5-quinquies, introdotto dalla legge 186 del 2014 nel testo del decreto legge 167 del 1990, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, dispone che, a seguito del perfezionamento della procedura di regolarizzazione:

a) è esclusa la punibilità per i delitti di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 10-bise 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, e successive modificazioni;

b) è altresì esclusa la punibilità delle condotte previste dagli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale, commesse in relazione ai delitti di cui alla lettera a) del presente comma.

L'art. 5-septies, comma 5, del medesimo testo normativo, poi, estende l'esclusione della punibilità a tutti coloro che hanno concorso a commettere i delitti ivi indicati.

È inoltre prevista la non punibilità, limitatamente alle attività oggetto di collaborazione volontaria, delle condotte previste dall'articolo 648-ter.1 c.p. se commesse in relazione ai delitti di cui all'art. 5-quinquies, comma 1, lett. a), cit.

Da questa normativa si desume che il legislatore presuppone pacificamente che un reato tributario possa essere presupposto della condotta di riciclaggio, reimpiego o autoriciclaggio.

Anche sulla questione relativa alle conseguenze della tracciabilità informatica delle operazioni bancarie sono necessarie alcune puntualizzazioni. Il tema, infatti, è posto in genere ai fini della valutazione della sussistenza del delitto di riciclaggio (e non in tema di intestazione fittizia di beni). Questo reato, infatti, è integrato da condotte idonee a ostacolare l'identificazione dell'origine delittuosa del bene. Nella fattispecie dell'autoriciclaggio, recependo le indicazioni della giurisprudenza, il legislatore ha precisato che si deve trattare di comportamenti concretamente in grado di costituire un ostacolo all'individuazione della provenienza del valore, esplicitando in tal modo la natura di reato di pericolo dell'illecito in esame.

L'indirizzo giurisprudenziale che sembra prevalente ritiene che le operazioni bancarie, finanche il mero deposito del denaro sul conto corrente, rientrino tra le azioni idonee ad ostacolare l'individuazione dell'origine del bene: la natura fungibile del bene comporta che il deposito determini la sua sostituzione (Cass. pen., n. 43534/2012); il cambio in banca di denaro non proprio, tacendo il nome del titolare, è condotta idonea ad ostacolare l'indagine sulla provenienza del bene (Cass. pen., n. 28781/2015); analoga capacità è stata riconosciuta al versamento di assegni circolari provento di truffa sul conto corrente dei figli (Cass. pen., n. 1422/2012); in senso contrario, però, è stato ritenuto che integra gli estremi della ricettazione il versamento di assegni di provenienza delittuosa, previa sostituzione delle generalità del beneficiario con i propri dati ed apposizione dalla propria firma sui titoli per girata, se non sono manomessi nel numero di serie o nell'indicazione dell'istituto emittente al fine di ostacolare l'indagine sulla provenienza (Cass. pen., n. 12894/2015).

La capacità di ostacolare l'accertamento dell'origine illecita del valore, invece, non è un elemento costitutivo del reato di trasferimento fraudolento di valori. Si tratta di un profilo oggettivo che esula della descrizione della fattispecie e che la differenzia dai delitti di riciclaggio (anche se, su questo specifico punto va considerato che il delitto presuppone la partecipazione di un prestanome, il cui intervento, di fatto, integra un ostacolo all'individuazione della provenienza del bene).

Per l'accertamento del delitto di trasferimento fraudolento di delitto, tuttavia, la capacità dissimulatoria della condotta rileva limitatamente alla capacità di incidere sulla dimostrazione della sussistenza del dolo specifico di agevolare la successiva circolazione del valore nel mercato.

Il passaggio più interessante della decisione, peraltro, riguarda l'analisi dei rapporti tra la nuova fattispecie di autoriciclaggio e il delitto di trasferimento fraudolento di valori.

La Corte ha ribadito che i fatti di autoriciclaggio, anche prima dell'introduzione nell'ordinamento del reato di cui all'art. 648-ter1 c.p., erano punibili, sussistendone i presupposti, ai sensi dell'art. 12-quinquies della d.l. 306 del 1992, come affermato da una importante pronuncia delle Sezioni unite (Cass. pen., Sez. unite, n. 25191/2014, Iavarazzo).

Il reato di intestazione fraudolenta di valori, inoltre, secondo la pronuncia in esame, concorre con quello di autoriciclaggio. La condotta punita da quest'ultimo illecito, infatti, non implica che l'autore di essa ponga in essere anche il trasferimento fittizio ad un terzo dei cespiti provenienti dal reato presupposto. Quest'ulteriore fatto, che comporta la partecipazione di un terzo in funzione di prestanome dell'autore del reato presupposto, è incriminato dal reato di cui all'art. 12-quinquies della legge citata.

L'intestazione fittizia del bene ad un prestanome, in particolare, non potrebbe essere ricompresa tra quelle altre operazioni, idonee ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa dei beni, indicate dall'art. 648-ter.1 c.p., le quali, secondo la decisione in esame, devono essere riferibili al solo soggetto agente od a chi si muova per lui senza aver ricevuto autonoma investitura formale (dunque, non ad un formale intestatario).

Le due violazioni della legge penale, inoltre, intervengono in momenti cronologicamente distinti: l'autore del reato presupposto compie prima l'operazione di interposizione fittizia che, successivamente, permetterà quella di autoriciclaggio, senza la quale la condotta sarebbe punibile solo per il reato di cui all'art. 12-quinquies della legge citata.

Il delitto di trasferimento fraudolento di valori ex art. 12-quinquies del d.l. 306 del 1992, in estrema sintesi, incrimina fatti diversi dal riciclaggio

La Corte, pertanto, ha aderito all'indirizzo che ha suggerito di non procedere ad una valutazione unitaria e finalistica delle condotte volte a realizzare la circolazione di valori di provenienza illecita, ma di analizzarne i singoli segmenti. Nei casi in cui, nell'ambito complessivo dell'operazione, intervenga un'intestazione fittizia del bene, deve ritenersi integrato il reato di cui all'art. 12-quinquies della legge citata.

Questa tesi appare modulata su situazioni di fatto, come quella in esame, in cui l'operazione economica posta in essere è stata articolata in diverse frazioni, singolarmente apprezzabili, dotate di portata autonoma (il denaro provento del delitto di appropriazione indebita è passato dagli imputati alle loro madri; con operazioni successive all'intestazione fittizia è tornato agli imputati).

Più complesso, in verità, appare il caso in cui sia dimostrato un unico trasferimento fittizio di valori dall'autore del reato presupposto ad un prestanome per l'impiegoin attività economiche, finanziarie e speculative.

La sentenza in esame esclude che l'intestazione fittizia, proprio per il coinvolgimento “formale” di un terzo e non solo dell'autore del reato presupposto rientri tra le altre condotte concretamente idonee ad ostacolare l'individuazione dell'origine del bene incriminate dal delitto di autoriciclaggio.

Secondo un orientamento dottrinale, invece, sul piano oggettivo, queste condotta può integrare entrambi i reati in esame; dal punto di vista soggettivo, può essere assistita dal dolo generico dell'autoriciclaggio (cioè, la consapevolezza e volontà di porre in essere un trasferimento, “concretamente” idoneo ad ostacolare l'indagine sulla provenienza del bene) e da quello specifico del trasferimento fraudolento di valori (il fine di agevolare successive condotte di riciclaggio o autoriciclaggio).

In tale situazione, secondo l'indirizzo indicato, il tema del concorso tra le disposizioni penali andrebbe affrontato valorizzando la clausola di riserva contenuta dell'art. 12-quinquies cit. (Salvo che il fatto costituisca reato più grave) in modo da ritenere assorbito il trasferimento fraudolento di valori nell'autoriciclaggio di cui all'art. 648 ter.1, comma 1,c.p.

La predetta clausola di riserva potrebbe essere superata solo qualora il reato presupposto fosse punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni e, dunque, ricorra l'ipotesi più lieve di autoriciclaggio prevista dall'art. 648-ter.1, comma 2, c.p. In questa seconda ipotesi, però, dovrebbe trovare applicazione la sola pena prevista per il trasferimento fraudolento di valori. Non sarebbe ipotizzabile, infatti, il concorso del reato di cui all'art. 12-quinquies della legge citata con l'ipotesi minore di autoriciclaggio per la sostanziale omogeneità degli interessi protetti e per la specialità reciproca tra le fattispecie (oltre che per evitare la soluzione paradossale di punire due volte il reo nel caso di autoriciclaggio minore ed una sola volte in quello maggiore).

Nella sentenza, inoltre, è precisato non solo che il reato di trasferimento fraudolento di valori e autoriciclaggio possono concorrere, ma anche che il primo illecito possa fungere da reato presupposto di quelli di cui agli artt. 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 c.p.

Questo profilo, forse, è sotteso alla tesi accolta dalla sentenza del concorso tra i due illeciti. La condotta di autoriciclaggio posta in essere da colui che ha compiuto il reato di trasferimento fraudolento di valori provenienti da un delitto potrebbe riguardare il profitto derivante proprio da detto trasferimento fraudolento.

Al riguardo, è noto che la giurisprudenza ha riconosciuto anche al delitto di cui all'art. 12-quinquies cit. la capacità di produrre un profitto che consiste nell'oggettiva facilitazione del godimento e della disponibilità dei beni illecitamente acquisiti per effetto delle modalità di fraudolento trasferimento (Cass. n. 20093/2014).

Il delitto di trasferimento fraudolento di valori, infine, è un reato istantaneo con effetti permanenti. L'illecito si consuma nel momento e nel luogo in cui è realizzata l'attribuzione fittizia (Cass. pen., n. 15792/2015), senza che possa assumere rilevanza il permanere della situazione antigiuridica conseguente alla condotta criminosa (Cass. pen., n. 24657/2014). Il reato può assumere la natura di fattispecie a condotta plurima o frazionata (Cass. pen. n. 47452 del 19 novembre 2015). Il termine di prescrizione del reato, in ogni caso, decorre dall'ultima operazione illecita di trasferimento del denaro.

Anche il reato di riciclaggio è a consumazione istantanea. Trattandosi di un illecito a forma libera, peraltro, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, può anche atteggiarsi a reato eventualmente permanente quando il suo autore lo progetti e lo esegua con modalità frammentarie e progressive (Cass. pen., n. 29611/2016, che ha ritenuto la flagranza del delitto di riciclaggio con riferimento al rinvenimento presso un deposito di diverse autovetture provento di furto, private della targa ed occultate in un container, in quanto condotte tese ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa dei mezzi, prodromiche al successivo trasporto degli stessi presso il porto e la definitiva loro destinazione in paese extracomunitario). La consumazione del riciclaggio, inoltre, può coincidere con il momento in cui i beni acquistati con capitali di provenienza illecita sono rivenduti dal reo (Cass. pen. n. 3414/2014).

Guida all'approfondimento

APOLLONIO, L'introduzione dell'art. 648-ter.1 c.p. e il superamento del criterio della specialità nel rapporto tra la ricettazione e i delitti di riciclaggio, in Cass. pen. 2015, pp. 2890-2909;

BALSAMO, DE AMICIS, L'art. 12-quinquies della l. n. 356/1992 e la tutela del sistema economico contro le nuove strategie delle organizzazioni criminali: repressione penale "anticipata" e prospettive di collaborazione internazionale, Nota a Cass. sez. I 15 ottobre 2003, n. 43049, in Cass. pen. 2005, pp. 2075-2089; BRICCHETTI, Riciclaggio e auto-riciclaggio (Money laundering and self-laundering), in Riv. it. dir. proc. pen. 2014, pp. 684-695;

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CORDEIRO GUERRA, Reati fiscali e autoriciclaggio, in Rass. Trib., 2016, pp. 316-342;

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ZACCHIA, L'elemento soggettivo del delitto di trasferimento fraudolento di valori, Nota a Cass. sez. II pen. 20 gennaio 2015, n. 2483, in Cass. pen. 2015, pp. 2707-2714.

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