Non può dirsi “utilizzato” il minore che diffonda il proprio autoscatto a carattere pornografico

Valentina Ventura
02 Maggio 2016

Non sussiste il delitto di cui al quarto comma dell'art. 600-ter c.p. nel caso in cui il materiale pornografico oggetto di cessione od offerta sia realizzato dallo stesso minore ivi ritratto in modo consapevole, autonomo, senza induzione o costrizione alcuna alla realizzazione dell'immagine pornografica.
Massima

Non sussiste il delitto di cui al quarto comma dell'art. 600-ter c.p. nel caso in cui il materiale pornografico oggetto di cessione od offerta sia realizzato dallo stesso minore ivi ritratto in modo consapevole, autonomo, senza induzione o costrizione alcuna alla realizzazione dell'immagine pornografica.

Il caso

Alcuni giovani sono stati giudicati dal tribunale per i minorenni dell'Abruzzo per il delitto di cui all'art. 600-ter, comma 4, c.p. per aver ceduto a terzi alcune fotografie pornografiche raffiguranti una ragazza minore degli anni diciotto. Un solo giovane è stato invece processato per il delitto di cui all'art. 600-quater c.p. per aver detenuto le medesime fotografie.

All'esito dell'istruzione dibattimentale il tribunale ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati del reato di cui all'art. 600-ter, comma 4, c.p. perché il fatto non sussiste.

Il Collegio ha evidenziato che nel caso di specie le fotografie erano state scattate mediante autoscatto dalla minore in esse raffigurata senza che ella fosse stata a ciò indotta da altri e che la stessa aveva dipoi volontariamente ceduto a terzi le immagini. Dette immagini erano state successivamente cedute dai destinatari ad altri soggetti e da questi ad altri ancora.

Ad avviso del tribunale per i minorenni, la condotta appena descritta non poteva dirsi riconducibile a quella prevista dall'art. 600-ter, comma 4, c.p., che punisce la condotta di chi al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al primo comma della medesima norma, ritenendo mancante nel caso sottoposto al suo esame l'elemento dell'utilizzazione della minore da parte di terzi.

Avverso detta decisione ha proposto ricorso per cassazione il procuratore della Repubblica presso il tribunale de L'Aquila per tutti i soggetti imputati del delitto di cui all'art. 600-ter, comma 4, c.p. deducendo con un unico motivo l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ritenendo che detta previsione faccia riferimento tout court al materiale pornografico raffigurante minori, senza richiedere ai fini della punibilità della condotta che tale materiale sia realizzato da soggetti terzi rispetto al soggetto raffigurato e, in definitiva, che il reato de quo sussista anche in ipotesi di fotografie scattate – senza costrizione – dal minore nelle stesse raffigurato.

La questione

La questione in esame è la seguente: se sia configurabile il delitto di cui all'art. 600-ter, comma 4, c.p. nel caso in cui l'immagine pornografica che raffigura un soggetto minore degli anni diciotto sia stata da questi spontaneamente e personalmente realizzata (mediante c.d. selfie) e successivamente messa in circolazione.

Le soluzione giuridiche

La previsione di cui al quarto comma dell'art. 600-ter c.p. sanziona la condotta di chi, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo della medesima norma, offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico indicato nel primo comma.

Ad avviso del Procuratore della Repubblica presso il tribunale de L'Aquila, nell'art. 600-ter c.p. i commi successivi al primo farebbero riferimento tout court al materiale pornografico avente ad oggetto minorenni, senza specificare la necessità che detto materiale sia realizzato da soggetti terzi mediante utilizzo dei minori stessi, elemento richiamato unicamente nel primo comma della norma.

A conferma dell'irrilevanza della terzietà del soggetto agente delle varie ipotesi prese in considerazione dall'art. 600-ter c.p., il procuratore della Repubblica presso il tribunale de L'Aquila ha richiamato la previsione di cui all'art. 600-quater c.p., che fa genericamente riferimento al materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto che si sia procurato o detenga il soggetto agente al di fuori delle ipotesi previste nell'articolo 600 ter, vale a dire senza distinzioni in merito alle modalità di formazione del materiale in oggetto.

Invero, per il tramite dell'espressa esclusione delle ipotesi di cui al primo comma dell'art. 600-ter c.p., la fattispecie di cui al quarto comma della medesima norma pare prendere in considerazione unicamente la condotta di chi cede od offre il materiale pornografico che non abbia contribuito egli stesso a realizzare in prima persona mediante l'utilizzo o l'abuso del minorenne raffigurato nelle immagini pornografiche, di tal che l'utilizzatore di detto minore è soggetto distinto da colui che metta in circolazione le immagini di costui.

Per comprendere appieno la portata della norma de qua, ad avviso della suprema Corte è necessario procedere alla disamina dell'iter che ha condotto all'attuale formazione della norma in esame.

Come noto, la previsione di cui all'art. 600-ter c.p. è stata introdotta ad opera della l. 3 agosto 1998, n. 269, recante Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù, in una formulazione differente da quella attualmente in vigore.

Originariamente, il primo comma della norma sanzionava la condotta di chi sfruttasse minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico, mentre il quarto comma puniva chi, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, consapevolmente cedesse ad altri, anche a titolo gratuito, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto.

Il riferimento allo sfruttamento aveva sollevato non poche perplessità sul piano dell'interpretazione dell'intera fattispecie, non chiarendo la norma se ai fini della punibilità fosse necessario un fine di lucro dell'agente o se fosse necessario l'impiego di più minori (anziché di uno solo), né come dovesse intendersi l'avverbio consapevolmente.

Il legislatore è dunque intervenuto novellando la formulazione dell'art. 600-ter c.p. in due distinte occasioni.

Dapprima, con la l. 6 febbraio 2006, n. 38, recante Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet,disponendo la punibilità di chiunque, utilizzando minori degli anni diciotto, realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico ovvero induce minori di anni diciotto a partecipare ad esibizioni pornografiche (primo comma) e di chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al primo comma.

Successivamente, con l. 1 ottobre 2012, n. 172, di ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale firmata a Lanzarote il 25 ottobre 2007, il testo della norma è stato novellato nuovamente e formulato nella forma attualmente vigente.

Nell'esaminare la specifica doglianza sottoposta al suo esame, la suprema Corte rileva come il primo comma dell'art. 600-ter c.p. deve considerarsi il perno dell'intera previsione sanzionatoria, alla luce del quale devono essere interpretati i commi successivi, che disciplinano forme di realizzazione dell'illecito distinte ma intimamente collegate alla previsione di cui al primo comma, non potendosi sanzionare la condotta di chi commercia materiale pornografico realizzato utilizzando minori (secondo comma) o di chi lo distribuisca, divulghi, diffonda, pubblicizzi (terzo comma) ovvero infine lo offra o ceda a terzi (quarto comma), se non vi è a monte chi ha prodotto detto materiale.

La norma tipizza condotte distinte ed alternative tra loro (più volte il legislatore utilizza la locuzione al di fuori delle ipotesi di cui), ognuna delle quali è idonea ad integrare l'elemento oggettivo del reato, che tuttavia rimane unico anche nell'ipotesi in cui il soggetto agente tenga una o più delle condotte vietate (ove nello stesso contesto spazio-temporale questi ponga in essere più condotte tra quelle indicate dalla norma si ha quindi unicità del reato e non concorso).

Nel passaggio argomentativo a sostegno della tesi del giudice di prime cure, la suprema Corte richiama una nota pronuncia delle Sezioni unite (Cass. pen., Sez. un., 31 maggio 2000, n. 13) le cui osservazioni ritiene utili ancora oggi, sebbene formulate con riguardo alla versione previgente dell'art. 600-ter c.p.

Nella menzionata pronuncia, il supremo Collegio aveva osservato che il riferimento allo sfruttamento del minore doveva intendersi in senso ampio, non necessariamente coincidente con il fine di lucro del soggetto agente, evidenziando che sfruttare i minori vuol dire impiegarli come mezzo, anziché rispettarli come fine e come valore in sé e che, in definitiva, equivale ad offendere la loro personalità, soprattutto nell'aspetto sessuale, che è tanto più fragile e bisognosa di tutela quanto più è ancora in formazione e non ancora strutturata. Da qui l'asserita utilizzabilità delle osservazioni ivi contenute anche in relazione all'art. 600-ter c.p. come oggi novellato.

Ancora, le Sezioni unite hanno avuto modo di precisare che al fine di contrastare in modo incisivo il fenomeno dell'abuso e dello sfruttamento sessuale in danno di minori, il legislatore del 1998 ha voluto punire, insieme alle attività sessuali compiute con i minori o alla presenza di costoro (artt. 609-quater e 609-quinquies c.p.), anche tutte le attività prodromiche e strumentali alla pratica della pedofilia, tra cui l'incitamento della prostituzione minorile, la diffusione della pornografia minorile e la promozione del c.d. turismo sessuale avente ad oggetto la ricerca di partner sessuali minorenni.

Sul tema, il supremo Collegio ha richiamato le convenzioni internazionali che hanno preso in considerazione la tutela del minore, anche sul piano della sua sessualità, come la Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176 e la dichiarazione finale della Conferenza mondiale di Stoccolma, adottata il 31 agosto 1996.

Enunciata la ratio e l'origine della disciplina del reato di pornografia minorile (complessivamente inteso, sebbene, come detto, caratterizzato da più condotte distinte), la suprema Corte conclude ritenendo di dover considerare quale presupposto logico e giuridico dell'art. 600-ter c.p. che l'autore della condotta sia un soggetto terzo rispetto al minore (oggi) utilizzato (un tempo sfruttato), e ciò a prescindere dal fine – di lucro o meno – che muova l'agente e dall'eventuale consenso prestato dal minore, che deve ritenersi del tutto irrilevante, stante la sua immaturità sessuale ed incapacità di prestare valido consenso all'utilizzo del proprio corpo a fini sessuali.

Ne discende che ove sia il minore stesso – consapevolmente e senza costrizione alcuna – a realizzare l'immagine pornografica, l'alterità di cui si è detto non sussiste e, conseguentemente, manca il reato per difetto di un elemento costitutivo dello stesso.

Osservazioni

L'articolato sistema di cui all'art. 600-ter c.p. ricomprende condotte modellate sul paradigma del reato di danno, che implicano uno sfruttamento diretto del minore, e condotte di pericolo (prevalentemente astratto), prese in considerazione dal legislatore per la loro potenziale capacità di accrescere la domanda di materiale pornografico avente ad oggetto soggetti minori.

A dispetto della sua formulazione unitaria, l'art. 600-ter c.p. tende a colpire cinque ipotesi di reato, autonome e diversamente strutturate, tutte accomunate dalla finalità di repressione della realizzazione, del commercio e della diffusione di materiale pedopornografico, disciplinate secondo un ordine di crescente gravità.

La condotta di chi cede e offre materiale pornografico realizzato mediante l'utilizzo di soggetti minori degli anni diciotto, sanzionata a norma del quarto comma dell'art. 600-ter c.p., come le altre condotte individuate da detta norma, pone in pericolo l'onorabilità sessuale del minore, sebbene in maniera meno significativa di quanto non accada mediante il commercio, la divulgazione, la distribuzione, la diffusione, la pubblicizzazione delle immagini, avendo minore capacità di propagazione. Non a caso, il trattamento sanzionatorio è più mite di quello previsto per le ipotesi di cui ai commi precedenti.

La pronuncia in commento sottopone all'esame dei commentatori una ipotesi nuova per il diritto penale, frutto dell'evolversi della tecnologia e del suo utilizzo, ai più disparati fini, anche tra i giovanissimi, vale a dire la circolazione di immagini di minori da questi stessi realizzate tramite i c.d. selfie.

Si tratta di un'abitudine ormai in uso anche tra i più giovani e che verosimilmente sempre più spesso potrà avere ad oggetto anche immagini che ritraggono atteggiamenti sessuali dei minori, dato il loro sempre più precoce avvicinamento sia alle nuove tecnologie che al sesso.

Sebbene possa turbare che soggetti giovanissimi possano – con una certa superficialità ed immaturità – scattarsi foto in atteggiamenti esplicitamente sessuali e diffonderli tra soggetti di propria fiducia senza che ciò determini una qualche responsabilità penale per coloro che contribuiscono alla diffusione di dette immagini cedendole od offrendole a terzi, il percorso argomentativo del giudice di merito, prima, e della suprema Corte, poi, che porta ad escludere la sussistenza del reato di cui all'art. 600-ter,comma 4, c.p. ove il minore abbia spontaneamente ed autonomamente realizzato dette immagini appare del tutto condivisibile, allo stato dell'arte.

Rimane da chiedersi se, visto il crescente utilizzo dei c.d. selfie anche tra i più giovani e la crescente disinibizione sessuale dei medesimi, non sia il caso di intervenire de iure condendo introducendo una forma di sanzione della messa in circolazione di immagini pornografiche che, sebbene non realizzate con utilizzo del minore, ne compromettono l'immagine sessuale, dovendosi ritenere che l'incapacità e l'immaturità sessuale del minore stesso rendano comunque illegittima la diffusione delle immagini così realizzate e diffuse, anche se, per avventura, vi fosse il consenso – invalido per immaturità – dell'autore dell'autoritratto.

Guida all'approfondimento

DELSIGNORE - BIANCHI, Detenzione di materiale pedopornografico, in Cadoppi - Canestrari - Manna - Papa, (diretto da), Trattato di diritto penale. Parte speciale, vol. VIII: I delitti contro l'onore e la libertà individuale, Torino, 2010;

FARINI, Pornografia minorile, in Tovani-Trinci (a cura di), I delitti contro la libertà sessuale, Torino, 2014.

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